Scoperto un gene che provoca il rigetto dei trapianti di organo
La scoperta, determina la riuscita dell'intervento e migliorerà la scelta dei donatori
Da uno studio internazionale, condotto dalla Columbia University di New York e da alcuni centri europei e italiani - tra cui l'Ospedale Universitario Città della Salute e delle Scienze di Torino, l'Università di Torino, l'Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia e l'Università di Brescia - la scoperta di un gene che provoca il rigetto dei trapianti di organo. Gli scienziati, coordinati dal professor Nicholas J. Steers, hanno identificato il gene del rigetto, dopo aver studiato le caratteristiche genetiche di 2700 coppie di donatori-riceventi, tutte sottoposte ad un trapianto di rene. Dalla analisi statistica dei dati è emerso che il 60% dei soggetti manifesta un gene che produce la proteina LIMS1, rintracciabile in diversi tessuti, compreso quello renale, mentre il restante 40% non la esprime. Se il donatore produce la proteina LIMS1 e il ricevente dell'organo non la produce, si verifica il meccanismo immunitario di rigetto dell'organo trapiantato con la produzione di anticorpi anti-LIMS.
La scoperta consente di poter accoppiare con maggiore accuratezza donatore e ricevente sulla base di queste informazioni genetiche, abbassando il rischio di rigetto mediante la verifica della presenza di anticorpi anti-LIMS e intervenire con maggiore efficacia con la conseguente terapia anti-rigetto. Il gene è stato valutato solo nel tessuto renale, ma è presente anche in quello cardiaco, epatico e polmonare e si dovrà stabilire se anche per questi tipi di trapianto, LIMS1 ha un effetto così critico. Lo studio è stato pubblicato su "New England Journal of Medicine" e contribuirà a migliorare la scelta dei donatori.
Ogni anno, nel mondo, più di 130.000 persone ricevono un trapianto di organo; in Italia, nel 2018, sono state 3718. Per chi riceve un trapianto, la probabilità di sopravvivenza è di circa il 70% a 5 anni, ma lo riceve meno del 30% dei pazienti in lista di attesa. Il problema principale è quindi di incrementare il numero tramite il reperimento di donatori che abbiano espresso in vita la volontà di donare o, nel caso del rene, promuovendo i programmi di donazione da vivente. Un certo numero di trapianti smette di funzionare nel tempo, principalmente perché il sistema immunitario dell'ospite riconosce l'organo trapiantato come diverso e lo rigetta; da qui, l'importanza di migliorare l'abbinamento tra donatore e ricevente selezionandoli per caratteristiche genetiche compatibili.
In caso di trapianto di rene che provenga da un donatore con la variante che esprime la proteina LIMS, i riceventi che geneticamente non la producono, possono riconoscerla come estranea ed indirizzare contro di essa una risposta immunitaria di rigetto dell'intero trapianto. Si è infatti, dimostrato che i riceventi negativi per la proteina, sviluppano, quando trapiantati con reni positivi, anticorpi anti- LIMS.
COME AVVIENE IL RIGETTO DEI TRAPIANTI
La prova di compatibilità si esegue con il test di tipizzazione tissutale (antigeni HLA Human Leucocyte Antigene o di istocompatibilità) per selezionare i pazienti in lista di attesa. Tali antigeni sono responsabili di una serie di reazioni umorali e cellulari che conducono al rigetto di un trapianto.
Si parla di rigetto quando il sistema di difesa dell'organismo (sistema immunitario), della persona sottoposta a trapianto (ricevente), attacca il nuovo organo riconoscendolo come estraneo ( non - self). Migliore è la compatibilità tra donatore e ricevente, minore è la possibilità di comparsa del rigetto e di mortalità. Il rigetto può avvenire in momenti diversi dopo il trapianto, ed in base al tempo in cui si verifica, si distingue in: iperacuto che compare da qualche minuto a qualche ora dopo il trapianto ed acuto, che si verifica da qualche giorno a poche settimane dopo. Il rigetto cronico si può verificare da alcuni mesi fino a diversi anni dopo il trapianto.
I meccanismi che determinano le varie tipologie di rigetto sono diversi e possono essere legati alla produzione di anticorpi (rigetto umorale) e/o alla attivazione diretta di cellule del sistema immunitario (linfociti, rigetto cellulare).
La terapia si basa su farmaci immunosoppressori che hanno aumentato la sopravvivenza dopo i trapianti, riducendo il rischio di rigetto e di insorgenza della GVHD (Graft Versus Host Disease), complicanza specifica che si manifesta contro l'ospite.
L'uso di questi farmaci, può però determinare una condizione di immunodepressione, con conseguente aumentata suscettibilità alle infezioni.