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Martedì, 16 Aprile 2024
Esse come sicurezza

Esse come sicurezza

A cura di Siap (Sindacato italiano appartenenti polizia) di Piacenza

I miei primi trent'anni nella Polizia di Stato

Racconto la mia storia di poliziotto con la speranza di far comprendere ai cittadini come è importante che un poliziotto cresca e viva in un sistema democratico e come, se tale non è (soprattutto quando si è giovani) il trattamento subito ti porti a sbagliare con gli altri

Lo voglio raccontare. Penso sia ora di dire quale è stato l’unico periodo della mia carriera del quale mi vergogno e durante il quale ho vissuto periodi pieni di soddisfazioni. Anche se, per quanto riguarda la parte negativa, ritengo che non fosse colpa mia. Ma credo che questo possa servire a descrivere in quale ambiente certe volte si cresce e perché poi un poliziotto, giovane ed inesperto, potrebbe sbagliare nei confronti degli altri. Cose che, in parte, accadono ancora - purtroppo - anche se in modo diverso e meno traumatico grazie alla sindacalizzazione. La mia storia possa servire, come credo sia servita a me nell'impegno sociale sino a trovarmi oggi come rappresentante nazionale del Siap quale  membro della commissione paritetica centrale sulla formazione dei Poliziotti.

Entravo in Polizia esattamente 30 anni fa, il 6 settembre del1983.
Ci entravo per caso. Il mio maestro di Karate, Mario Gregoraci - papà di Elisabetta, il quale ancora oggi ringrazio per l’affetto dimostrato allora e ancora oggi quando ci incontriamo nel mio paese nativo - mi dice una sera: hai fatto il militare? Vuoi fare il militare in Polizia nel Gruppo sportivo Fiamme Oro? Si rispondo io.

E così, dopo le previste selezioni – eravamo 4 della nostra palestra e siamo passati solo in 2 – mi trovavo catapultato in un mondo che non conoscevo, in un mondo nel quale non avrei mai pensato di entrare. Mi ricordo ancora quel 6 settembre. Mio papà e mio fratello mi accompagnavano alla Scuola Polizia di Vibo Valentia, entravo, pronti via, faccia al muro, perquisizione, sequestro soldi, forbici ecc. Uno che urlava  sempre;  e senza sapere il perché, mi trovavo a faccia per terra ad effettuare flessioni... mah, dicevo, dove diavolo sono?

Passo le selezioni, inizia il corso, ed inizia dal barbiere - vedasi foto - rapata quasi a zero con sfumatura altissima (forse per questo mi è  venuta la cervicale). Terribile per me, che sino a pochi minuti prima avevo i capelli che toccavano le spalle. Ed eccoci. di corsa, sempre di corsa, persone che urlavano, che ti esaltavano, che ti facevano marciare, che ti facevano fare flessioni ecc, tanto che, ancora oggi, quando guardo il film "Ufficiale Gentiluomo" o "Full Metal Jacket" , rivivo quei momenti.

E così, si finisce il corso. Intanto giro l’Italia con i miei colleghi e il mio maestro di Karate, per partecipare a competizioni sportive riuscendo anche ad ottenere ottimi risultati. Mi ricordo ancora, la gara del 18 dicembre 1983, a Brescia, quando ho preso una dura legnata da un Carabiniere - ma ne avevo eliminati tre in precedenza - dopo aver visto la sera prima il film Karate Kid. La mossa di quel film non mi ha portato fortuna. Arrivai secondo, ma ero pieno di Novalgina causa mal di denti e sono quasi svenuto.

Finito il corso, mi misero a fare l’istruttore al corso successivo, e come un “demente” ho fatto agli altri quello che era stato fatto a me, sbagliando. Ma allora, era impossibile opporsi al sistema, anche se nel 1983 la smilitarizzazione non era ancora presente affatto. Ed è questo il periodo del quale mi vergogno, anche se mi giustifico in quanto giovane - avevo solo 18 anni- e, dopo un corso del genere, non puoi che uscire esaltato e motivato oltre ogni buon senso in un sistema affatto democratico.

Chiedo scusa, a tutti quei colleghi che ho “maltrattato”, ma il sistema prevedeva questo. Oggi, grazie  alla fiducia datami dall’ex direttore della Scuola di Piacenza Adamo Gulì - che reputo davvero un padre e al quale voglio bene davvero - avendomi fatto fare l’istruttore di Guida Operativa, e grazie all’attività sindacale, spero davvero di essermi riscattato. Lo spero davvero.

Ho voluto raccontare tutto questo con la speranza di far comprendere ai cittadini come è importante che un Poliziotto cresca e viva in un sistema democratico e come, se tale non è (soprattutto quando si è giovani) il trattamento subito ti porti a sbagliare con gli altri. Ancora pochi anni e andrò in pensione, se le cose rimangono così - lavoro da quando ho 14 anni - ma sino all’ultimo giorno, e anche dopo se riuscirò a scrivere in un giornale, lotterò per un Polizia sempre più democratica e civile al vero servizio dei cittadini. Credo, senza falsa modestia, di aver dato, e spero di dare anche ora e dopo.

Racconterò nel prossimo futuro altri episodi, sperando che i racconti della mia vita lavorativa e di qualche altro collega - ancor più “sbirro” di me - possano servire a far comprendere un modo di lavoro a volte sconosciuto e incompreso, fatto da uomini e donne davvero eccezionali, con aspetti negativi: ma che per me è il più bel servizio-lavoro che ci sia. Amo la Polizia, ma per aggiustare un’auto, al meccanico, bisogna dire cosa non funziona anche a costo di pagare un prezzo. E per questo racconterò anche cosa è successo a me e a tanti colleghi per aver affrontato un sistema che fa fatica a cambiare del tutto.

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