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Esse come sicurezza

Esse come sicurezza

A cura di Siap (Sindacato italiano appartenenti polizia) di Piacenza

Stragi del sabato sera, l'altra faccia della medaglia

Innumerevoli opinioni, proposte, statistiche, leggi ed interventi si sono susseguiti e rincorsi al solo ed unico scopo di comprendere, spiegare, risolvere e capire. Ma quel fenomeno drammatico denominato “stragi del sabato sera” sembra essere divenuto inesorabilmente un tratto distintivo della nostra tormentata penisola

Tempo fa scrissi una lettera sulle stragi del sabato sera su richiesta della Segreteria nazionale Siap. Una lettera che intendo riproporre a distanza di anni. Le mie impressioni - emozioni nell’intervenire in sinistri stradali gravi. Molti ne ho rilevati con i miei colleghi. Molti ne ricordo. Anche se, quello che mi ha colpito, mi ha segnato, lo ricordo e lo ricorderò sempre;  è quello che tuttora sento ogni volta che ci penso. Sento l’odore di carne bruciata e il dramma di intervenire nel cercare di capire se in quell’auto in fiamme, in autostrada, c’era, oltre ai due passeggeri seduti davanti,  anche un bambino sdraiato dietro. Odore e disperazione che ancora oggi ricordo… il bambino non c’era, erano 2 valigie poste nei sedili dietro… lo abbiamo capito dopo aver spento il fuoco con i pompieri,  ma ricordo l’impotenza nel non poter intervenire e quell’odore che ancora oggi sento.
 
In questi ultimi anni tanto si è parlato e tanto si è detto sulle stragi del sabato sera. 
Innumerevoli opinioni, proposte, statistiche, leggi ed interventi si sono susseguiti e rincorsi al solo ed unico scopo di comprendere, spiegare, risolvere e capire. Ma quel fenomeno drammatico denominato “stragi del sabato sera” sembra essere divenuto inesorabilmente un tratto distintivo della nostra tormentata penisola; incomprensibile, per le limitate possibilità cognitive della psiche umana; irremovibile ed incontrollabile nel suo riproporsi, per alcuni addirittura imprescindibile.

Parlare delle stragi del sabato sera ponendo dati, studi e ricerche rischia di apparire banale, ripetitivo o addirittura fatalmente riprospositivo. Ciò posto ho deciso, come rappresentante sindacale ed operatore della polizia stradale, di proporre un intervento diverso, che muova dalle emozioni che l’operatore-uomo-donna della Polizia stradale, padre e madre di famiglia vive, quando viene chiamato per intervenire su un sinistro stradale occorso in piena notte o a mattina appena iniziata in un week-end qualsiasi, dovendo “forzatamente” operare su rottami accartocciati davanti a giovani vite stroncate, scenari ai quali non ci si abitua mai. Sentimenti che noi operatori della sicurezza condividiamo con altri che a vario titolo intervengono sui luoghi del sinistro: vigili del fuoco, vigili urbani, personale ospedaliero, giornalisti ecc… 

L’altra faccia della medaglia delle stragi del sabato sera.
Già dalla segnalazione che proviene dalla sala operativa ti sale il cuore in gola al solo pensiero di doverci essere e dover vedere uno spettacolo, il più delle volte raccapricciante, che un grave  incidente stradale quasi sicuramente mostrerà.
Durante il percorso di avvicinamento al luogo del sinistro cresce l’angoscia mentre il tuo pensiero di uomo qualunque che rappresenta lo Stato rincorre la speranza che le persone coinvolte non abbiano subito gravi conseguenze o che siano rimaste, al più, solo gravemente ferite. 
Speri che il tuo intervento tempestivo e coordinato con quello di altri corpi (118 e vigili del fuoco) possa servire a salvare una giovane vita umana. 
Ma quando arrivi e prendi coscienza della morte giunta così presto. Quando vedi i corpi - o ciò che resta - inermi sull’asfalto, capisci che non c’è più nulla da fare. Ti senti impotente dopo averli guardati in viso (non si può fare a meno di farlo), mentre il tuo pensiero, oltre al profondo dispiacere per la giovane vita stroncata, va ai genitori, ai famigliari e agli amici. 
Continui ad operare per portare a termine quei “maledetti” rilievi di legge, ma stai già pensando a come contattare i parenti di quei giovanissimi che hanno terminato la loro esistenza in modo così violento, drammatico, surreale, incomprensibile, tornando da una discoteca qualunque su una strada qualunque.
Cerchi di fare il più presto possibile per organizzare la rimozione delle salme e delle ferraglie che pochi attimi prima qualcuno chiamava automobili, pensando a come fare per evitare che i familiari, tempestivamente informati, assistano allo spettacolo che tu hai dovuto ingoiare.

Per i familiari sarebbe un tormento ancora più straziante. Sei scosso. 
Il tuo pensiero va a tuo figlio e a tante giovani vite e ti chiedi come fare per poter evitare che questo, un giorno, possa accadere ad altri. 
Sei tormentato. In quei momenti capisci che nessuno è immune in quei veicoli frutto di studi sulla sicurezza, dotati di tecnologie avanzate in grado di raggiungere elevate velocità le cui prestazione vengono fin troppo pubblicizzate, mentre basterebbe un limitatore, altro che “palloncini” che si gonfiano all’urto, è l’urto che bisogna evitare, è la velocità che bisogna limitare, e le tecnologie esistono per fare questo. A volte è capitato di rilevare sinistri stradali con esito mortale dove la giovane vittima non ha riportato alcuna lesione visibile, essendo l’urto violento la causa di numerose e gravi fratture interne che hanno determinato la morte. 

Come spiegare a tuo figlio e a tanti ragazzi che bisogna guidare con prudenza, che non bisogna bere, che ci sono altri modi per provare emozioni senza tentare di superare, sulla strada, la barriera del suono.
Che ci sono altre strade.
Come spiegare ai nostri figli che devono chiamare i genitori a qualsiasi ora della notte quando si hanno problemi per tornare a casa, perché solo i genitori sono quelle persone che veramente ti aiutano. Come possiamo far capire ai nostri figli che vanno a divertirsi che lo possono fare senza rischiare la vita. 
Come possiamo far comprendere ai nostri figli che la vita è una sola e va vissuta, ma siccome è una sola va vissuta il più a lungo possibile, o che la vita può essere anche un ponte da attraversare ma vale sempre la pena di costruirci una casa sopra.
Mentre si pensa a tutto questo arriva il momento che non vorresti arrivasse mai: devi comunicare ai genitori la morte del figlio o della figlia. 
Non sai come farlo nonostante tu lo abbia fatto più volte. 
Dentro quella divisa batte un cuore di un essere umano, di un padre e madre di famiglia, con le sue emozioni e con le sue debolezze. 
Eppure lo devi fare. 
Ti faresti in quattro, daresti tutto per poter alleviare il dolore mentre cerchi qualcuno, tra i parenti, con maggiore forza. Ma non sempre lo trovi. 
Cosa puoi fare? Devi dire a loro che il figlio è morto, che non c’è più nulla da fare, mentre ti senti impotente e vorresti sprofondare. 
Non c’è più nulla da fare, gli stai vicino, li ascolti, cerchi di dargli un sostegno con tutto te stesso. Proprio in quei momenti drammatici, anche se sei impotente al dramma, ti senti umanamente e professionalmente utile e veramente vicino alle persone che si “aggrappano” a quella divisa che indossi e a tutto ciò che rappresenta  come punto di riferimento e per trovare un sostegno che non potrà mai lenire minimamente il dolore per una perdita di una giovane vita.
  
Quando torni a casa la maggior parte delle volte è notte fonda o mattina presto. 
Apri la porta della camera da letto, guardi tuo figlio dormire, lo baci e preghi con la speranza che scelga sempre la giusta via anche se sai, e il tuo mestiere purtroppo te lo insegna, che dal senso opposto può sempre arrivare un imbecille. 

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