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Uccellacci e uccellini

Uccellacci e uccellini

A cura di Filippo Mulazzi

La Provincia è salva: l'unico spreco è stato quello di tempo

Il 10 gennaio gli amministratori locali rinnoveranno il consiglio provinciale, dopo che l'ente è sopravvissuto all'abolizione. Meglio tenersi le care e vecchie Province così come le abbiamo conosciute, piuttosto che il "mostro" Area Vasta

Checco Zalone dovrà fare un sequel, magari in via Garibaldi. Nel suo “Quo Vado” il protagonista si trovava “invitato” a rassegnare le dimissioni dal posto di lavoro in Provincia. Dopo il fallimento della riforma Delrio, le Province torneranno infatti ad assumere: a Piacenza serviranno impiegati, cantonieri, forse anche qualche dirigente, per portare avanti la mole di lavoro dell’ente che ha la sua sede in via Garibaldi. E probabilmente si tornerà anche a votare. Non come il 10 gennaio: giorno in cui oltre cinquecento amministratori locali sceglieranno la composizione migliore del prossimo consiglio provinciale.

È proprio vero: si capisce l’importanza di una cosa quando questa viene a mancare. È stato un po’ così anche per le Province. Ente dileggiato dall’ex premier e segretario del Pd Matteo Renzi come la sede di tutti gli sprechi. Con la Riforma Delrio del 2014 sembrava che, magicamente, i mali endemici di questo Paese venissero debellati. Tagliando qualche poltrona sul territorio, si sarebbe risolto tutto. La riforma ha dovuto seguire un lungo percorso: la “Delrio” è stato solo il primo passo, passo che ha provocato tagli pesanti al bilancio, pre-pensionamenti, precari senza lavoro e tante incertezze. Insomma, tre anni vissuti nell’ente di via Garibaldi nell’intento di ricercare un equilibrio. Due anni in cui undici persone, già sindaci, assessori e consiglieri dei comuni del Piacentino, hanno dovuto sdoppiarsi, caricarsi di nuove responsabilità a titolo gratuito per essere presenti anche in via Garibaldi.

Di settimana in settimana tutti si sono accorti – anche diversi primi cittadini del Pd, che magari non lo dicono apertamente ma al bar lo ammettono – dell’importanza di questo ente. Ma la grande macchina si era già messa in moto e Renzi marciava filato verso l’ultimo passo: il Referendum Costituzionale del 4 dicembre. Lì i cittadini gli hanno giocato un brutto scherzo: dietrofront, le Province devono rimanere, la Costituzione non si tocca. Anche la gente ha probabilmente capito che è meglio tenersi un ente radicato sul territorio - con amministratori scelti non per interposta persona - piuttosto che un mostro a più teste come l’Area Vasta con Parma e Reggio Emilia. E i piacentini hanno anche avuto il timore che gli altri due territori fossero più bravi di noi nel farsi spazio nella nuova istituzione. Meglio lasciare le cose come stanno.

Stando a quanto ci dice il presidente Francesco Rolleri e da quanto trapela da Roma, tornerà più o meno tutto come prima: le Province rimangono con le funzioni che hanno mantenuto in questi ultimi mesi, ma si tornerà in futuro a votare un’Amministrazione e un consiglio provinciale, a suffragio universale. Questa mancata riforma è servita forse per snellire un po’ l’ente come dice il presidente Rolleri - sì, ma che costi “umani” ha avuto questo salto nel buio? – e per liberarsi di qualche funzione, passata alla Regione. La Provincia del futuro si troverà così a lavorare su poche funzioni, anche se difficilmente potrà contare su bilanci generosi. Si torna al passato. «Ci si è provato», ha spiegato Renzi. Però nel frattempo si sono buttati via tre anni, in cui si è venduto il prodotto «aboliamo le Province» a ogni iniziativa politica e in ogni dibattito, e tante energie. Ne è valsa veramente la pena? Non si poteva impiegare tutto questo impegno verso altri problemi del Paese?

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