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Giampietro Bisaglia

Direttore Responsabile

Video dello stupro, Giorgia Meloni e giornali: ecco qual è davvero il problema

La leader di Fratelli d'Italia al centro delle polemiche per il video dello stupro di via Scalabrini sui social, il suo parlamentare Tommaso Foti aveva scelto di non pubblicarlo. Ma la questione è un'altra: quelle immagini raccapriccianti non avrebbero dovuto essere pubblicate per prime dai giornali

«Pur essendo in possesso delle immagini dell’atto di violenza sessuale compiuto questa mattina in Via Scalabrini da un originario della Guinea, in attesa di permesso di soggiorno, nei confronti di una cittadina Ucraina, mi sono astenuto dal pubblicarle su Facebook sia per rispetto della vittima, sia per evitare di alimentare folli gesti emulativi». Così il parlamentare piacentino di Fratelli d'Italia Tommaso Foti ha subito messo le cose in chiaro prima di condannare il grave fatto di cronaca accaduto domenica 21 agosto, e che ovviamente è poi diventato un caso nazionale: una donna stuprata in mezzo alla strada di giorno. Ne è poi nato un caso nel caso, un dibattito completamente parallelo al fatto in sé, appunto la pubblicazione del video che documenta e immortala quello scempio animalesco. 
Fatta subito la doverosa e inopinabile premessa che quel video, nell'azione penale, è e sarà una provvidenziale schiacciante prova sulla testa dell'indagato per cristallizzarne la condotta  - particolare non scontato visto che in tanti casi analoghi, privi di riscontri oggettivi, il detto "è la tua parola contro la mia" ha vanificato indagini per violenza - il dibattito nell'arena fangosa dei social network si è spostato per buona parte sulla divulgazione di quelle immagini, fatta in primis da testate giornalistiche nazionali. 

La bufera di indignazione, acuita ovviamente dalla campagna elettorale, si è abbattuta su Giorgia Meloni, unico attore politico ad aver postato su Twitter e Facebook quel video: la stessa Meloni leader del partito del parlamentare piacentino che invece, come detto sopra, ha messo fin da subito in chiaro che divulgare pubblicamente quelle immagini non era opportuno. Una presa di posizione certamente virtuosa, quella di Foti, che la nostra testata in questo caso specifico condivide pienamente.

Ora, da una rapida analisi del post incriminato, si intende che la leader di FdI non abbia postato direttamente il video di Piacenza, ma abbia ripreso quelle orride immagini che erano già state pubblicate (minimamente schermate almeno) dal sito di un quotidiano romano (ma che dallo stesso quotidiano pare siano state ora eliminate, per fortuna) lasciando anche il logo della testata ben visibile. In buona sostanza "Giorgia" ha pubblicato qualcosa che era già ampiamente di pubblico dominio. E chiariamo bene, a scanso di equivoci, che qui non stiamo prendendo alcuna posizione pro o contro il post della Meloni. Dio ce ne scampi. 

Da addetti al mestiere ci sorgono però una serie di considerazioni, in primis deontologiche, che riguardano appunto il caso in cui i giornalisti travalichino i limiti del diritto di cronaca. E questo, a nostro giudizio, è un caso da manuale. 
Riteniamo sia sufficiente rimandare all'articolo 15 della legge sulla stampa (la n.47 del 1948) che riguarda le pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante:
"Le disposizioni dell’art. 528 del Codice penale si applicano anche nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti". Inutile affermare che anche questo deve valere per l'informazione digitale.
Su questo argomento c'è anche tanta giurisprudenza, tutta facilmente reperibile in rete per chi volesse approfondire meglio.
La pubblicazione di quel video raccapricciante si è poi scatenata anche su altri quotidiani nazionali, dando vita alla per nulla edificante gara di testate digitali (alcune pseudo tali) tra chi riusciva a pubblicarlo con meno particolari oscurati possibile. Fino ad arrivare, dulcis in fundo, al giornale nazionale milanese che, scavando il fondo, lo ha pubblicato nudo e crudo, con buona pace (ma speriamo no) di Odg, Fnsi, Agcom, Garante e chi più ne ha più ne metta.

Per onestà intellettuale va detto che per chi fa professionalmente informazione digitale nel 2022 il "limes" tra diritto di cronaca, clickbaiting e voyeurismo pruriginoso è, certe volte, sottile, insidioso e proporzionale alla maledetta corsa contro il tempo richiesta dalla dittatura della Seo, l'indicizzazione degli articoli sui motori di ricerca. La sconveniente gara alla viralità dei contenuti non ha mai risparmiato nemmeno noi. Anzi, abbiamo ben chiari davanti agli occhi alcuni errori (pochi per fortuna) di contenuti che, in passato, abbiamo pubblicato in prima battuta, e che poi o abbiamo rimosso o abbiamo rimodulato.
Ma ci sono limiti oggettivi che non possono e non devono essere valicabili, e il video del stupro di via Scalabrini ne è l'esempio lampante.  

Tutto ciò è solo la micro punta di un iceberg immenso, di un problema sottovalutato da tutti (in primis dal legislatore) che riguarda una riforma seria, urgente, tecnica e attenta dell'informazione digitale in Italia. La deriva figlia dell'epoca di iper-informazione nella quale siamo immersi fino al collo (giornalisti compresi) sta correndo più del cambiamento climatico e cagionerà alla società civile danni altrettanto impattanti.
L'informazione non va censurata, va regolata: che è l'esatto opposto della recente riforma Cartabia sulla presunzione di non colpevolezza, ma questo è altro argomento.

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