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Cronaca

Armi e chili di droga, chiesti 13 anni per un albanese

Il pm Colonna chiede anche la condanna di un piacentino a 3 anni per ricettazione. Nessuno ha raccontato il vero, secondo la procura. Il blitz della Finanza a San Lazzaro nel 2017. La difesa del piacentino: non c’è reato. Il difensore dell’immigrato: inutilizzabili le dichiarazioni dello zio che lo ha denunciato e quelle della Finanza

L’ACCUSA

«E’ un processo caratterizzato dalle mancanze» ha esordito il pm. Manca la chiamata in correità, «e più persone lo hanno fatto» di alcuni, ma poi si è sciolta come neve al sole. Manca la difesa di Adriatik che non ha mai detto di essere innocente, «se io non avessi fatto nulla, non avessi cioè saputo di armi e droga in casa mia, lo avrei urlato». «Se Adriatik tace, Altin parla» ha continuato Colonna, ricordando le condanne del secondo a 15 anni per l’omicidio e la distruzione del cadavere di un giovane albanese all’interno di un giro di prostituzione, nel 1997 a Sesto San Giovanni (ora è in Cassazione) e a 8 per la detenzione di droga e armi a San Lazzaro. Nel tentativo di scagionare il fratello, prosegue il pm, ha detto che droga e armi erano dello zio affermando che «gli aveva promesso 3mila euro la mese per tenergli la Annalisa Cervini 2-2-2cocaina in casa. Mio fratello non sapeva cosa ci fosse in casa e nel garage aveva detto. Ma tutto questo è vero?» si domanda il pm. Altin aveva detto di aver cambiato le serrature, ma non risulta. Prima disse che la coca era dello zio, poi ha detto che era di un altro albanese, un grosso spacciatore coinvolto in una operazione della Finanza di Varese. In aula disse di aver portato lui la droga in cantina e che fosse dell’albanese, ma mesi prima aveva negato. Se le armi erano dello zio, come mai su un calcio di una pistola era stata trovata un’impronta di Altin? «Altin non è credibile» ha rincarato il pm.

Colonna si rivolge poi ad Adriatik: la casa a San Lazzaro è stata affittata ad Altin, ma le proprietarie hanno sempre visto solo Adriatik, che si occupava di tutto. Anzi, aggiunge il pm, Adriatik propone di affittare la casa al fratello e il box a Boselli «cioè a un terzo, che senso ha?». La merce stoccata nel capannone, elettrodomestici e scarpe, era rubata. Le scarpe, poi, erano destinate al macero come è emerso da un codice particolare sulle scatole. La società Adelaide, di Adriatik, effettuava trasporti anche per grandi gruppi commerciali.

E il nome di Adriatik spunta anche in alcune telefonate con l’albanese arrestato nell’operazione Patrasso, a Varese. Questo era uno spacciatore di grosso calibro, sostiene Colonna, e i rapporti fra di loro non erano certo di lavoro. Una caratteristica del pusher era di acquistare in quantità, chili, e poi farla tenere da altre persone. Nella telefonata dopo l’arresto di Altin, Adriatik lo informa che il fratello era finito in carcere«“lo hanno ricoverato ieri in ospedale”. Perché informarlo dell’arresto se i due erano solo in affari?». Per il pm un altro indizio è un colloquio intercettato in carcere, dove Adriatik si chiede «chi ha fatto la spia?».

Per ultimo, Colonna analizza il ruolo di Boselli: «Ha sempre detto di non saper nulla di quella merce e di tutte le carte carburante ritrovate nel magazzino. Eppure era merce molto visibile e occupava molto spazio». In una telefonata dice di lavorare lì da 10 anni «eppure non si è mai accorto di nulla». E, dice il pm, Boselli non sapeva niente nemmeno dell’affitto di via Sacconi, stipulato a suo nome.

 

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