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Bancarotta fraudolenta, il "re dei trasporti" condannato a cinque anni
Due condanne e quattro patteggiamenti hanno chiuso il primo grado del processo contro il gruppo di persone accusate di aver svuotato l'azienda Caorso Trasporti di La Spezia, acquistata nel 2008 e in seguito fallita, avendo venduto 337 camion a ignari compratori
L’inchiesta era stata svolta dalla Procura di Piacenza, con l’appoggio della Direzione Investigativa Antimafia di Genova e di Bologna e della Guardia di Finanza, aveva portato - nel giugno del 2015 - all’arresto di tre persone accusate di falso, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza delittuosa e trasferimento illecito di valori (autoriciclaggio). L’intervento degli organismi antimafia era dovuto al fatto che Piras e Trascendi sarebbero stati in contatto con la criminalità organizzata (‘ndrangheta). Secondo le accuse, dopo aver rilevato società fallite, creavano altre società ad hoc e poi dirottavano milioni di euro all'estero. Una truffa ben congegnata quanto particolarmente nauseante nei suoi contenuti, perché basata sullo sfruttamento dei fallimenti di società pulite e oneste.
Secondo gli inquirenti il sistema fraudolento era semplice. La banda rilevava società in fallimento, le intestava a terzi e le svuotava dei beni, vendendo a ignari compratori. Il ricavato - milioni di euro - veniva dirottato su conti correnti esteri in Francia, Monaco, Svizzera e Montecarlo o ad altre società fittizie, circa una ventina, spesso fatte fallire anch’esse dopo avere ottenuto finanziamenti per acquisto di veicoli. Al momento dell'arrivo del curatore fallimentare le società avevano solo debiti e nemmeno un euro in cassa. Due degli arrestati, Piras e Trusendi, operavano nella zona fra La Spezia e Massa Carrara. Sono faccendieri conosciuti dalle Forze dell’ordine, con alle spalle precedenti penali: il primo condannato per narcotraffico, il secondo per bancarotta e fallimenti societari. La terza, Gabrielle Baldar, è invece una svizzera che si occupava delle complesse consulenze legali del gruppo e che ha contatti con l'alta finanza e il mondo della politica. Nella perquisizione dell’abitazione di Trusendi, residente nello Spezzino, gli investigatori hanno trovato un milione di euro in contanti - suddivisi in mazzette nascoste in varie parti - e svariati assegni per centinaia di migliaia di euro intestate alle società fallite, assegni che sarebbero dovuti essere nelle mani dei vari curatori e non più in quelle degli imprenditori arrestati.