rotate-mobile
Cronaca

Botte e costole rotte alla moglie incinta, condannato a sei mesi

Un 48enne è stato condannato a sei mesi di reclusione (con la sospensione della pena) per lesioni, mentre è stato assolto dai reati di maltrattamenti in famiglia e procurato aborto. La vicenda

E’ stato condannato a sei mesi di reclusione per lesioni, mentre è stato assolto dai reati di maltrattamenti in famiglia e procurato aborto. Il collegio dei giudici, presieduto da Gianandrea Bussi, a latere Luca Milani e Ivan Borasi, ha ritenuto responsabile delle botte alla moglie incinta il marocchino che, nel luglio del 2012, le ha rotto una costola e gliene ha incrinata un’altra, mandandola all’ospedale anche con un labbro gonfio. Il giudice ha disposto per l’uomo di 48 anni, difeso dall’avvocato Michele Cella, la sospensione della pena. La donna non si è costituita parte civile.

Accorata la requisitoria del pm Antonio Colonna, che ha puntato sulla mancanza di rispetto del nordafricano verso la moglie «che va oltre l’impostazione culturale». «Qui si raccontano due fatti opposti, lui che aggredisce lei e viceversa - ha esordito il pm - ma a fare la differenza sono i certificati medici». Lui difendendosi aveva detto che lei lo aveva graffiato, colpito anche ai testicoli. «Lo aveva fatto e poi si era colpita da sola per mandarmi in carcere» ha detto il pm ricordando le parole dell’imputato. Al pronto soccorso, però, una settimana dopo la prognosi è di 15 giorni per un colpo alla mano «quella con cui ha colpito la moglie, non riscontrando altri traumi, né arrossamenti, né tumefazioni né graffi. Non c’era nulla».

Diverso il referto per la donna. Il giorno dopo si fece visitare e i medici riscontrarono «la frattura della sesta costola e l’infrazione della quinta. Un evento molto doloroso. E poi colpi all’addome e al torace, edema al labbro». Dopo qualche tempo lei vuole anche abortire e all’ospedale la trovano ancora con i segni della violenza fisica. Una storia toccante quella della marocchina di 47 anni, che già 15 anni prima si era separata da un marito violento che non accettava che lei lavorasse. E per proteggerla dall’uomo, venne sistemata dai servizi sociali in una comunità.

Ma per lei le angherie non erano finite. Il pm ha sottolineato come lei avesse detto di non volere rapporti sessuali, né una nuova gravidanza, segni di mancanza di rispetto. E in aula la donna aveva ammesso la differenza di cultura perché nel “nostro mondo l’uomo ha il diritto di …”. «E’ inaccettabile - ha tuonato Colonna - questo va contro la volontà dell’individuo a prescindere dall’impostazione culturale. E poi lui si lamentava anche quando doveva tenere i bambini perché è la donna che li deve accudire». Una situazione, però, accettata dalla moglie in nome dei figli piccoli che aveva. Il pm, infine, ha chiesto valutare il reato di falsa testimonianza per la sorella dell’uomo che aveva negato ogni violenza sostengo che in quella casa c’era la tranquillità.

L’avvocato Cella ha subito replicato contro la «crociata culturale del pm. Lei aveva già denunciato il marito, ma poi aveva ritirato le querele. E in più occasioni si era rivolta ai servizi sociali per chiedere aiuto e soldi. Ha trovato una soluzione ai suoi guai denunciando il marito. Una donna volitiva che si imponeva sul marito. I maltrattamenti non sono stati provati, non erano episodi ripetuti nel tempo. Non c’è niente. Per questo chiedo l’assoluzione per tutte le accuse».

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Botte e costole rotte alla moglie incinta, condannato a sei mesi

IlPiacenza è in caricamento