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Cronaca

«Servitori dello Stato accecati dall'arroganza di chi si crede al di sopra delle regole»

Processo Levante. Altra udienza del processo per i cinque carabinieri che hanno scelto il rito abbreviato. Il 12 aprile la requisitoria del pm Antonio Colonna è durata più di sei ore ed è iniziata citando la strage di via D'Amelio. Il 26 aprile parlerà il sostituto procuratore Matteo Centini

Processo Levante. E’ durata più di sei ore la prima delle udienze dedicate alle requisitorie dei pm che hanno condotto, coordinati dal procuratore capo Grazia Pradella, le indagini della Guardia di Finanza e della Polizia Locale terminate con la maxi operazione Odysseùs e che mise le manette il 22 luglio 2020 ai carabinieri della Levante e a una decina di pusher. Cinque dei carabinieri arrestati hanno scelto il rito abbreviato, uno solo (Angelo Esposito) ha scelto il rito l’ordinario, tutti gli altri, che sono civili, hanno deciso per il patteggiamento.

Nella giornata del 12 aprile in un’aula di Piacenza Expo, davanti al gup Fiammetta Modica, agli imputati processati con rito abbreviato (Marco Orlando, Daniele Spagnolo, Giacomo Falanga, Giuseppe Montella e Salvatore Cappellano), ai loro avvocati  (in ordine: Antonio Nicoli, Aldo Truncé e Francesca Beoni, Daniele Mancini e Paolo Molaschi, Giuseppe Dametti ed Emanuele Solari, Paolo Fiori) e ai legali delle parti civili (presente anche l'avvocatura dello Stato), per sei ore e mezzo ha parlato il pm Antonio Colonna. Con lui anche il sostituto procuratore Matteo Centini e il procuratore capo Grazia Pradella. Tutti gli imputati erano in aula e il processo si è svolto a porte chiuse come da prassi. La prossima udienza è prevista per il 26 aprile.

polizia penitenziaria 2021-2LA REQUISITORIA - Colonna ha aperto la sua requisitoria citando l’epilogo dell’ordinanza del gip Luca Milani e quindi confrontando i carabinieri accusati di gravi reati e altri uomini servitori dello Stato che persero la vita nell’adempimento del loro dovere riferendosi alla strage di via D’Amelio nella quale morirono il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta: «Nel concludere la stesura di questo provvedimento – scriveva Milani il 19 luglio - basato sulle risultanze investigative trasmesse tempestivamente dal pm, il pensiero non può che andare al caso, il quale ha voluto che la data di conclusione del presente lavoro sia la stessa in cui, 28 anni fa, servitori dello Stato, di tutt’altro spessore rispetto agli indagati, persero la vita compiendo il proprio dovere. A loro si dedica questo atto di giustizia».

Colonna nella lunga requisitoria ha anche tratteggiato i caratteri degli imputati e successivamente ha anche parlato di "sdegno per chi deve proteggere e diventa aguzzino" riferendosi alle condotte dei carabinieri infedeli parlando di "arroganza di chi si crede svincolato da qualsiasi regola". Poi è posto l’accento su quella che è stata definita "follia dei numeri" ossia "l’ossessione spasmodica da parte di alcuni vertici per gli arresti che non servivano per migliorare la sicurezza ma derivavano da una rivalità con i carabinieri della compagnia di Bobbio e per snocciolare numeri, statistiche e attività sia nelle conferenze stampa sia nelle varie ricorrenze. Una deriva che ha fatto perdere l’obiettività".

Colonna ha poi parlato delle varie fasi dell’indagine e si sono ripercorsi gli interrogatori degli imputati Falanga, Orlando e Spagnolo di quest’ultimo il magistrato ha sottolineato l’ingenuità. Mentre nella prossima udienza si parlerà anche di quelli di Cappellano e Montella (in carcere come Falanga ed Esposito dal giorno degli arresti). Colonna ha messo a confronto le dichiarazioni dei carabinieri e le varie incongruenze delle dichiarazioni incrociando le affermazioni. Ha poi trattato dei vari capi d’imputazione: dai meno gravi fino ad arrivare alle percosse e alla tortura. E’ emerso - avrebbe detto il pm – che di quello che faceva Montella al di fuori della caserma, ossia “gli affari” con i Giardino e Gherardi circa la droga acquistata a Milano etc i colleghi erano all’oscuro mentre di quanto accadeva all’interno della Levante e durante l’attività istituzionale nell’orario di servizio, i colleghi indagati sapevano ed erano a conoscenza del modus operandi (pagamento degli informatori con la droga, arresti costruiti ad hoc, percosse, mancate segnalazioni alla prefettura degli assuntori etc).

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