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Cronaca

Cattolica, così la ‘ndrangheta penetra al Nord e anche a Piacenza

Università Cattolica, Dalla Chiesa e Della Volpe al seminario "Criminalità mafiosa e sviluppo economico in tempo di crisi: l'informazione alla prova dei fatti". «Le mafie sfruttano la crisi economica per sistemarsi grazie anche alle collusioni con la pubblica amministrazione»

Il Nord, e le nostre zone Emilia Romagna e Piacenza, non sono preparati alle infiltrazioni mafiose. La più pericolosa, la ‘ndrangheta utilizza strategie di penetrazioni come avviene nell’economia, studia i tempi, ma resta ugualmente feroce, insensibile alla vita umana e votata solo al profitto grazie anche a politici spesso conniventi. «Ricordo come alcuni anni una docente di Reggio Calabria mi disse che era un peccato che alcuni dei suoi migliori allievi se ne sarebbero andati. Andavano a Milano con tutte le famiglie. Là c’era Expo, i grandi affari. Era il 2009».

Nando Dalla Chiesa, docente universitario e figlio del generale Carlo Alberto ammazzato insieme con la moglie dalla mafia siciliana ha parlato questa mattina, 11 marzo, all’università Cattolica, al seminario Criminalità mafiosa e sviluppo economico in tempo di crisi: l’informazione alla prova dei fatti”, organizzato dall’’università, dall’Ordine dei giornalisti e da Libera. Eramo presenti anche Francesco Timpano, Antonella Depperu e Giuseppe Chizzoniti, docente della Cattolica, Santo Della Volpe, giornalista Rai e presidente di Libera Informazione e Carla Chiappini, giornalista, del consiglio di disciplina dell’Ordine. Folta la platea, composta di studenti, Forze dell’ordine e giornalisti.

Che la nostra provincia sia la principale in regione come infiltrazione della ‘ndrangheta lo dice la relazione della Direzione distrettuale antimafia di Bologna. Ma qui, tanti, ancora pensano sia uno scherzo e dimenticano le operazioni Grande Drago, Annibale, e alcuni strani incendi in aziende o camion bruciati oltre ai sei immobili sequestrati nella nostra provincia.

I giornali dovrebbe cominciare a osservare meglio il loro territorio, capire perché se un’azienda stava per fallire all’improvviso si riprende, chi primeggia nell’edilizia, quali persone nuove emergono nel mondo economico e del commercio. Molto spesso non lo fanno, perché non se ne accorgono, e con loro anche poliziotti e magistrati, ha ricordato Della Volpe.

Timpano ha detto che il pericolo in tempo di crisi c’è. «La pubblica amministrazione è penetrata dalla mafia – che sfrutta il momento di bisogno di liquidità delle imprese. Bisogna capire meglio la “zona grigia” quella degli insospettabili, dei colletti bianchi, anche se non è facile. La Pubblica amministrazione è penetrata dalla mafia». E ai clan calabresi, che agiscono sulla base di vecchi stilemi – ha spiegato Dalla Chiesa – interessano le informazioni «e tu, che sei mio paesano, non me le puoi rifiutare. I film mostrano lo ‘ndranghetista moderno, che va col jet e la ventiquattrore. E’ falso: il capoclan sta al bar, non ha studiato, ma ha una capacità unica di gestire affari, relazioni sociali e conosce bene l’animo umano. I colletti bianchi, infatti, quelli che gestiscono i loro soldi vengono considerati dai mafiosi mercenari, quaquaraqua perché non sono veri affiliati». Naturalmente, dietro a questo c’è la ferocia, la forza dell’intimidazione, le armi da fuoco e la capacità di togliere la vita che non fa fare una piega ai criminali.

Dalla Chiesa ha fatto svolgere ai ragazzi studi sulle infiltrazioni delle realtà della Lombardia occidentale. «La ‘ndrangheta si insinua senza fare rumore, scegliendo gli appalti marginali, studiando dove ci sono pochi controlli o avendo collusioni con la pubblica informazione grazie a impiegati infedeli oppure a bancari infedeli» che avvisano i boss se un’azienda è in crisi per poterla “rilevare”. «A Milano – ha sottolineato Dalla Chiesa – con l’Osservatorio antimafia abbiamo aumentato questi controlli soprattutto nell’edilizia. Molti comuni sono disattenti. Una ditta che offre di urbanizzare un’area significa che paga subito e le casse dei Comuni sono affamate. Oppure, fingendo di non vedere o non capendo, gli amministratori dicono “sono bravi, certi lavori li sanno fare solo loro”».

Oltre alla penetrazione, la mafia si nutre con l’usura, il riciclaggio – acquistando locali pubblici magari nelle zone vicine ai palazzi del potere per poi conoscere e contattare persone – e al credito. La mafia pensa che il capitale può essere utile alla “famiglia” e allora non usa l’usura: fa votare un assessore, che poi darà il lavoro agli “amici” ricavando così denaro. Il grande business dei rifiuti è tutt’altro che finito: «In Lombardia la ‘ndrangheta smaltisce i rifiuti del Nord in loco». Inquietante poi la banca scoperta a Monza, da un’indagine che ha portato in carcere 40 persone, tra calabresi e imprenditori che avevano contatto i clan per guadagnare di più o evitare le tasse. Una dabbenaggine che è costata loro cara, anche se non ci hanno rimesso la vita o la famiglia come accaduto ad altri che si erano affidati ai criminali per risollevarsi.

Le sale da gioco sono una piaga, ma molti – Forze dell’ordine comprese – non vedono.  I clan soffrono la crisi e gli ultimi della catena hanno poco denaro. Una fonte sono le case da gioco. «Magari il Comune e la società civile dicono no a un insediamento, ma la questura poi dà l’ok. Per ovviare a questo si è pensato che per aprire una sala di slot machine siano necessarie entrambe le firme, del sindaco e del questore».

Insomma, hanno concluso i relatori, bisogna tenere gli occhi aperti, osservare, studiare se cambia l’economia, il commercio, gli immobili, chi sono i nuovi “uomini forti” di una città. Un compito affidato in prima linea anche ai giornalisti e alla stampa. E la comunicazione avrà un ruolo fondamentale. Purtroppo, ha ricordato Della Volpe, «anche la mia amata Rai è scivolata. L’altra sera guardavo una fiction sulla mafia e il finale era che la vecchia mafia era meglio della nuova. Un errore grandissimo, quelli non cambiano. Ho telefonato al mio amico Zingaretti per farglielo subito notare».

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