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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Certificazioni rilasciate con leggerezza: «Non è vero visitavo il paziente»

Processo per il medico che avrebbe certificato false malattie a un ex agente della penitenziaria che gestiva un traffico di prostituzione e spaccio. Il camice bianco: «L’ho sempre visitato». Ma l’accusa: «Il poliziotto telefonava e chiedeva giorni di malattia, è tutto registrato»

Quelle certificazioni venivano rilasciate con leggerezza. Non è vero, ho sempre visitato il paziente. Si è giocata su questi due assunti l’udienza di questa mattina, 2 dicembre, che ha visto imputato R. B., medico piacentino accusato di falso ideologico. Il camice bianco era stato coinvolto, e poi denunciato, nell’inchiesta della procura, e condotta dalla Polizia municipale, che aveva portato alla luce nel 2012 un giro di prostituzione, spaccio di droga e assenteismo dal lavoro. Questa mattina sono stati numerosi i testimoni che sono sfilati davanti al giudice Elena Stoppini e al pm Antonio Colonna. Il medico è difeso dall’avvocato Franco Livera.

In qualità di testimoni sono stati anche ascoltate due persone che hanno già patteggiato: A. A., ex assistente della polizia penitenziaria, e la sua convivente A. F.. Oltre ai tre, nell’indagine aveva patteggiato anche un altro imputato, G. V..

Al termine dell’udienza, il giudice ha rinviato il processo alla fine di gennaio per poter vedere la documentazione che ha chiesto di acquisire: le visite fiscali nei confronti di A. svolte negli anni.

Tra i testi sentiti, ci sono state anche le due segretarie del poliambulatorio medico dove il medico esercitava. Entrambe le donne hanno detto che spesso A. telefonava dicendo di non stare bene e di fare un certificato. Le donne hanno cercato di tergiversare, ma il giudice ha ricordato loro che esistono telefonate registrate – alcune sono state lette dal pm – e che se non si dice la verità si rischia il reato di falsa testimonianza. Dopo questi avvertimenti, le due impiegate hanno spiegato che loro conoscevano bene A., rispondevano al telefono e prendevano appuntamento con il dottore. Quando poi A. passava loro gli consegnavano una busta chiusa. Secondo il pm, l’ex assistente della Penitenziaria avrebbe avuto bisogno di tanto tempo per gestire i suoi “affari” all’esterno del carcere, procurando prostitute ai detenuti in permesso o spacciando hascisc. Alcuni investigatori della Polizia municipale hanno poi raccontato come si sono svolte le indagini.

Lo stesso A. – difeso da Andrea Bazzani - e la sua convivente – assistita dall’avvocato Matteo Mami -  sentiti in aula, hanno detto che però lui era ammalato davvero e di essere sempre andato a prendere i certificati in studio dopo la visita. La donna ha anche raccontato di aver fatto avere un farmaco anticoncezionale a una prostituta romena, grazie all’interessamento di un’amica presso il medico. E di aver ritirato l’anticoncezionale lei stessa, nonostante fosse in menopausa. E così, davanti al giudice hanno deposto anche due prostitute romene.

Il medico, che ha chiesto di essere ascoltato, ha negato ogni “scorciatoia”. Ho sempre visitato A. prima di consegnarli il certificato, ha sottolineato. Era cartaceo e lui doveva ritirarlo, non era telematico. Su quelle telefonate, poi, B. ha affermato che i pazienti telefonano, dicono che cos’hanno, le segretarie lo scrivono e fissano l’appuntamento. A favore di B. i hanno poi deposto i colleghi dello studio medico, un medico legale. A quest’ultimo, l’avvocato Livera aveva chiesto una consulenza tecnica. Il professionista ha detto che le prescrizioni e la storia clinica di A. erano compatibili con le malattie che venivano certificate dall’ex poliziotto.

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