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Cronaca

«Così hanno cercato di staccare la corrente a Matteo Renzi»

Iniziato il processo nei confronti di un consulente Enel che nel 2016 si sarebbe introdotto nei sistemi informatici dell’azienda energetica, carpendo informazioni e facendo partire una richiesta di distacco come se provenisse dall’ex presidente del Consiglio

Avrebbe finto di essere Matteo Renzi e poi avrebbe chiesto a Enel di voler abbandonare il contratto con Enel, lasciando così la casa toscana dell’ex premier senza luce. Un distacco avvenuto pochi giorni prima della fine del Governo, il 12 dicembre. Un agguato elettrico, forse una vendetta, nei giorni della crisi di Governo che seguì l’esito del referendum di riforma costituzionale, del 4 dicembre, che venne bocciato dagli italiani.

E’ cominciato, il 14 febbraio, il processo nei confronti di Ludovico Castiglioni il consulente del punto Enel di Piacenza, accusato di accesso abusivo a sistema informatico e sostituzione di persona. L’uomo, difeso dall’avvocato Carlo Alberto Caruso, era in aula davanti al giudice Sonia Caravelli e al pm Antonio Rubino. Secondo l’accusa, l’uomo, il 5 dicembre, si sarebbe introdotto e mantenuto «abusivamente nel sistema informatico della società Enel e, ottenuti i dati sensibili alla clientela si qualificava - con il nominativo di Matteo Renzi - fornendo agli operatori del call center di Enel dati tecnicamente corretti» chiedendo poi il distacco della fornitura elettrica dall’abitazione del leader di Italia Viva, a Pontassieve (Firenze).

E in effetti, la casa rischiò di restare al buio. La scorta dell’ex premier aveva subito avvertito l’Enel quando una squadra di tecnici si era presentata per togliere l’energia elettrica. Le indagini della polizia avevano poi accertato che né Renzi né un’altra persona delegata avevano mai chiesto il distacco.

Come testimone è stato sentito Michele Bussolano, all’epoca dirigente dell’Enel che si attivò per questo caso e presentò un esposto alla Polizia postale. Subito dopo l’intervento di una squadra di tecnici a casa di Renzi, Bussolano venne allertato, visto che l’ex presidente del Consiglio era un cliente sensibile. Scattarono i meccanismi di sicurezza per quell’anomalia che riguardava uno dei vertici dello Stato.

Si scoprì così, ha continuato l’ex dirigente, che la richiesta era stata attivata da un call center. Risalendo a ritroso, Enel aver portato alla luce che c’erano stati almeno tre accessi al Pod (Point of delivery) dove sono contenuti i dati sensibili del cliente Renzi: anagrafici, fiscali, bancari (Iban). L’accesso a  questa banca dati è consentito agli operatori dell’Enel. Gli inquirenti hanno rilevato gli accessi. Il primo, il 6 dicembre era stato fatto da un dipendente che si occupava di fatturazioni. Si era, però, scoperto che un altro accesso era stato eseguito il 5 dicembre, anche si era trattato di un ingresso per visionare i dati, ma senza compiere alcuna operazione: tecnicamente, per l’Enel, si trattava di una “telefonata caduta”. Il 9 dicembre, un altro accesso a cui era seguito il contatto telefonico al call center per disattivare la corrente. E il pm, nonostante l’opposizione della difesa, ha chiesto al giudice l’acquisizione di un cd contenente la registrazione della telefonata al call center. L’Enel non fece altro, anche perché aveva avvisato la polizia e la procura che avevano cominciato a indagare su chi volesse togliere la luce al presidente del Consiglio.

Il processo continuerà in ottobre, quando in aula sarà chiamata una funzionaria del Cnaipic (Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche) che spiegherà come si è arrivati a identificare l’autore dell’ingresso al sistema e della telefonata.

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