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Cronaca

Così la ‘ndrangheta punta all’economia e fa affari anche a Piacenza

Relazione semestrale della Dia. Le cosche calabresi molto attive in regione si infiltrano nel tessuto imprenditoriale. Ma spunta anche “cosa nostra” nella nostra provincia dove non manca il business criminale delle organizzazioni straniere

«In Emilia Romagna, l’elevata propensione imprenditoriale del tessuto economico regionale è uno dei fattori che catalizza gli interessi della criminalità organizzata, sia autoctona che straniera, anche ai fini del riciclaggio e del reinvestimento in attività economiche dei profitti illeciti». E’ l’incipit della parte relativa all’Emilia Romagna, contenuta nella relazione del ministero dell’Interno al Parlamento, dell’attività della Direzione investigativa antimafia da gennaio a giugno 2018. E il quadro che ne esce non è del tutto rassicurante. Un quadro che, se esteso all’intero Paese, mostra un predominio fortissimo in alcune zone che genera guadagni per decine di miliardi, snaturando l’economia, corrompendo la politica - che in realtà non fa molto per affrancarsi - e arrivando a porsi come contraltare dello Stato, soprattutto dove la crisi è più forte.

Nella relazione, il nome di Piacenza spunta più volte legato alle infiltrazioni di ‘ndrangheta, soprattutto, e mafia. Anche se non manca l’interesse del nostro territorio di organizzazioni criminali straniere.

‘NDRAGHETA La ‘ndrangheta, secondo gli investigatori della Dia la fa da padrona in regione. L’approccio è «marcatamente imprenditoriale prediligendo, tra le proprie direttici operative, l’infiltrazione sia del tessuto economico produttivo sia delle amministrazioni locali, aggredendo il territorio, non attraverso il predominio militare, ma orientandosi alla corruttela e alla ricerca delle connivenze, funzionali ad una rapida acquisizione di risorse e posizioni di privilegio». E il recente processo “Aemilia” ne è stata una dimostrazione, oltre che una conferma, plastica. Una metodologia in cui si trova coinvolta anche Piacenza: «È quanto emerso, da ultimo, nell’ambito dell’inchiesta “Aemilia”del gennaio 2015, che ha fatto luce sulla pervasività dellacosca cutrese Grande Aracri, nel contesto produttivo e imprenditoriale di Bologna e delle province di Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza».

Da un pentito e dalle indagini della Dia è emerso che «si sarebbe determinato un ricambio ai vertici delle cosche attive nella regione, con l’ascesa di personaggi emergenti, tra i quali alcuni esponenti della famiglia cutrese dei Sarcone». Il centro principale in cui si è sedimentata la presenza di clan calabresi è Reggio Emilia. Infiltrazioni nella politica, accordi con le imprese, società fasulle, trasferimento di beni o sottoscrizione di titoli di credito, estorsioni, usura sono gli strumenti utilizzati per radicarsi e gestire il potere criminale. Un altro aspetto che caratterizza il comportamento mafioso è il basso tenore di vita di alcuni boss - messo induce dalle indagini della Guardia di finanza - a fronte di «un tenore di vita e di movimentazioni di capitali, nonché di investimenti immobiliari sproporzionati rispetto alle capacità reddituali dichiarate».

La vicina Parma non sta meglio, perché le indagini hanno appurato interventi delle cosche crotonesi Farao-Marincola e di affari «gestiti in accordo con la cosca Grande Aracri». Ma le cosche calabresi hanno attecchito un po’ in tutta la regione mettendo in atto «con pervicacia, un grave processo di commistione con l’imprenditoria». Ecco la mappa della Dia nelle varie province: «A Bologna e provincia, oltre ai più volte richiamati Grande Aracri di Cutro (KR) si segnalano i Piromalli della Piana di Gioia Tauro (RC). 

I Pesce-Bellocco di Rosarno (RC) sono segnalati a Ferrara, i reggini Condello e De Stefano e i Mancuso di Limbadi (VV) a Forlì-Cesena, soggetti contigui alla cosca Arena di Isola di Capo Rizzuto (KR) avrebbero operato a Modena ed a Parma, mentre in provincia di Reggio Emilia insisterebbero gruppi legati ai Dragone di Cutro (KR). 

A Ravenna si segnalano personaggi contigui alla ‘ndrina dei Mazzaferro di Gioiosa Jonica (RC), mentre nelle province di Modena e Parma e Bologna sono state tracciate presenze di elementi vicini alla ‘ndrina di Taurianova e di San Lorenzo. 

A Rimini si è registrata la presenza di soggetti riconducibili alla cosca Vrenna di Crotone ed ai Pesce-Bellocco di Rosarno (RC)».

COSA NOSTRA Anche se dalle indagini non è emersa  un’operatività strutturata delle “famiglia” non per questo la mafia siciliana non ha interesse in regione. Piacenza viene citata in relazione agli affari della famiglia Rinzivillo: «In particolare, nell’ottobre 2017, con due operazionicollegate, “Druso” ed “Extra Fines”, la Polizia di Stato e la Guardia di finanza hanno colpito numerosi soggetti (tra i quali anche membri della famigliaRinzivillo), ritenuti responsabili, a vario titolo, di avere fatto parte di cosa nostra operante a Gela, con proiezioni nel territorio nazionale - tra cui la provincia di Piacenza - e la Germania. L’associazione era dedita ad estorsioni, traffico di stupefacenti, riciclaggio, ricettazione, intestazione fittizia di società e detenzione di armi. Nello stesso contesto investigativo è stato disposto il sequestro penale di società, compendi aziendali, quote societarie, nonché autovetture, somme di denaro ed altre utilità».

CAMORRA Anche la camorra, in regione, punta a infiltrarsi nell’economia legale e gestire il riciclaggio. I Casalesi «sono stati segnalati soprattutto nella provincia di Modena, con diramazioni nelle province di Ferrara, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini e Parma». A Forlì-Forlì-Cesena sarebbero attività esponenti della famiglia Nuvoletta di Napoli;  a Rimini, ancora i Casalesi; nella provincia di Ferrara, oltre al cartellodei Casalesi, un’indagine dei carabinieri ha svelato l’operatività di elementi collegati al cartellonapoletano dell’Alleanza di Secondigliano, dediti al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti». Molti, comunque, sono stati gli arresti e i sequestri di beni nei confronti dei camorristi.

CRIMINALITA’ STRANIERA «…le investigazioni degli ultimi anni hanno fatto rilevare dei modelli di cooperazione tra sodalizi stranieri di diversa nazionalità, talvolta partecipati da pregiudicati italiani» scrive la Dia. Le varie organizzazioni hanno diversificato i loro campi “economici”. Se «la criminalità maghrebina opera principalmente nel traffico e nello spaccio di sostanze stupefacenti, anche in collaborazione con italiani,la criminalità di origine albanese, contraddistinta da una notevole capacità organizzativa, oltre che nel narcotraffico risulta attiva anche nello sfruttamento della prostituzione». Specialità dei gruppi romeni restano lo sfruttamento della prostituzione e i reati predatori come i furti in appartamento. Prostituzione  spaccio di droga sono il business dalla mafia nigeriana. Infine, spunta la criminalità cinese «attiva soprattutto nelle provincie di Reggio Emilia, Ferrara e Rimini, nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nello sfruttamento della prostituzione e della manodopera irregolare».

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