rotate-mobile
Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

«Facevamo arrivare la droga a Cavaciuti? Si, ma era per ottenere risultati migliori»

Davanti al collegio in Tribunale la testimonianza dell'assistente della sezione narcotici Paolo Bozzini: «Volevamo fare arresti in grande: quindi permettevamo il passaggio di acquisti "di prova" per poi intervenire alla fine». Il giudice Ghitti: «Ma vi rendete conto di quanta cocaina avete fatto passare?»

«Volevamo fare il risultato bello. Prendere grandi quantità di droga. Fare bella figura professionalmente, davanti ai nostri superiori e ai colleghi». Ma per fare questo era necessario prima guadagnarsi la fiducia degli spacciatori che poi sarebbero stati arrestati. Una fiducia per ottenere la quale sono stati però fatti “passare” impunemente sottobanco dalla polizia altri quantitativi ingenti di stupefacente. Cocaina, per la precisione, che poi finiva nella rete dello spaccio piacentino.

Oggi, martedì 3 dicembre, nel processo che vede imputato l’ispettore della sezione narcotici Claudio Anastasio (difeso dall’avvocato milanese Pietro Porciani), è stato messo un tassello molto importante nel quadro dibattimentale: la testimonianza dell’assistente Paolo Bozzini, attualmente agli arresti domiciliari, che incalzato dalle domande del pubblico ministero Michela Versini - che ha coordinato l’indagine del Nucleo investigativo dei carabinieri di Piacenza allora comandato dal capitano Rocco Papaleo - ha descritto nel dettaglio il sistema “ammalato” che si era venuto a creare nel tempo a Piacenza. Un sistema che vedeva, da un lato gli agenti, della Mobile attratti dal fare arresti per droga con il sequestro di quantitativi significativi; ma dall’altro - però - la necessità di avere dalla propria parte qualcuno che informalmente fungesse da acquirente della droga (in questo caso il teste ha indicato in aula il nome di Giorgio Cavaciuti) e che permettesse, tramite un intermediario, di concludere acquisti di prova, per poi intervenire al momento dell’arrivo in città del grosso quantitativo. Questi acquisti di prova, però, in un caso erano di due etti e mezzo di cocaina. Più altri anche da un etto per volta. Insomma, per prendere tanta cocaina, altrettanta ne veniva fatta passare. Tutto a vantaggio di chi la comprava con la “mediazione” della polizia.

Il gioco valeva la candela? «Voi vi rendete conto di quanta droga avete fatto avere e procurato a Cavaciuti?» ha sbottato il presidente del collegio Italo Ghitti durante l’interrogatorio di Bozzini.
«Il mio capo sezione, l’ispettore Anastasio - ha detto Bozzini in aula - sapeva che avevo rapporti con Cavaciuti come confidente. Mi aveva detto di tenere i rapporti e di rivolgermi a lui quando dovevamo far andare a buon fine un primo acquisto di 30 grammi che ci avrebbe permesso di acquisire la fiducia dei sudamericani che avremmo voluto arrestare successivamente».
Da lì, nell’ottobre del 2012, i carabinieri iniziano però a documentare un sistema che si ripeteva ciclicamente, come spiegato da Bozzini stesso. Tramite il sudamericano Mercedes Kelli veniva accordato un primo acquisto di stupefacente, poi un secondo. In questo modo i venditori si fidavano. Dietro a Mercedes Kelli c’erano però gli agenti della Narcotici, che assistevano a ogni fase della compravendita. Mercedes Kelli prendeva in carico la droga dai corrieri a San Lazzaro o sotto la sua abitazione di via Scalabrini. Poi si allontanava, saliva in auto con Bozzini e si recavano a casa di Cavaciuti. Qui Bozzini consegnava la cocaina a Cavaciuti, sulle scale di casa, che gli dava i soldi. Il denaro poi faceva il giro inverso e arrivava, sempre per il tramite del sudamericano (con gli agenti in borghese nell'ombra), nelle tasche dei corrieri. Un paio di queste finte compravendite, e poi scattava l’operazione antidroga imponente della polizia, con l’arrivo stavolta di un ingente quantitativo, almeno un etto, con le solite modalità. Ma alla fine si presentava la polizia che arrestava i corrieri. La prima volta però non andò benissimo, perché invece di un etto vennero recuperati poco più di 80 grammi. La seconda volta, invece, i 750 grammi di cocaina in arrivo da Parma vennero intercettati prima dai carabinieri che intanto stavano indagando sul sistema.

«Ma perché - ha insistito più volte il presidente Ghitti - avevate necessità di farvi aiutare da uno come Cavaciuti?». «Perché era ben inserito nel mondo dello spaccio e aveva molto denaro a disposizione» ha risposto Bozzini. 
E ancora la domanda del giudice: «Ma perché non li avete arrestati subito la prima volta quando vi hanno portato i primi 30 grammi di droga?».
«Perché volevamo un arresto migliore - ha replicato il poliziotto della narcotici - Formalmente un arresto per 10 grammi o 100 grammi è lo stesso - ha ammesso - Ma noi saremmo stati più contenti a sequestrare più droga».

In Evidenza

Potrebbe interessarti

«Facevamo arrivare la droga a Cavaciuti? Si, ma era per ottenere risultati migliori»

IlPiacenza è in caricamento