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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Fanghi contaminati sversati nei campi: «Pensa al bimbo che mangerà quel mais»

Emergono nuovi e inquietanti particolari sull'inchiesta shock sui fanghi contaminati: 15 indagati per presunti profitti illeciti per oltre 12 milioni di euro

“Chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi”. Comincia così, riportando le parole di Antonio Maria Carucci (al lavoro per la Wte, l'azienda finita nell'occhio del ciclone per lo spandimento di fanghi e gessi fuori norma nelle campagne bresciane, della Lombardia, di Emilia Romagna, Piemonte e Veneto), l'articolo pubblicato mercoledì dal Corriere della Sera che raccoglie alcune delle intercettazioni pubblicate nell'ordinanza del gip Elena Stefana, in cui sono riportati anche i nomi dei 15 indagati nell'ambito dell'inchiesta sul traffico illecito di rifiuti coordinata dal sostituto procuratore Mauro Leo Tenaglia e dal subentrante Teodoro Catananti.

Oltre 12 milioni di euro di profitti illeciti e 150mila tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi ed altre sostanze inquinanti (l’equivalente di circa 5mila tir), spacciati per fertilizzanti e smaltiti su circa 3mila ettari di terreni agricoli in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, in particolare anche nella provincia di Piacenza.

Sono i dati di un imponente traffico di rifiuti realizzato tra gennaio 2018 e agosto 2019. Il fulcro delle attività illecite era una società bresciana operante nel settore, composta da tre stabilimenti industriali nei comuni di Calcinato, Calvisano e Quinzano d’Oglio. Le indagini sono state svolte dai Carabinieri Forestali di Brescia, coordinate, come detto, dal Sostituto Procuratore della Repubblica, Mauro Leo Tenaglia. I tre stabilimenti sono stati sottoposti a sequestro su ordine del Sostituto Procuratore della Repubblica, Teodoro Catananti, in esecuzione all’ordinanza per la confisca emessa dal gip Elena Stefana.

L’azienda ritirava i fanghi prodotti da numerosi impianti (pubblici e privati) di depurazione delle acque reflue urbane ed industriali, da trattare mediante un procedimento di trasformazione in sostanze fertilizzanti. Per massimizzare ometteva di sottoporre i fanghi contaminati al trattamento previsto e vi aggiungeva persino ulteriori sostanze inquinanti, come l’acido solforico, derivante dal recupero di batterie esauste. Per disfarsi di tali rifiuti e poter continuare il proprio ciclo produttivo, successivamente li classificava come “gessi di defecazione” e li smaltiva su terreni destinati a coltivazioni agricole situati nelle provincie di Brescia, Mantova, Cremona, Milano, Pavia, Lodi, Como, Varese, Verona, Novara, Vercelli e Piacenza. Per raggiungere lo scopo venivano retribuite sei aziende (cinque bresciane e una cremonese) di lavorazioni rurali conto terzi.

"Non mi faccio fregare dalla Forestale"

“Non mi faccio fregare dalla Forestale perché voi non mi avete trovato i terreni, perché la prossima volta mi chiudono”, avrebbe detto Giuseppe Giustacchini, amministratore delegato della WTE ai dipendenti e ai contoterzisti. Questi ultimi si sarebbero occupati di “distribuire” i fanghi contaminati nei terreni agricoli: le analisi di Arpa avrebbero verificato la presenza (fuori norma, anche decine di volte oltre i limiti di legge) di elevate concentrazioni di idrocarburi, cianuri, cloruri, arsenico, selenio, solfati, zinco, stagno e altro ancora. 

I contoterzisti avrebbero guadagnato fino a 100mila euro (al mese) per trovare i terreni e convincere gli agricoltori (in gran parte ignari di quello che poi sarebbe stato sversato nei loro campi). Nell'elenco degli indagati figurano anche Simone Bianchini, che operava nella Bassa Bresciana, e Cristian Franzoni, Vittorio Balestrieri, Gabriele Fogale: tra le aziende coinvolte, invece, ci sarebbero anche il Gruppo Bianchini (Mazzano), Agri Ent (Calvisano), Franzoni Luca e Oscar (Calvisano) e Balestrieri Vittorio & C (Castelvisconti, provincia di Cremona).

Il meccanismo utilizzato dal sodalizio criminale riusciva a smaltire a basso costo grandi quantità di rifiuti. Dalle attività di intercettazione telefonica e ambientale è emerso che i proprietari dei fondi venivano persuasi ad accettare lo spandimento dei “gessi di defecazione” sui propri terreni, grazie all’offerta a titolo gratuito di finti fertilizzanti o della successiva aratura dei campi, di cui si faceva carico la società di recupero dei rifiuti. Gli agricoltori erano quindi attirati non tanto dalle presunte proprietà del prodotto, quanto piuttosto dal risparmio sulle spese di lavorazione dei propri terreni. Un business criminale che ha fruttato alle sette società coinvolte oltre 12 milioni di euro di profitti illeciti: per recuperare tali somme, i militari stanno procedendo in queste ore a sequestrare decine fra conti correnti ed altri rapporti bancari alle 15 persone indagate – tra le quali figurano due soggetti recidivi, già condannati dal Tribunale di Milano per un reato analogo – nonché ad apporre i sigilli su fabbricati, terreni, auto e mezzi agricoli di loro proprietà.

Oltre al traffico di rifiuti figura anche il reato di molestie olfattive, denunciato dalle centinaia di segnalazioni presentate da comitati e da cittadini costretti ormai da anni a vivere barricati in casa con porte e finestre chiuse a causa dal disgustoso fetore prodotto durante il trasporto e lo spandimento dei fanghi, con pesanti ripercussioni sia sulla salute sia sulla qualità della vita. Nel comune di Lonato del Garda è stato inoltre contestato il reato di discarica abusiva su tre lotti di terreno, appositamente affittati dalla società e sistematicamente destinati all’accumulo dei finti “gessi di defecazione”, quando non erano disponibili i terreni degli agricoltori “complici”. Ad essere coinvolto anche un importante dirigente pubblico che, sfruttando le proprie relazioni con politici e funzionari della pubblica amministrazione, favoriva la condotta criminale dell’azienda, ottenendo in cambio incarichi di consulenza e altre regalie da parte del titolare di quest’ultima. Il quadro emerso dalle indagini appare ancor più allarmante, se si considera che l’omesso trattamento di igienizzazione e lo spandimento sui terreni è altamente pericoloso per la salute pubblica: sin dall’inizio della pandemia, infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato come il virus possa sopravvivere fino a 96 ore nei fluidi corporei e – pertanto – ha raccomandato di intensificare la vigilanza sulla corretta esecuzione dei procedimenti di inertizzazione dei fanghi provenienti dagli impianti di depurazione. Nella nostra provincia, il covid-19 ha colpito con veemenza in tutte e tre le ondate, un'anomalia nell'intero Paese.

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