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Cronaca

Fiorentini alla Dante Alighieri: «Al fronte in guerra c'erano anche tanti 15enni»

Le commemorazioni per il centenario della Grande Guerra, tra l'impiego delle tecnologie e la guerra chimica, il senso del dovere dei nostri fanti e un insegnamento anche per i nostri tempi

La grande guerra degli italiani (1915-1918) fu un evento di dimensioni mai viste sino allora. Ricorrendone quest’anno il centenario, il tema è stato trattato a Piacenza in numerose occasioni da studiosi, giornalisti, attori e scrittori. Tra le prime iniziative del successivo ampio ventaglio di proposte culturali che ha contemplato conferenze, seminari e mostre, vanno ricordate le conferenze del Comitato Piacentino della Dante Alighieri con protagonisti il dottor Ivo Musaio Somma, il prof. Maurizio Dossena e del presidente della Dante piacentina Roberto Laurenzano, il cui sodalizio ha offerto all’Auditorium della Fondazione l’opportunità di ascoltare approfondimenti  del prof. Fausto Fiorentini intesi a rispondere ad alcuni degli interrogativi ancora aperti e a sviluppare articolate riflessioni sulle quali si è brevemente soffermata anche l’assessore Giulia Piroli, delegata alle Politiche scolastiche e educative per i giovani.

La guerra del 1915-18, ha esordito l’oratore, fu "mondiale" perché ha coinvolto molti popoli, grandi e piccoli e non solo le truppe dei combattenti provenienti da più regioni che parlavano dialetti diversi, ma anche le retrovie dove, per la prima volta, la vita delle popolazioni fu segnata da uno sforzo che assorbì tutte le energie della nazione: le donne dovettero assumersi la responsabilità delle famiglie, svolsero lavori tradizionalmente maschili ed ebbero un'inedita presenza pubblica; i bambini, che vedevano il padre e i fratelli maggiori partire per il fronte, vissero per anni in un mondo che, attraverso i giornalini e i libri di scuola, parlava loro unicamente di guerra. Piacenza, tra l’altro, fu Centro di assistenza per feriti e fu mobilitata per costruire abiti e divise.
L'Italia ha schierato nel conflitto un esercito di oltre un milione di uomini, continuamente alimentati e ha lasciato sul campo in quattro anni 650 mila morti, numeri che mettono in evidenza da soli una tragedia colossale sul piano umano e sociale. Solitamente si dice che furono mobilitate anche le classi del 1898-1999, ragazzi dunque, ma recentemente una signora di Piacenza ha rivelato che il padre, nato il 17 maggio 1900 era stato chiamato alle armi, a soli 15 anni; aveva combattuto per 8 mesi, perdendo un occhio.

Per la prima volta la tecnologia aveva avuto un ruolo di primo piano registrando il debutto dell’Aviazione, il largo impiego di nuovi pezzi d'artiglieria, l’uso di gas (guerra chimica) senza dotazione di maschere; le comunicazioni con telefono e telegrafo.   Altra novità. Da guerra di movimento, come nella tradizione, il conflitto diventa guerra di posizione, quindi guerra di logoramento anche fisico e psichico dei soldati.

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La contesa militare oltre ai morti e ai molti invalidi, causò rilevanti ferite nel tessuto sociale e non meraviglia che negli anni seguenti ci siano stati rivolgimenti sociali e politici, tant’è che per alcuni studiosi l’avvento della dittatura fascista fu conseguenza diretta della guerra. Vi fu poi un fiorire di celebrazioni della Vittoria con i molti monumenti sorti in tutti i paesi e con cerimonie che hanno offuscato i sentimenti nazionali maturati nella sofferenza che si erano sviluppati nei reduci.  Molti storici hanno poi liquidato i nostri soldati come inconsapevoli delle motivazioni che avevano portato la nazione in guerra; ma chi ha conosciuto i "fanti in congedo" sa che invece avevano un attaccamento quasi religioso per i luoghi dove avevano tanto sofferto. Informati o no, era molto alto il loro senso del dovere.

Oggi – ha concluso Fiorentini -  dobbiamo ricordare il fante: i nostri padri hanno sviluppato una sorta di religione della sofferenza. Sotto questo aspetto la Prima Guerra Mondiale è ancora in grado di darci insegnamenti. Con questo spirito dobbiamo ricordare i morti del 1915-18, la grande sofferenza provata in quegli anni da un intero popolo e adottare sempre più il motto degli Alpini: "Ricordare i morti per aiutare i vivi".  Invito accolto dai convinti applausi del pubblico presente tra i quali la dott.ssa Maddalena  Della Rosa, Capo di Gabinetto, in rappresentanza del Prefetto, il Gen. Raffaele Campus,  Presidente dell'Associazione Provinciale Combattenti e Reduci e il past Presidente dell'Associazione  provinciale Alpini Bruno Plucani,  artefice della spettacolare Adunata Nazionale degli Alpini 2013.

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