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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

Il pm nel cuore dell’indagine Filosa, tra «corruzione e timori reverenziali»

Requisitoria di Colonna che chiede di indagare due imprenditori per falsa testimonianza. L’11 luglio nuovo round dell’accusa, e il 18 parola alle difese

Una lunga galoppata a ritroso per ricostruire il processo che vede imputato per corruzione Alfonso Filosa (anche per violazione di segreto d’ufficio) e l’imprenditore milanese Morgan Fumagalli. Una cavalcata fatta oggi, 2 luglio, dal pm Antonio Colonna, il quale ha riportato alla luce i fatti salienti di quell’indagine che nel giugno del 2009 portò in carcere l’allora direttore della Direzione provinciale del lavoro, colto sul fatto, secondo l’accusa, mentre riceveva un assegno da un imprenditore. E’ il rush finale, quello che si svolge in Tribunale dove questa mattina Alfonso Filosa ha risposto al pm Colona affermando di «non aver mai preso soldi da Salerno (Gianni, ex segretario Cisl, ndr), né da Cantarelli (Giorgio, altro sindcalista Cisl, ndr) né da Fumagalli che tra l’altro non ricordo di aver incontrato». Filosa ha anche negato di aver mai informato qualche ditta in anticipo delle ispezioni dei carabinieri. Un’udienza – presieduta da Italo Ghitti con i giudici Elena Stoppini e Maurizio Boselli - che ha visto l’inizio della requisitoria del pm Colonna. L’accusa ha già anticipato che chiederà il trasferimento degli atti alla procura per  il reato di falsa testimonianza da parte di due imprenditori: Gerardo Mainardi e Nicola Mandara. Il pm terminerà la requisitoria l’11 luglio. Il 18 sarà la volta delle difese e in settembre è attesa la sentenza. Oggi, si è chiuso il dibattimento con l’interrogatorio di due testimoni della difesa: l’imprenditore Luciano Arici e il responsabile del lavoro della della Cna, Michele Bricchi, che è anche consigliere comunale del Pd.

L’ACCUSA Prima di Colonna, ha preso la parola l’avvocato dello Stato, Mario Zito, il quale ha sottolineato la condotta scorretta di Filosa. Per Zito ci sono alcune amministrazioni pubbliche permeabili «alla tentazione del denaro e del potere personale». L’ex direttore avrebbe ripetuto nel tempo le stesse condotte «riportato da più testimoni». Per Zito, che ha chiesto 300mila euro di risarcimento, Filosa è va ritenuto responsabile.

Colonna è partito subito in quarta aggredendo uno dei temi più spinosi del dibattimento: il rapporto teso tra Filosa e i carabinieri del Nucleo dell’ispettorato del lavoro (Nil). «Quando Filosa dice di aver fatto il consulente per una società che si trovava nel territorio dove lui era direttore del Lavoro siamo già di fronte a un addebito che prevede un livello disciplinare. Un decreto legge sui pubblici dipendenti, del 2001, prevede l’incompatibilità e il licenziamento».  Filosa aveva parlato di  «campagna denigratoria … e di odio verso di lui da parte di 3 o 4 carabinieri». Strano, afferma Colonna, perché poi scrisse lettere di elogio per i militari. In realtà, secondo il pm, Filosa si infuria quando viene toccato, con alcune ispezioni, il suo amico Giuseppe Tucci, consulente del lavoro. Filosa vorrebbe essere informato dal comandante Mario Bartolotta, ma come ha ricordato il comandante del Nil Annicchiarico i carabinieri possono indagare in modo autonomo perché hanno il potere di iniziativa.

Una dipendente di un cooperativa va dai carabinieri nel 2008 dicendo di essere assunta, ma di non lavorare. Il contratto fu fatto alla Direzione del lavoro. Vengono chiesti i documenti a Filosa, che prende tempo. Arrivano i documenti, ma manca il fatto essenziale: che lei lavorasse. Chiedono anche a Tucci, ma nulla. Nel novembre del 2009 scattano le perquisizioni negli uffici milanese e napoletano di Tucci, si trovano dopo un anno i documenti e i carabinieri contestano a Tucci di aver versato 4mila euro di contributi ma di averne dichiarati 20mila. Per Colonna, c’era la volontà di Filosa di ostacolare i carabinieri, tanto che Tucci si lamenta con l’ex direttore dell’indagine: «Questa era la situazione, Filosa invece di tutelare i carabinieri, tutelava Tucci».

LA PIZZA GRATIS Da una vicenda all’altra, il pm fa scorrere nomi di persone e imprese. Due casi, ad esempio. Nicola Mandara, ristoratore e albergatore a Cremona ha i parenti in una pizzeria a Castelvetro. Il locale sarebbe stato avvertito di una ispezione, dice il pm. Emerge che Filosa e la famiglia non avrebbero mai pagato i pranzi perché era un amico e perché le pizze venivano spesso regalate «anche a un vigile che portava dieci ragazzini». Il pm: «Chiederò l’assoluzione per il fatto, ma anche di indagare Mandara per falsa testimonianza».

IL DEBITO SALDATO E ancora i Durc taroccati. I documenti sulla regolarità contributiva sarebbero stati portati da Filosa, come hanno detto i testimoni di alcune cooperative, che vedevano il direttore negli uffici delle società. E sotto accusa finirà anche Mainardi. L’uomo ha detto prima di aver dato soldi a Filosa, poi ha ritrattato. Mainardi aveva un debito. Filosa parla di 20mila euro, i parenti dell’uomo di 30 e Filosa di 30-35mila. Ma i conti, ha sottolineato Colonna, non tornano perché sui conti correnti di Filosa sono finiti 42mila euro: o si tratta di usura o di un pagamento di Mainardi che usava il ruolo di Filosa quando era nei guai.

LE CONSULENZE Un ampio capitolo è stato dedicato dal pm ai contratti di consulenza che Filosa avrebbe caldeggiato ad alcune aziende di Piacenza e Cremona. Colonna ha evidenziato il motivo e il ragionamento di alcuni manager davanti al “potere” di Filosa. La Bertana, grossa azienda di macellazione, ha sottoscritto un contratto con l’azienda della figlia di Filosa perché era meglio avere “una consulenza in più”. E quando l’azienda ha deciso di non pagare, Filosa avrebbe chiesto un viaggio in Usa per lui e la moglie (costo 6mila euro). Perché Bertana ha pagato? Per il pm per “non avere conseguenze” come hanno detto alcuni manager. E lo stesso vale per il Consorzio casalasco del pomodoro. Consulenza alla ditta della figlia per 42mila euro, anche se non ce n’era bisogno. Un manager ha spiegato, ha continuato il pm, di averlo fatto per «timore reverenziale» e anche di aver risposto «si metta nei miei panni». E lo stesso vale per l’Arp di Podenzano, contratto con la ditta di consulenza anche se non era necessario.

FUMAGALLI L’imprenditore milanese, che avrebbe versato 30mila euro (15mila sarebbero andati a Filosa e gli altri, divisi a metà, a Salerno e Cantarelli) ha parlato al volta scorsa. Ha detto di aver pagato una volta, ma di non averlo più voluto fare e di aver subito pressioni fortissime. Insomma, l’imprenditore sarebbe stato vittima, un concusso non un corruttore. Per Colonna l’incontro in un ristorante della provincia c’è stato, alla presenza di Cantarelli e Salerno. Filosa avrebbe chiesto i soldi. «Tutti dicono di essere stati presenti, tranne Filosa» ha ricordato il pm. E ancora, il pm ha spiegato il meccanismo messo in atto da Filosa e Salerno e Cantarelli per convincere Fumagalli. Il milanese aveva una società di coop di servizi e si allargava anche a Piacenza, tra cui la Lpr. Venne organizzata, ha detto Colonna, una falsa ispezione e il personale avvertito il giorno prima di non recarsi al lavoro. E così avvenne e la coop ricevette solo una piccola multa di 500 euro per alcun illeciti di poco conto. Il resto, il pm lo svilupperà l’11 luglio.

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