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Cronaca

Immigrazione dal Pakistan, le difese: «Nessuna prova, vanno assolti»

Secondo i difensori, «scarsa conoscenza delle leggi sull’immigrazione. Non sono stati trovati i soldi e le telefonate erano fra parenti. Solo nulla osta al lavoro che non sono titolo per l’ingresso o il soggiorno». Il pm della Dda aveva chiesto per 10 persone pene da 7 a 10 anni

«Non c’è alcun reato. Non c’è alcuna associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina di lavoratori pakistani fatti arrivare in Italia,Italiana pagamento, con la promessa di un impiego un agricoltura. E non c’è nessun business da 800 milioni di euro». E’, in sintesi, il contenuto delle arringhe degli avvocati difensori dei 10 imputati per cui, il 19 novembre, il pm della Dda (Direzione distrettuale antimafia) di Bologna aveva chiesto pesanti condanne, da sette a dieci anni (oltre a 5 assoluzioni).

Il collegio presieduto da Fiammetta Modica, a latere Luca Milani e Ivan Borasi, al termina ha rinviato l’udienza al 21 gennaio per le eventuali repliche, di accusa e difese, e la sentenza. I vertici dell’organizzazione sarebbero stati a Piacenza. Secondo la Procura distrettuale antimafia, che ha delegato le indagini alla polizia, il gruppo avrebbe favorito l’immigrazione di alcuni pakistani (per il pm centinaia di persone) grazie alla richiesta di assunzione di alcuni imprenditori agricoli della Basilicata. Questi ultimi, dopo aver ricevuto un compenso, richiedevano lavoratori. L’organizzazione avrebbe così fatto avere i visti di entrata in Italia ai pakistani. Il costo dell’operazione, chiavi in mano, era di 15mila euro. Una volta arrivati qui, gli immigrati sparivano. Nessuno di loro è risultato essere stato assunto da qualche azienda della provincia di Potenza, da cui partivano le “richieste” di impiego.

Vittorio Antonini e Mauro Pontini difendono l’uomo ritenuto una delle menti, Muhammad Navid Asghar (per lui sono stati chiesti 10 anni), che gestiva un ristorante, un call center e un altro locale a Genova. «C’è una mancanza di conoscenza - ha affermato Antonini - delle normative sull’immigrazione. Sono sì stati accertati nulla osta al lavoro, ma questi non costituiscono titolo né per l’ingresso in Italia né per il soggiorno». Secondo la difesa, «il pericolo di un ingresso c’è solo con il visto non associato a un nulla osta. Il Consolato italiano in Pakistan deve convocare l’immigrato, chiedergli se sa dove deve andare, che lavoro farà, chi lo assumerà Queste verifiche non sono mai state fatte. Inoltre, al mio assistito non è mai stato trovato un euro sui suoi conti - la Dda parla di un business di 800 milioni di euro, una cifra esagerata - né è emerso nulla dai sequestri. Le telefonate poi sono state con un cugino e un fratello». I legali hanno chiesto l’assoluzione.

Anche un altro difensore, Emanuele Solari, assiste Muhammad Sohail Hafiz (per lui sono stati chiesti 7 anni), insiste «sulla mancanza di prove e anche di indizi. Ci sono soltanto congetture senza alcun riscontro processuale. E anche al mio assistito non sono stati trovati soldi durante le perquisizioni e i sequestri». Anche per lui è stata chiesta l’assoluzione come per tutti gli altri imputati: Hayat Sikandar (chiesti 9 anni), l’italiano Gerardo Palladino (10 anni), considerati dalla Dda gli organizzatori del traffico. Assoluzione chiesta inoltre per Roberto Lisciarelli, (8 anni, all’epoca impiegato dell’ambasciata italiana a Islamabad). Sette anni di reclusione erano stati chiesti dalla pubblica accusa anche per Caterina Riccardi, Emanuele Bruno, Pasquale Bruno, Giuseppe Pacello, Mohammed Ghoudhary, Muhammed Ashraf. La procura distrettuale, invece, aveva chiesto di assolvere Nazid Majar, Muhammad Riaz, Murad Malik, Ali Sajad, Muhammad Ashraf.

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