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Cronaca Viale Malta

«La mafia in Emilia Romagna è tutt’altro che finita»

Incontro con la Federazione della stampa e Libera. Tanti gli studenti presenti alla Scuola di polizia. Le storie dei giornalisti che hanno seguito i processi. Il giornalista Ruotolo: «La mafia non prevede libertà di pensiero, chi si associa diventa suddito»

bonacini ruotolo-2La ‘ndrangheta in Emilia Romagna non è finita con il maxi processo Aemilia: c’è uno stato di assedio ‘ndranghetista che non ha eguali. Lo ha detto Paolo Bonacini, cronista del Fatto Quotidiano, che ha seguito il processo a Reggio Emilia, il secondo più grande d’Italia contro la mafia. E’ solo una delle considerazioni che sono emerse dall’incontro dal titolo “Deontologia, informazione, legalità”, organizzato dalla Federazione della stampa (Fnsi) e dall’associazione antimafia Libera e che si è tenuto alla Scuola allievi della polizia di viale Malta. Una giornata che si è soffermata sull’importanza della stampa nel raccontare come la criminalità organizzata si insinui nella ricche regioni del Nord - spesso però cercata da imprenditori senza scrupoli - sui rischi che corrono alcuni giornalisti (oggi, in Italia sono 24 quelli scortati). Giornalisti spesso precari, sottopagati a tre euro all’ora o a 6 al pezzo, il cui lavoro viene poco considerato da alcuni editori: «Non vanno lasciati soli». Ma alle mafie, oltre ai giornalisti, non vanno a genio nemmeno gli studenti - ha detto Enza Rando, avvocato e vice presidente di Libera - perché si informano, parlano, raccontano. Al tavolo Mattia Motta, per la Fnsi, il moderatore Gaetano Rizzuto, il giornalista Bonacini, il presidente regionale dell’Ordine dei giornalisti, Giovanni Rossi, il presidente dell’Aser (il sindacato dei giornalisti), Matteo Naccari, l’avvocato e docente universitario di Bologna Stefania Di Buccio (coordinatrice del master in “Gestione e riutilizzo di beni e aziende confiscati alle mafie”).

I saluti sono stati portati da Antonella Liotti, presidente di Libera Piacenza, dal prefetto Maurizio Falco e dal questore Pietro falco ostuni-2Ostuni. Nell’aula magna anche tanti studenti di Isii Marconi, Colombini, Gioia e Romagnosi. Un duro, e inquietante, servizio di Sandro Ruotolo - una vita passata a denunciare gli intrecci fra la criminalità organizzata e il potere politico ed economico, anche lui scortato - ha mostrato come l’omicidio della giornalista maltese Dafne Caruana Galizia riguardi tutti: «Se si uccide un giornalista, viene meno un un pezzo di democrazia. La nostra arma è la conoscenza dei fatti, per poi informare i cittadini. E’ la libertà di pensiero e di parola garantita dall’articolo 21 della Costituzione. La mafia, invece, non prevede libertà di pensiero o di discussione: chi aderisce è solo un suddito. La mafia è pericolosa. Ha fatto migliaia di morti ammazzati, tra cui tante vittime innocenti». Prima dell’intervento, Ruotolo ha ricordato di essere in una scuola di polizia e così ha invitato tutti ad alzarsi per rendere omaggio a chi, tra le Forze dell’ordine, è stato ucciso dalla mafia, non dimenticando i tre pompieri morti vicino ad Alessandria. Lungo applauso dei presenti.

pubblico mafia-2Secondo Di Buccio «il ruolo del giornalista è nevralgico per informare su ciò che accade. Il metodo mafioso prevede intimidazione e omertà. E’ cosi che si arriva la controllo dell’economia di una zona. Per far questo, i mafiosi si servono di chi ha competenze: avvocati, fiscalisti, dipendenti pubblici, a volte anche poliziotti o giornalisti». Liotti ha ricordato due giornalisti che hanno permesso di far crescere tutto questo: Santo della Volpe e il piacentino Camillo Galba (che fu uno storico presidente dell’Aser). Il questore ha parlato del pericolo mafioso nelle regioni economicamente più floride: «Al mondo delle imprese dico di stare attente alle lusinghe economiche». Per il prefetto Falco, «oggi la mafia con coppola e lupara non c’è più. Cambia forma ed è più subdola. Ciò che contraddistingue un mafioso non è la persona, ma il comportamento. Bisogna informarsi, leggere, e far capire che qui non c’è spazio per la mafia. E poi lo stesso Falcone diceva che la mafia non è eterna».

Bonacini ha seguito l’intero processo Aemilia. «La ‘ndrangheta in Emilia Romagna - ha affermato - si è insediata negli Anni 70, studenti mafia-2con i primi criminali di camorra, mafia e ‘ndrangheta inviati qui al confino. E sottovalutati. Nell’83 il questore di Reggio Emilia descriveva come elementi della famiglia dei Dragone passeggiassero per strada scortati una decina di persone, avevano preso possesso di un bar e davano biglietti da 100mila lire a chi glieli chiedeva». Poi è cominciata la conquista economica: truffe societarie per milioni, aziende fagocitate, evasioni fiscali miliardarie. Da Brescello a Grimilde, il passo è stato breve e anche Piacenza è stata coinvolta in una inchiesta di ‘ndrangheta, con l’arresto dell’allora presidente del Consiglio comunale, Giuseppe Caruso e di suo fratello. Anche Rando ha sottolineato l’importanza del giornalismo e ha citato Peppino Impastato, il cronista ucciso dalla mafia in Sicilia nel 1978: «Lui all’epoca già raccontava di come la mafia fosse intrecciata con il potere e che utilizzava intimidazione e paura. La mafia crea dolore e uccide la speranza. Non ci possono essere dubbi quando a qualcuno si prospettano favori di tipo mafioso, bisogna scegliere da che parte stare stare». Al termine, è intervenuta Elisa Iacobetti, una studentessa che con alcuni amici sta lanciando il sito di informazione mafiaoffline.it la quale ha invitato i compagni piacentini a scrivere storie legate alla criminalità organizzata.

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