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Cronaca

Medico legale a processo, in aula sentiti anche i titolari di imprese funebri

Una professionista piacentina accusata di abuso d'ufficio: avrebbe percepito del denaro per rilasciare delle certificazioni necroscopiche

Sono stati numerosi gli impresari di pompe funebri in Tribunale che, la mattina del 3 marzo, hanno testimoniato nel processo nei confronti di un medico legale che deve rispondere di abuso d’ufficio per aver, secondo le accuse, percepito del denaro per rilasciare delle certificazioni necroscopiche.

Tutti i testi, tranne uno, hanno confermato di aver pagato un compenso per la certificazione cui è sempre seguita una regolare ricevuta fiscale. Il medico, secondo i testimoni, si sarebbe qualificato come medico privato. Dall’udienza sono emerse due posizioni ben distinte del medico quando esegue perizie: una quella di consulente medico legale che eseguiva le autopsie (disposte dalla procura), l’altra quella relativa al rilascio delle autorizzazioni. Un’altra differenza è poi stata evidenziata tra le pratiche necessarie da svolgere relativa a una morte naturale (in casa) o una morte per la strada che richiede l’intervento della procura. Secondo la procura, il medico avrebbe violato il regolamento di Polizia mortuaria.

Il collegio, presieduto da Italo Ghitti, a latere Gianandrea Bussi e Maurizio Boselli, ha ascoltato il racconto degli imprenditori e del luogotenente della Guardia di finanza, Antonio Beccaccini, che ha spiegato la genesi dell’indagine, rispondendo anche alle domande del pm Michela Versini. Il medico legale Novella D’agostini è difesa dagli avvocati Cosimo Pricolo e Simone Marconi (quest’ultimo del Foro di Milano).

Il finanziere ha raccontato di aver ricevuto la telefonata di una persona che conosceva e che chiedeva se era normale che un perito tecnico si facesse pagare. Beccaccini parlò di questo con il pm Versini, mentre in procura arrivava la telefonata di un’impresa funebre che voleva spiegazioni sul pagamento relativo al rilascio di una certificazione necroscopica. La Finanza chiese anche all’Ausl la documentazione per verificare se D’Agostino avesse avuto un incarico con compito di medico necroscopico.

Dalle ricevute consegnate alle imprese è emerso che il medico aveva rilasciato una trentina di ricevute fiscali da 150-200 euro dal 2012 al 2014.

Davanti al Collegio giudicante sono stati chiamati Massimo Savini, Simona Ballarini il suo dipendente Silvano Giagosti, Luisella Fava, i fratelli Lorella e Riccardo Bergonzi e Paolo Magistrati. Nella prossima udienza - il processo è stato rinviato -dovrebbero essere sentiti l’impresario Pascal Villa, personale dell’Ausl e altri testimoni, per un totale di 11.

Ballarini ha ricordato come un suo dipendente le disse che il medico, chiedendo i 150 euro per il certificato necroscopico, lo informò che era stata richiesta una consulenza privata dell’Ausl. Tutti gli impresari hanno poi affermato che era la prima volta che venivano chiesti loro dei soldi per le certificazioni e che comunque tutti hanno avuto la ricevuta fiscale.

In genere, per i casi in cui interviene la procura chiedendo l’autopsia, ad esempio un suicidio, il medico legale o svolge l’esame autoptico oppure un esame esterno del cadavere. Poi viene rilasciata la certificazione da parte del medico e in seguito il nulla osta della stessa procura per la sepoltura.

Ad alcuni impresari, il presidente Ghitti ha anche chiesto come mai nessuno di loro avesse chiesto al medico a che cosa servissero i soldi. Fava, invece, si era mossa subito e aveva telefonato in procura chiedendo la regolarità di quel pagamento e spedendo la fotocopia della ricevuta.

La difesa di D’Agostini, nella prima udienza, aveva chiesto che venissero sentiti come testimoni i due magistrati della procura, Antonio Colonna e Ornella Chicca.

Il medico imputato deve rispondere dell’articolo 1 del Regolamento di polizia mortuaria (Dpr 285 del 1990). D’Agostini, secondo le accuse avrebbe violato le norme di legge sul compenso del perito - cinque i casi che vengono contestati dalla procura legati alle certificazioni - e ne avrebbe tratto un profitto illecito.

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