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Cronaca

Mons. Ambrosio: «Le difficoltà della vita sono le prove per il nostro cammino di fede»

Il vescovo della diocesi di Piacenza-Bobbio mons. Gianni Ambrosio commenta le parole di Papa Francesco in un messaggio a tutti gli operatori della Chiesa piacentina. Il vescovo: «Non dobbiamo essere alla ricerca di un quieto vivere che schiva rinunce e sacrificio»

Fin dal giorno della sua elezione a Vescovo di Roma - il 13 marzo dello scorso anno – tutti noi abbiamo cercato di accogliere le sue parole, i suoi gesti, il suo stile, la sua spiritualità, in una parola l’insegnamento del nuovo Papa. Innanzi tutto per la freschezza – e soprattutto la grazia – della novità, anzi delle molte novità. E poi per l’immediatezza della comunicazione. Ma ancor più perché Francesco è il nuovo Vescovo di Roma, e dunque, come recita la Costituzione Lumen Gentium (n. 23), è il “successore di Pietro”, “il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli”. Per questo abbiamo cercato anche di comprendere il suo approccio alle diverse questioni che riguardano la missione della Chiesa. Il suo insegnamento e il suo approccio sono indicazioni preziose che il Signore ci offre in questo nostro tempo: ci aiutano a pensare e anche a riformulare il nostro servizio al popolo del Signore. Se da subito abbiamo prestato molta attenzione alle parole e ai gesti di Papa Francesco, dobbiamo riconoscere che egli ci ha fatto un dono grande: ha accolto ciò che abbiamo di più caro, e cioè i nostri giovani. È stata una grazia essere accolti e abbracciati da lui nella basilica di san Pietro, il 28 agosto scorso. Ma non ci siamo fermati lì, anzi abbiamo approfondito insieme alcuni aspetti del magistero di Papa Francesco. Nel mese di settembre ci siamo soffermati sulle periferie esistenziali. Poi è venuto mons. Semerano a parlarci della Evangelii gaudium, e anche con don Giuseppe Zanon ne abbiamo approfondito alcuni aspetti.   

Ora aggiungiamo un’altra pagina, riflettendo su ciò che Francesco ha comunicato ai Vescovi e quindi alle nostre Chiese, ai pastori delle comunità parrocchiali e ai nostri fedeli laici. Anche qui, è opportuno notarlo, si tratta di una novità: è la prima volta che il Vescovo di Roma tiene la prolusione e introduce i lavori dell’Assemblea plenaria della Cei, venendo incontro, ha precisato, “a quanti si domandano quali siano le attese del vescovo di Roma sull’episcopato italiano”. La riflessione del Papa ruota attorno all’essere pastori: pastori di una Chiesa che è comunità del Risorto, che è corpo del Signore, che è anticipo e promessa del Regno. A partire dalla missione di pastori di una Chiesa pasquale, eucaristica e anticipatrice del Regno, il Papa propone una riflessione che intende “rivisitare il ministero, perché si conformi sempre più alla volontà di Colui che ci ha posto alla guida della sua Chiesa”. Mi limito a citare le tre domande che egli rivolge ai Vescovi e a sottolineare qualche suo spunto di risposta. Il Papa pone ai vescovi in maniera diretta la domanda di fondo: “Chiediamoci, dunque: chi è per me Gesù Cristo? Come ha segnato la verità della mia storia? Che dice di Lui la mia vita?”.

La domanda può suonare retorica per i pastori, successori degli apostoli. Ma vale sempre anche per i Vescovi ciò che vale per tutti i discepoli di Cristo: possiamo rimanere fedeli alla vocazione-missione solo se veniamo custoditi nella fede dalla grazia di Cristo. “Senza questa custodia, senza la preghiera assidua”, riconosce il Papa, anche “il Pastore è esposto al pericolo di vergognarsi del Vangelo, finendo per stemperare lo scandalo della croce nella sapienza mondana”. Essere custoditi nella fede vuol dire riporre tutta la propria fiducia “nello Spirito del Signore” anche riguardo al ministero. Altrimenti si finisce fatalmente per “toccare con mano soltanto la sterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative”. E si diventa facili vittime delle tentazioni che – afferma Papa Francesco – “sono ‘legione’ nella vita del Pastore”: dalla “tiepidezza che scade nella mediocrità” alla “ricerca di un quieto vivere che schiva rinunce e sacrificio”; dalla tentazione della “fretta pastorale” alla “presunzione di chi si illude di poter far conto solamente sulle proprie forze, sull’abbondanza di risorse e strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere in campo”. Si è pastori solo se si è discepoli di Gesù: “Fratelli, se ci allontaniamo da Gesù Cristo, se l’incontro con Lui perde la sua freschezza, finiamo per toccare con mano soltanto la sterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative. Perché i piani pastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove: nello Spirito del Signore, che – nella misura della nostra docilità – ci spalanca continuamente gli orizzonti della missione” (…). Non stanchiamoci, dunque, di cercare il Signore – di lasciarci cercare da Lui –, di curare nel silenzio e nell’ascolto orante la nostra relazione con Lui. Teniamo fisso lo sguardo su di Lui, centro del tempo e della storia; facciamo spazio alla sua presenza in noi”.

La seconda domanda riguarda la Chiesa. “Proviamo, ancora, a domandarci: che immagine ho della Chiesa, della mia comunità ecclesiale? Me ne sento figlio, oltre che Pastore? So ringraziare Dio, o ne colgo soprattutto i ritardi, i difetti e le mancanze? Quanto sono disposto a soffrire per essa?”. Il Papa risponde a questa domanda mettendo in risalto la natura sacramentale, eucaristica, comunionale della Chiesa. In pratica: invita i Vescovi a ‘vedere’ la Chiesa nella luce della fede, a riconoscere che la Chiesa è la grazia che ci è data.  “Fratelli, la Chiesa – nel tesoro della sua vivente Tradizione, che da ultimo riluce nella testimonianza santa di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II – è l’altra grazia di cui sentirci profondamente debitori. Del resto, se siamo entrati nel Mistero del Crocifisso, se abbiamo incontrato il Risorto, è in virtù del suo corpo, che in quanto tale non può che essere uno. E’ dono e responsabilità, l’unità: l’esserne sacramento configura la nostra missione”. Dopo aver elencato le tentazioni che derivano da una visione distorta di Chiesa - l’elenco è lungo ma interessante -, il Papa afferma che “proprio l’esperienza ecclesiale costituisce l’antidoto più efficace (alle tentazioni). Promana dall’unica Eucaristia, la cui forza di coesione genera fraternità, possibilità di accogliersi, perdonarsi e camminare insieme; Eucaristia, da cui nasce la capacità di far proprio un atteggiamento di sincera gratitudine e di conservare la pace anche nei momenti più difficili”. 

La terza domanda riguarda ancora la Chiesa come anticipo e promessa del Regno, come servizio al Regno. “A questo proposito, chiediamoci: Ho lo sguardo di Dio sulle persone e sugli eventi? “Ho avuto fame…, ho avuto sete…, ero straniero…, nudo…, malato…, ero in carcere” (Mt 25,31-46): temo il giudizio di Dio? Di conseguenza, mi spendo per spargere con ampiezza di cuore il seme del buon grano nel campo del mondo?”. Anche qui il Papa evidenzia le tentazioni che ostacolano la crescita del Regno. Poi rivolge una serie di inviti che riassumo in due indicazioni. La prima è la seguente: vivere decentrati. “Servire il Regno comporta di vivere decentrati rispetto a se stessi, protesi all’incontro che è poi la strada per ritrovare veramente ciò che siamo: annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia. Verità e misericordia: non disgiungiamole. Mai!”.

Condividere e accompagnare è la seconda indicazione: “Siate interiormente liberi, per poter essere vicini alla gente, attenti a impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità, affiancando le persone lungo le notti delle loro solitudini, delle loro inquietudini e dei loro fallimenti: accompagnatele, fino a riscaldare loro il cuore e provocarle così a intraprendere un cammino di senso che restituisca dignità, speranza e fecondità alla vita”. Questa veloce sintesi vuole essere un invito a leggere, o rileggere, questo messaggio: è per i Vescovi e vi assicuro che cerco di meditarlo e vi prego di aiutarmi con i vostri suggerimenti perché possa cercare di corrispondere all’indicazioni di Papa Francesco. Ma il Papa, rivolgendosi ai Vescovi, ha in mente anche i sacerdoti e le difficoltà pastorali che tutti - vescovi, sacerdoti e laici - sperimentiamo. Proprio in riferimenti ai sacerdoti ha detto: “I nostri sacerdoti, voi lo sapete bene, sono spesso provati dalle esigenze del ministero e, a volte, anche scoraggiati dall’impressione dell’esiguità dei risultati: educhiamoli a non fermarsi a calcolare entrate e uscite, a verificare se quanto si crede di aver dato corrisponde poi al raccolto: il nostro – più che di bilanci – è il tempo di quella pazienza che è il nome dell’amore maturo, la verità del nostro umile, gratuito e fiducioso donarsi alla Chiesa”.

Concludo ricordando l’immagine della “Chiesa come un ospedale da campo”, nell’intervista del Papa al direttore di Civiltà cattolica. Partendo da questa immagine della Chiesa come ospedale da campo, il Papa proseguiva descrivendo la missione dei “ministri del Vangelo (che) devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi”. Credo di poter dire con sincerità che la nostra Chiesa piacentina e italiana, a cominciare dai parroci e dai preti, è intimamente coinvolta nelle difficoltà che riguardano tutti, condivide le sofferenze con com-passione e si fa carico delle persone che si trovano nel buio della notte. Non solo nel senso di dare aiuti materiali, di cui vi è peraltro crescente bisogno, ma anche, ad esempio, nel sostenere la fatica dell’impegno educativo dei genitori e dei docenti con giovani che stentano a scorgere un filo di luce per il loro futuro: i recenti dati sulla disoccupazione giovanile in Italia – e anche nel nostro piacentino – evidenziano la situazione drammatica che stiamo vivendo. Ma le difficoltà della vita – sia quelle dovute dai nostri limiti sia quelle che dipendono dai tempi che viviamo e dalla situazione complessa in cui ci troviamo – sono le prove per il nostro cammino di fede, di speranza e di carità. Se accolte nella fede, le difficoltà e le prove maturano sia la nostra personale relazione con il Signore sia la relazione di carità con i fratelli. 

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