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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

«Non professionisti della contrapposizione violenta ma ragazzi in un'età che prevede ribellione»

Nell'udienza del 25 settembre il Pm Emilio Pisante, dopo la requisitoria, ha chiesto per Lorenzo Canti quattro anni e 6 mesi di reclusione, mentre per Giorgio Battagliola sono stati chiesti 4 anni e 10 mesi. Arringhe dei difensori. La parte civile ribadisce la richiesta di 50mila euro totali

«Professionisti della contrapposizione violenta che hanno strumentalizzato un corteo per compiere atti di violenza gratuita. Non vedo pentimento ma nemmeno una parola di scuse per le lesioni provocate al carabiniere: ciò mi porta a non propendere le attenuanti generiche ma invece a ribadire tutte le aggravanti. L'obiettivo chiaro del gruppo era quello di raggiungere la sede di Casa Pound con intenti non meno violenti di quelli espressi invece con le forze dell'ordine sia in via Landi sia in via Sant'Antonino: non so quale odio sia più violento. Per questi motivi chiedo 4 anni e 6 mesi per Lorenzo Canti e 4 anni e 10 mesi per Giorgio Battagliola». Lo ha detto in aula nella mattinata del 25 settembre il pm Emilio Pisante. Queste le pene chieste per i due giovani di Modena e Bussoleno (Val di Susa) che son imputati rispettivamente per resistenza a pubblico ufficiale aggravata e per lesioni personali aggravate in concorso (solo Battagliola). I due stanno affrontando, con i legali Claudio Novaro e Marina Prosperi, il processo con rito ordinario. Il terzo protagonista del pestaggio del brigadiere capo Luca Belvedere in forze al Battaglione Bologna, l'egiziano del Si Cobas impiegato come facchino alla Tnt di Piacenza, Moustafa Elshennawi, aveva scelto l'abbreviato ed era stato condannato a 4 anni e otto mesi. Nella mattinata di martedì in aula davanti al collegio presieduto dal giudice Gianandrea Bussi (a latere Laura Pietrasanta e Ivan Borasi) ha deposto un teste delle difesa che ha ripercorso il corteo, poi ha parlato il pm e i due legali per le arringhe. Battagliola, che vive ai domiciliari nell'abitazione di un anziano amico ha reso spontanee dichiarazioni: «Vorrei tornare a lavorare e a casa mia. Se lo Stato non mi permettere di sostenerrmi, voglio andare in carcere così sarà lo Stato a prendersi carico della mia persona», dopo sono stati visionati i video delle testate Local Team e de IlPiacenza.it (l'unico quotidiano che ha ripreso il pestaggio).  Fuori, in via Del Consiglio, tra procura e tribunale carabinieri e polizia, dentro alcuni amici dei due imputati. 

L'ACCUSA - «Le disposizione del questore Pietro Ostuni - ha detto Pisante - che impedivano al corteo di arrivare in piazza Cavalli e che invece lo facevano terminare in piazza Sant'Antonino sono Corteo contro Casa Pound: gli scontri ©Gatti-Bonetti/IlPiacenzastate provvidenziali. Dopo un tentativo iniziale a Piazzale Marconi, poi abortito, ecco la prima deviazione in via Landi e gli scontri con il reparto mobile della polizia. I manifestanti volevano arrivare a Casa Pound in via Dieci Giugno. Certo la manifestazione era di stampo antifascista ma l'intento non era solo quello di protestare contro i fatti di Macerata, ma sopratutto quello di arrivare in via Dieci Giugno. Il percorso era stato concordato e approvato: gli organizzatori del corteo, del collettivo piacentino ControTendenza, sapevano bene dove potevano passare». «Non solo - prosegue Pisante  -, non sta in piedi nemmeno il desiderio di voler raggiungere il centro della città: piazza Sant'Antonino non è periferia, ma pieno centro. Piacenza non ha mai assistito a questo tipo di accadimenti, tanto è che coloro che li hanno compiuti sono soggetti estranei al corpo cittadino, professionisti della contrapposizione violenta (come aveva già scritto il gip Adele Savaastano nell'ordinanza ndr). Le immagini e i video visionati danno piena contezza di quanto accaduto e raccontato dai vari testi delle forze dell'ordine. Lanci di oggetti, travisamenti e atti di guerriglia urbana che hanno visto sempre in prima fila i tre imputati».

PARTE CIVILE - «La manifestazione di quel giorno - ha detto l'avvocato Elena Vezzulli - era potenzialmente incanalato in uno spirito che la città già conosce, ossia in linea con i principi della collettività se non fosse degenerato: un corteo antifascista che esprimeva le proprie opinioni in maniera civile, ma Piacenza non ha mai visto scene così violente, tanto è vero che gli imputati non sono piacentini. Ciò che è stata lesa è stata la sicurezza urbana che il Comune già da anni concorre a creare e a mantenere. Sarebbe stato stato un normale sabato e i cittadini avrebbero convissuto, come già accaduto in passato, con un corteo pacifico e legittimo, se non ci fossero stati facinorosi». «Chiediamo - ha concluso - 50mila euro totali come risarcimento al danno d'immagine subito dalla città di Piacenza che saranno destinati a progetti dedicati alla disabilità in età adulta».

Corteo contro Casa Pound: gli scontri ©Gatti-Bonetti/IlPiacenzaDIFESA DI GIORGIO BATTAGLIOLA - Il primo a parlare è stato il legale del No Tav 29enne Giorgio Battagliola, l'avvocato Claudio Novaro del Foro di Torino: «Non vedo, come invece dichiarato da pm e parte civile, nessuna specificità in quanto accaduto a Piacenza. Altrove e più volte sono andate in scena vicende ben più gravi. Le forze dell'ordine hanno il dovere di interloquire e di creare sempre un dialogo in un corteo dove è evidente che siano raggruppate più realtà, e quindi molteplici posizioni. Molti, venendo da fuori, non sapevano nemmeno il percorso, come il mio assistito. Il corteo del 10 febbraio voleva rendere visibile alla città la matrice fascista di Casa Pound.   Le forze dell'ordine prima di caricare dovrebbero avvisare i manifestanti con la formula prevista dalla legge ma non è mai stato fatto né in via Landi né in via Sant'Antonino. Tutti i partecipanti devono sapere cosa sta per avvenire, chi non è nelle prime fila non capisce cosa avviene davanti. La narrazione di quel giorno è sovradimensionata rispetto a quello che realmente è accaduto. Se fossero stati, come detto più volte, professionisti della violenza, in pochissimi secondi avrebbero spazzato via tutti i poliziotti e carabinieri che erano palesemente pochi e invece non lo hanno fatto. Ciò dimostra che nessuno voleva attaccare e che tutto si è ingigantito a livello mediatico alimentando l'allarme sociale». «Dai video (che mentre parla scorrono nel monitor ndr) si vede - sostiene - come non ci sia in via Landi nessuna mediazione prima della carica e del contatto, nessuno dice che si sta per caricare e un partecipante che è indietro rispetto alla testa vede solo i manganelli e la polizia che diventa violenta. Non so del calcio sferrato da un manifestante a un agente ma solo la carica - mettendosi nei panni di un ragazzo - questo alimenta la rabbia che cresce nei confronti delle forze dell'ordine. Ciò che è accaduto in via Landi è la radice di quanto successo poi in via Sant'Antonino». Novaro poi sostiene che quanto detto nelle udienze precedenti dai testi dell'accusa non sia corrispondente alla realtà: nessun lancio di oggetti ma solo un fumogeno, i due cassonetti sono stati spostati e non usati come ariete e non è il Battagliola colui che tira un calcio ad un poliziotto. E ribadisce che se avessero voluto, essendo 500, avrebbero attaccato e neutralizzato le forze dell'ordine. Poi l'arrivo in piazza Sant'Antonino e lo spostamento del cellulare dei carabinieri dall'imbocco di via Sant'Antonino a metà via e lo schiaramento della squadra (dieci uomini) del V Battaglione Bologna. Minuti di attesa e tensione durante i quali c'era la percezione che si dovesse e volesse passare di lì per arrivare in piazza e poi forse a Casa Pound. Poi i manifestanti che si schierano davanti ai dieci militari, la tensione che sale e prima che si desse l'ok per passare, la rabbia, l'adrenalina, lo scontro fisico e il pestaggio. «La polizia in quei lunghi minuti di attesa se non voleva che accadesse qualcosa doveva agire: aveva il tempo per farlo perché la frustrazione dei partecipanti era evidente così come era palese  - dice  - lo spaesamento. Il corteo non voleva finire nella piazza dedicata al patrono della città. La volontà era quella di andare in piazza Cavalli a fare vedere cosa fosse Casa Pound. E' qui che - sostiene Novaro - il mio assistito si vede per la prima volta a volto scoperto e a mani nude».

«Non voglio giustificare ma chiedo di considerare i fatti. Anche in via Sant'Antonino  - prosegue - il dirigente del servizio non avverte della carica imminente. I carabinieri arretrano in maniera non ordinata e non come invece precedentemente dichiarato, nessuno ha preso in mano le redini della situazione ma si avverte invece l'improvisazione della gestione del momento. Il contatto con il carabiniere da parte del Battagliola è fortuito, cade ma non perché lo vuole far cadere: tutti stanno correndo e vengono in contatto. E' altrettanto chiaro che se non si fossero toccati, Belvedere non sarebbe caduto ma non si può provare la volontarietà del gesto (Battagliola aCorteo anti-Casapound, scontri in centro ©Emanuela Gatti/ilPiacenzarretra con il corpo). Per questo chiedo l'assoluzione per le lesioni. La reazione minacciosa e violenta alle forze dell'ordine rientra nella volontà di contrapporsi  a un comportamento ruvido tenuto da queste precedentemente, si tratta quindi di una reazione a un atto arbitrario di un pubblico ufficiale». E ancora: «Piovevano manganellate su gente che non aveva fatto nulla, Battagliola non ha mai agito se non per reazione e solo dopo essere stato colpito ad un braccio da una manganellata. Si è arrabbiato per una manganellata che gli ha poi lasciato un ematoma, è una testa calda, lo concedo, ma solo di reazione e mai di iniziativa. Chiedo l'assoluzione per le lesioni e la concessioni di tutte le attenuanti generiche, nonché rigetto la richiesta danni. Battagliola reagisce a quello che ritiene un sopruso, vuole andare in piazza perché antifascista e perché sta protestando contro Casa Pound e agisce anche suggestionato dalla folla che impaurita e spaesata può agire anche in maniera sconsiderata».

DIFESA DI LORENZO CANTI - L'avvocato Marina Prosperi inizia la sua arringa con una panoramica sulla nave Diciotti, sull'aggressione subita da alcuni partecipanti al corteo antirazzista organizzato a Bari dalla rete di associazioni "Mai con Salvini" da parte di militanti di Casapound avvenuta il 21 settembre, sul film che racconta la vicenda di Stefano Cucchi, e poi ha ricordato anche la morte di Federico Aldovrandi. «Piacenza - ha detto - non avrà mai assistito a scene così ma non ha nemmeno mai visto un corteo di mille persone. Le responsabilità di quanto accaduto vanno condivise, quel giorno è mancata una mediazione politica che invece era necessaria. Il corteo in via Landi ha sbagliato strada e voleva solo andare avanti, non scontrarsi con la polizia che non era in forze come forse avrebbe dovuto. I ragazzi erano a mani nude e molti a volto scoperto. Quattro anni e sei mesi sono tantissimi e spropositati per quanto fatto dal mio assistito, e chiedo l'assoluzione».

Corteo contro Casa Pound: gli scontri ©Gatti-Bonetti/IlPiacenzaE ancora: «Ha brandito un'asta in via Sant'Antonino ma verso un militare comunque in tenuta antisommossa e per allontanarlo da sé, mentre il calcio che gli viene contestato in via Landi, lo ha dato a uno scudo. Perché nessuno, pure avendo il tempo, non ha autorizzato il passaggio in quella via? E perché nessuno li ha fatti defluire altrove? Il fine del corteo era solo quello di non essere tenuto in periferia. Chiedere 50mila euro è ingiusto perché la ritengo una richiesta irrazionale e vedo molti interessi e un'esigenza di giustizia televisiva e mediatica. Ha agito per necessità. Era un corteo di ragazzi in un'età che prevede la ribellione e tutto va visto alla luce della situazione nazionale dove episodi di aggressoni fasciste sono all'ordine del giorno. Ciò che questi ragazzi hanno dentro non è picchiare un poliziotto ma libertà e giustizia». La sentenza il 2 ottobre, il pm Emilio Pisante ha espresso parere contrario a quanto chiesto dai due legali. 

Corteo anti-Casapound, scontri in centro ©Emanuela Gatti/ilPiacenza



 

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