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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

«Ho perso il controllo e l'ho uccisa ma non me lo ricordo: era come un sogno»

Seconda udienza del processo in corte d'Assise che vede imputato il marocchino Abdelkrim Foukahi per l'omicidio della moglie, Damia El Essali nel maggio 2019. Dopo averla uccisa nella loro abitazione a Borgonovo scappò con i figli per tre giorni

«Non si aspettava di morire, ma ha tentato di salvarsi», aveva terminato così la scorsa udienza la propria testimonianza Marco Ballardini, medico legale dell’Istituto di Medicina Legale di Pavia che effettuò l’autopsia sul corpo di Damia El Essali trovata cadavere l’8 maggio 2019 e con un coltello ancora «conficcato nel collo». Per l’omicidio della 45enne marocchina avvenuto a Borgonovo è imputato il marito e connazionale Abdelkrim Foukahi (difeso da Andrea Perini): è accusato di omicidio volontario aggravato. Il 21 giugno davanti alla corte d’Assise presieduta da Gianandrea Bussi, Sonia Caravelli e sei giudici popolari, si è svolta la seconda udienza alla presenza del pm titolare delle indagini, Emilio Pisante, e degli avvocati delle parti civili Wally Salvagnini che rappresenta i famigliari della vittima e di Mara Tutone per il centro antiviolenza "La città delle donne Telefono Rosa Piacenza". Damia era madre di tre figli, due piccoli (all’epoca dei fatti di 5 e 3 anni) e di una giovane donna che vive e studia in Marocco.

«Era come un sogno. Ancora adesso mi sembra di essere in un sogno. L’ho uccisa. Ho perso il controllo e nonandrea perini avvocato 2021-2 ero in me. Sono pentito, ho rovinato la mia vita, quella dei miei figli e l’ho tolta a Damia». A dirlo l’imputato che ha risposto alle domande del pm, delle parti civili, del proprio avvocato il quale lo ha aiutato nel raccontare quel giorno nel dettaglio e del giudice Bussi. Prima hanno parlato alcuni testi tra i quali la maestra della figlia che ora ha 7 anni: «Lui era molto riservato ma sempre gentile. La piccola era rispettosa, vivace, la vedevo serena. Non c’è mai stato nessun tipo di problema. Quando lui la veniva a prendere, lei le si gettava al collo». Damia lavorava su turni anche notturni alla vetreria di Borgonovo, il marito, disoccupato, accudiva i figli. L’accordo, pare, era quello che una volta che il più piccolo avesse avuto l’età per andare all’asilo, lui avrebbe cercato lavoro. Dopo l’assassinio prese i figli e scappò. Vagò con loro tre giorni tra Francia e Italia in auto. Fu braccato e preso in un’area di servizio lungo l'A4 vicino a Treviso. Da allora è in carcere e i figli con una delle sorelle della vittima. Nei mesi è stato in cura nel reparto psichiatrico delle Novate e tuttora assume farmaci: «Non sto bene nella testa», ha detto.

damia omicidio 2021-2Damia fu uccisa nella sua cucina il 6 maggio 2019 con otto coltellate al collo, una l’ha trapassata recidendo la carotide: la morte è giunta in pochi minuti per asfissia ed emorragia. La famiglia aveva pranzato, il figlio piccolo era stato messo a letto a dormire, la più grande era nella sua camera a guardare i cartoni. «Lei si lamentava, era nervosa, abbiamo iniziato a litigare in corridoio, poi in salotto dove lei ha spaccato alcuni vasi. Le avevo detto – ha raccontato l’imputato assistito da un’interprete – di invitare sua madre a casa e lei pensava che la prendessi in giro (i rapporti tra suocera e genero non erano idilliaci, anzi era piuttosto tesi per il carattere molto schivo ed escludente di lui, come è emerso nell’udienza precedente, nda). Mi ha preso per il collo, io l’ho solo allontanata. Poi con una scopa mi ha colpito proprio dove qualche mese prima mi operarono per un’ernia. Mia figlia attirata dalle urla è venuta a vedere cosa stesse accadendo, le ho dato il mio cellulare per giocare ed è tornata in camera sua, la porta era chiusa. Damia è andata in cucina: ha detto che avrebbe preso un coltello, l’ho seguita, era forse un coltello piccolo. Le ho preso il polso per disarmarla ma non sono in grado di dire altro con certezza. Poi non ricordo nulla. Sono andato in coma. Ho capito che era morta dopo qualche minuto quando mi sono risvegliato. Non ricordo se respirava ancora. Mi sono lavato le mani. C’era sangue. Ho preso i bambini, nove mila euro in contanti (di Damia), ho raccolto alcuni dolci e abiti, ho chiuso la casa e siamo partiti in auto. A mia figlia ho detto che la mamma era salita da Allah. Io le ho detto che saremmo andati dalla polizia ma lei piangeva allora ho cambiato idea e ho preso l’autostrada». E’ una versione quella raccontata dall’imputato condita da molti “non ricordo”, “solo dio sa” “ero fuori di testa”, “in coma” e che non convince l’accusa.

Incalzato dal pm Pisante ma anche dal suo avvocato ha ammesso di averla uccisa: non ricorda come e quando ma l’ha fatto. «Perché quando ha capito cosa aveva fatto non è andato all’ospedale che è lì vicino? Perché nei giorni che ha girovagato e che è ripassato vicino a Piacenza (Milano) non le è venuto in mente di tornare a casa, in quella casa dove ancora giaceva il corpo di sua moglie? Se dice di essere stato come in coma come può aver guidato per tre giorni?», gli ha chiesto il pm Pisante. E ancora: «Perché in auto c’erano i documenti dei bambini, dove voleva andare?», «Quindi ora ci sta dicendo che Damia la stava minacciando e voleva ucciderla? E con cosa? «Non lo so cosa voleva fare. Non so dire quale coltello avesse in mano», ha risposto l’uomo. «E se era, come dice in coma,  - ha proseguito Pisante - come può essere certo che sua figlia non abbia assistito anche parzialmente alla scena? Le sembra normale non andare dalla polizia perché la figlia di cinque anni non vuole?». Foukahi ha risposto che non voleva andare in Marocco, che non sapeva cosa fare, che era fuori di testa e che era normale non andare dalla polizia: «La bambina era traumatizzata da quella sera (marzo 2019) in cui a casa nostra vennero i carabinieri».  

salvagnini tutone avvocati 2021-2Damia non ha mai parlato male del marito con i parenti, lo giustificava – è emerso nella scorsa udienza ma lo ha ammesso anche lo stesso imputato – ma il lavoro era molto pesante e anche se lui in maniera eccellente curava i bambini («ero felice – ha detto – di curarli, di portarli al parco e stare con loro») tuttavia il peso di una casa, le responsabilità e le preoccupazioni mai pareggiate da una gioia o da qualche svago avevano tolto il sorriso alla donna che il marito stesso ricorda come «gioiosa». I due si conobbero tramite alcuni parenti amici, ma non si videro mai di persona tanto che si sposarono per procura in Marocco. Solo nel 2013 Foukahi arrivò in Italia e vide Damia. Erano già marito e moglie, prima si parlavano in video chat o al telefono: «Da noi si vfa così», ha detto l’uomo. Il 27 marzo 2019 Damia chiamò i carabinieri per una lite con il marito. Era sera. I militari di San Nicolò raccontarono: «Al nostro arrivo la donna si preoccupò di dirci che era tutto risolto e che avevano litigato perché il marito erroneamente pensava che lei lo potesse lasciare, ma lei non se ne sarebbe andata perché l’uomo badava ai figli quando lei lavorava, quindi era sicuramente una presenza utile». «Quel giorno – ha detto il legale dell’imputato, Andrea Perini – Foukahi si scattò due foto che ritraevano il suo collo ferito da alcuni graffi fatti dalla moglie» . «Lo feci – ha detto lo straniero – per dimostrare che non ero io che l’aggredivo bensì il contrario». E ancora. «In una telefonata del 9 maggio (intercettata) la mamma e la sorella del mio assistito parlano di alcuni litigi avvenuti nell’ultimo periodo. Inoltre viene detto anche che «Damia mi colpiva spesso nel punto della mia operazione chirurgica e anche in altre parti del corpo quando litigavamo».

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