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Cronaca

Omicidio di via Nasolini, in Appello confermata la condanna a 14 anni

Per Mazzarelli, accusato di omicidio volontario aggravato, restano 14 anni e due mesi. Aveva accoltellato un albanese di 31 anni nei pressi del bar Olditimer. La difesa aveva chiesto l’eccesso colposo di legittima difesa

La Corte di assise appello di Bologna ha confermato la condanna di Gianluca Mazzarelli a 14 anni e due mesi di reclusione. Il giovane doveva rispondere di omicidio volontario aggravato e porto abusivo d’arma. Secondo le accuse, Mazzarelli avrebbe ucciso l’albanese Ervin Tola, di 31 anni, nella sera del 29 dicembre 2017, davanti al bar Oldtimer in via Nasolini. La difesa, con l’avvocato Antonino Rossi, attenderà le motivazioni della sentenza prima di avviare il ricorso in Cassazione.

Mazzarelli, che si trova in carcere dove sta scontando la sentenza di primo grado ottenuta con il rito abbreviato - e lo sconto di un terzo della pena - avrebbe ucciso Tola al termine di una violenta lite in cui erano state coinvolte più persone. E di «comportamento irresponsabile di tutte le persone coinvolte», molte di loro ubriache, ha parlato anche il procuratore generale Valter Giovannini che ha chiesto ai giudici la conferma dei 14 anni e due mesi.

L’avvocato Antonino Rossi, invece, ha sostenuto ciò che ha sempre cercato di far valere: quella sera Mazzarelli, che veniva picchiato da due persone era finito a terra e aveva tentato una difesa. Aveva afferrato un coltello a terra e aveva colpito mortalmente Tola. Poi era fuggito, ma il giorno dopo si era costituito. Secondo il difensore andava, quindi, considerato l’eccesso colposo di legittima difesa (aggredito da più persone, mentre era a terra) e ha chiesto ai giudici di riconoscerlo. In secondo luogo, Rossi ha chiesto la riqualificazione del reato in omicidio preterintenzionale e, infine, la concessione delle attenuanti perché Mazzarelli si è reso della gravità del fatto e il giorno dopo si era consegnato alla polizia e al pm Emilio Pisante che aveva coordinato le indagini della Squadra mobile.

Ma la pena, ha sottolineato la pubblica accusa che ha chiesto di confermare il primo grado, era già mite. I familiari del povero Tola - che lavorava come imbianchino e che non è riuscito a veder e il figlio che la moglie portava in grembo, e che è nato due mesi dopo la sua morte - avevano ritenuto mite la pena. Il giudice, al padre alla madre e ai fratelli aveva riconosciuto un risarcimento di 500mila euro ciascuno. Al figlio che Tola aveva appena avuto dalla compagna il giudice aveva assegnato un risarcimento di 750mila euro.

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