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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Operazione antimafia, l’assessore Gazzola: «Mai abbassare la guardia»

L'intervento dell'assessore alla legalità Luigi Gazzola sulla maxi operazione dei carabinieri della notte del 28 gennaio che ha portato all'arresto di un centinaio di 'ndranghetisti

«L'operazione dei Carabinieri – è il commento dell’assessore alla legalità Luigi Gazzola - coordinata dalla DDA di Bologna, che ha portato all'arresto di oltre un centinaio di persone in Emilia Romagna con l'accusa di associazione mafiosa non può essere letta come una semplice notizia di cronaca. E' tanto più preoccupante perché alcuni degli arresti sono avvenuti in una zona del piacentino già interessata negli anni scorsi da una vicenda analoga che, all'esito del processo, aveva portato a severe condanne. Essere di nuovo al centro di indagini per mafia a distanza di poco tempo obbliga ad interrogarci, quanto meno a domandarci in che misura il fenomeno ci riguardi giacché che ci riguardi è scontato: da tempo le relazioni annuali del Procuratore nazionale antimafia  e della D.N.A. affermano che nella nostra provincia è “insediata la 'ndrangheta. Ed, in particolare, quella proveniente dalla zona di Cutro, provincia di Crotone”.

La notizia può sorprendere solo chi abbia colpevolmente sottovalutato il problema delle mafie (quando non addirittura negata la loro esistenza) in nome di una pretesa superiorità del nord rispetto al meridione, o lo abbia ritenuto meramente teorico o qualcosa di lontano riguardante altri.

Emerge invece una volta di più la profondità di penetrazione della mafia nel Nord Italia e delle imprese criminali anche all’interno dell’economia emiliana, in un tessuto culturale, professionale ed economico  ritenuto a lungo immune dalla contaminazione delle organizzazioni mafiose.

Le ragioni storiche che hanno favorito la lenta infiltrazione non bastano a spiegarne la dimensione se non si considera, oltre ai vantaggi offerti dalla generale indifferenza e sottovalutazione, la scarsa resistenza da parte dei sistemi locali ed anzi la “disponibilità” ad ospitare le istanze criminali.

E' un fatto che la crisi economica e la stretta sempre più vigorosa del sistema creditizio abbiano spinto diverse imprese del nord alla ricerca di canali alternativi di finanziamento dei flussi di cassa aprendo la strada dapprima a cessioni di rami d'azienda e in seguito di intere società alle organizzazioni mafiose, le uniche alle quali non manchi la liquidità necessaria per gli investimenti.

In questo senso la crisi è diventata il volano degli affari delle cosche e della 'ndrangheta in particolare, che evidenzia indubbi elementi di modernità rispetto alle altre mafie non puntando tanto al tradizionale controllo militare del territorio quanto al controllo del tessuto economico-produttivo, sia pure ricorrendo ai consueti strumenti dell'usura, dell'estorsione e del traffico di stupefacenti per arricchirsi e del riciclaggio per ripulire i proventi illeciti impoverendo e drogando l'economia sana coinvolgendo quegli imprenditori che vedono nei clan la chiave per superare le difficoltà della crisi o implementare gli affari.

Sarebbe ingiusto tuttavia attribuire all'arrendevolezza degli imprenditori, spesso mossi in buona fede dalla semplice necessità di lavorare, l'apertura dei varchi all'ingresso di pratiche mafiose. “La forza della mafia si trova fuori dalla mafia”, sostiene da tempo Nando dalla Chiesa, e i rapporti annuali della D.I.A. non mancano di far riferimento a fenomeni di “colonizzazione” e infiltrazione anche nella pubblica amministrazione e nella politica. Esse soprattutto dovrebbero spiegare come sia stato possibile per i clan calabresi fare affari per anni al nord nella totale impunità ed anzi “essere componenti stabili di un tessuto sociale ed economico che li ha inglobati a pieno titolo come soggetti economici legittimati in tutto e per tutto”.

Alla luce del coinvolgimento di esponenti politici e di amministratori anche nella presente indagine, recidere il legame tra la mafia e la politica appare quanto mai urgente. Ma è un compito che ancora una volta non può essere delegato alle intuizioni investigative delle forze dell'ordine e all'azione della magistratura. A quanti lavorano a tutela dei diritti della collettività, spesso e volentieri senza avere i mezzi fondamentali a disposizione, occorre semmai riconoscere le risorse necessarie.

Per evitare che il nostro diventi un territorio di conquista occorre un surplus di responsabilità diffusa e condivisa in grado di attivare gli indispensabili anticorpi, un controllo sociale che si caratterizzi come capacità di reazione dell'intera comunità. Di fronte alla crescita esponenziale del fenomeno non si registra purtroppo un corrispondente aumento delle denunce; ma un conto è se il silenzio  e l'omertà sono dettati dalla paura altro se sono scelte di opportunità, calcolo, quieto vivere in un contesto sociale che li considera un valore.

Opporsi alle mafie vuol dire non restare mai in silenzio nemmeno di fronte al segnale più piccolo, sapendo di non essere lasciati soli, potendo contare sul supporto istituzionale e su un tessuto sociale che difende la cultura della legalità e per ciò stesso su un territorio poco ospitale, poco permeabile alla espansione della cultura mafiosa. Per combatterla con le armi della legalità, della trasparenza, della denuncia, della solidarietà, occorre anche muoversi sul terreno della conoscenza: conoscere il nemico per combatterlo. Attraverso il monitoraggio degli ambienti locali, affinando osservatori e strumenti di analisi. Quell'attività di sensibilizzazione ormai diffusa e radicata nelle scuole e nei mondi vitali della società civile deve diventare patrimonio anche del mondo delle attività produttive. La formazione insieme alla costante informazione da parte dei media hanno un ruolo fondamentale per aumentare la consapevolezza del rischio.  L'operazione in corso rappresenta certamente una risposta efficace alla richiesta di sicurezza e un duro colpo alla criminalità organizzata ma questa ha una straordinaria capacità di rigenerarsi, ciò che conferma la necessità di non abbassare mai la guardia nel segno della legalità».

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