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Cronaca

«Otto panetti di hascisc sequestrati e consegnati dai poliziotti a un pusher per fare un grosso arresto»

Processo per spaccio, la testimonianza di un agente arrestato. Sentito anche un maresciallo del Nucleo investigativo dei carabinieri che ha svolto le indagini: «Così abbiamo pedinato gli uomini della questura»

Otto panetti di hascisc che invece di finire nell’inceneritore sono stati consegnati a un pusher il quale aveva promesso ai poliziotti che avrebbe fatto arrestare loro uno spacciatore della “Piacenza bene”. E ancora, i vertici della questura avrebbero saputo del modo di gestire le operazioni antidroga della sezione narcotici, a partire dall’allora capo della Mobile (anche se era all’oscuro delle consegne di droga a uno degli spacciatori), mentre uno degli imputati, l’ispettore Claudio Anastasio non sarebbe stato visto dai carabinieri sul luogo dove sarebbe avvenuto uno degli illeciti degli agenti.

Sono alcuni dei momenti più importanti dell’udienza di oggi al processo nei confronti dell’ispettore di polizia, Anastasio, di Eridania Cortes e Boris Angeloski. Tutti sono accusati di detenzione di supefacente ai fini di spaccio. Lunghe le audizioni di due testimoni, il maresciallo del Nucleo investigativo dei carabinieri Mirco Gatti (all'epoca delle indagini comandato dal capitano Papaleo) e l’assistente di polizia Paolo Bozzini (anch’egli coinvolto nell’inchiesta  ha definito la propria posizione con un rito alternativo).

HASCISC SPARITO Il pm Michela Versini e il difensore di Anastasio, l’avvocato Claudio Porciani, hanno tempestato di domande Gatti. E si è partiti subito dall’operazione dei carabinieri che in casa di Giorgio Cavaciuti (anche lui finito nella maxi inchiesta della procura) sequestrarono sette panetti di hascisc, di circa un etto l’uno. Dalle indagini – ha spiegato Gatti - emerse che quell’hascisc era stato sequestrato tempo prima dalla Volante. I carabinieri, allora, scoprirono che quella droga avrebbe già dovuto essere cenere, perché bruciata nell’inceneritore come prassi delle Forze dell’ordine. Eppure esisteva un verbale di sequestro e distruzione all’inceneritore.

La spiegazione la darà più avanti nella mattinata Bozzini. Il verbale venne compilato in ufficio e lui lo firmò e mise anche la sigla del collega Paolo Cattivelli. Bozzini, il giorno dopo, andò all’inceneritore da solo, ma l’hascisc non finì nella fornace. Bozzini ha spiegato che Cavaciuti, dopo aver letto la notizia degli arresti e del sequestro di hascisc avrebbe detto ai poliziotti che «se li avesse avuti lui quei sette etti avrebbe fatto fare un bell’arresto ai poliziotti dell’antidroga: uno spacciatore della cosiddetta “Piacenza bene”». E di tutto questo, ha affermato Bozzini, Anastasio (all’epoca il capo della Sezione narcotici della questura, ndr) era informato tramite telefonate. E l’ispettore aveva dato il via libera all’operazione sostenendo che «tanto l’hascisc l’avremmo recuperato dopo».

Alle domande dell’avvocato Porciani, relative al fatto che il capo della Squadra Mobile Stefano Vernelli sapesse, Bozzini ha risposto che sì sapeva, ma non della cessione dell’hascisc a Cavaciuti per fare il grosso arresto. «Almeno io non gliel’ho detto» ha sottolineato Bozzini.

I TRANS - Bozzini, poi ha parlato anche del rapporto con i transessuali. Questi ultimi avrebbero goduto di “coperture” in quanto la polizia li usava come informatori. Con cadenza periodica venivano invitati formalmente in questura - alcuni erano clandestini, come Luana – per sistemare la documentazione relativa alla richiesta di permesso di soggiorno. In realtà, i trans fornivano utili indicazioni ai poliziotti per fare arresti nel mondo dello spaccio. «Insomma – ha chiosato il presidente del Collegio giudicante, Italo Ghitti – quegli inviti erano una scusa per farli restare qui e usare le loro informazioni?». La risposta è stata positiva. E anche di tutta questa vicenda, il capo della Mobile, Vernelli, era informato.

Nel ginepraio di nomi, fonti, pusher e arresti è venuto a galla, sempre su domanda dell’avvocato Porciani che sull’agendina di uno spacciatore – il carrozziere Marco Mazzi, il quale ha già patteggiato – i carabinieri, dopo l’arresto, avevano trovato un numero di telefono con accanto la parola “questore”. E durante l’interrogatorio è emerso che più volte, alcuni poliziotti, erano intervenuti sulla stampa locale per non far pubblicare il nome di Mazzi che era finito nei guai. E la strategia del coinvolgere i vertici della questura da parte di Porciani non finisce qui, perché intende riproporre le domande agli altri testimoni.

Il legale di Anastasio ha poi insistito con il maresciallo Gatti sulla presenza dell’ispettore. Il sottufficiale dell’Arma – dopo aver spiegato che cosa sentivano i carabinieri intercettando i telefonini dei poliziotti coinvolti - a una domanda diretta relativa all’operazione del 15 ottobre 2012 ha risposto di «non aver visto Anastasio sul luogo degli interventi né di aver visto l’auto di servizio dell’ispettore».

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