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Giovedì, 25 Aprile 2024
Caso Levante

Esposito condannato a 5 anni e 10 mesi. La difesa: «Ritenuto colpevole da subito»

Fu l'unico carabiniere che scelse di andare a dibattimento, gli altri preferirono l’abbreviato (sconto di un terzo della pena).  La sentenza è stata pronunciata dal presidente del collegio Stefano Brusati dopo circa tre ore di camera di consiglio. L'accusa aveva chiesto 8 anni e dieci mesi

Si è concluso con una condanna a 5 anni e dieci mesi il processo di primo grado e celebrato con rito ordinario (nessuno sconto di pena) nei confronti di Angelo Esposito, l’unico carabiniere che scelse di andare a dibattimento, gli altri preferirono l’abbreviato (sconto di un terzo della pena).  La sentenza è stata pronunciata dal presidente del collegio Stefano Brusati (a latere Aldo Tiberti e Sonia Caravelli) dopo circa tre ore di camera di consiglio. I pm Matteo Centini e Antonio Colonna con il procuratore Grazia Pradella avevano chiesto 8 anni e dieci mesi (LEGGI QUI LA REQUISITORIA). Esposito fu arrestato il 22 luglio 2020 con altri cinque carabinieri della caserma Levante (LEGGI QUI TUTTA LA VICENDA DAL 2020).

Il collegio ha assolto Esposito da quattro capi di imputazione per omessa segnalazione e abuso d’ufficio (per due aveva chiesto l'assoluzione già la procura), inoltre il reato di sequestro di persona è stato riqualificato in arresto illegale mentre circa il capo più grave, ossia la tortura in concorso (vicenda El Sayed), il collegio ha tolto l’aggravante delle lesioni. Svariate le parti civili per le quali è stato disposto un risarcimento. 

«Riconoscendo il reato di tortura il tribunale ha confermato l’impianto accusatorio della procura», ha dichiarato il procuratore Pradella. «Eravamo partiti con capi di imputazione spropositati e quindi adesso la situazione si sta ridimensionando e confidiamo nell’appello e nella giusta considerazione. Aspettiamo di vedere le motivazioni», ha spiegato l’avvocato Maria Paola Marro (con lei il collega Pier Paolo Rivello).

marro rivello-2LA DIFESA

L’ultimo atto del processo si è aperto nella mattina del 1 dicembre con la lunga arringa dei difensori che riportiamo in maniera sintetica.

«Perché avrebbe dovuto fare quello che avrebbe fatto? Per soldi no, aveva lasciato la casa perché non riuscivano a pagare il mutuo ed erano tornati in caserma a vivere. Encomi? No, non ne ha. Non frequentava al di fuori del lavoro la triade (Montella, Cappellano, Falanga), non ci sono messaggi, intercettazioni che provino una sorta di amicizia. E’ lo stesso Montella che dice al cappellano del carcere di non essere mai riuscito a coinvolgere Angelo “perché è fatto così, solo casa e lavoro” e di essersi quindi rassegnato a tirarlo dentro. Ha fatto la parte lecita di un complotto illecito di cui non aveva conoscenza, non giudicate solo il carabiniere ma anche l’uomo», ha spiegato alla Corte l'avvocato Marro. 

«Proprio dalla lettura della sentenza di primo grado (si parla del rito abbreviato per gli altri 5 carabinieri, nda) intendiamo partire per mettere un punto fermo sul contesto lavorativo o criminale nel quale Esposito era inserito. Che non va certamente a significare che l’imputato era ed è un criminale.  E’ stato infatti cristallizzato – dice l’avvocato Marro - un sistema contrassegnato da pressapochismo e da episodi di arroganza, violenza e dalla sistematica violazione delle regole con un “modus procedendi rodato e condiviso dagli imputati seppur con diverse declinazioni per coloro che vi operavano, una deriva innescata e amplificata dalla figura carismatica di Giuseppe Montella fulcro di quelle attività illecite e promotore della filosofia dell’arresto “cotto e mangiato”».

«E sono questi – dice Marro - gli elementi da cui partire e che vanno integrati per poter giungere ad una condanna di Esposito con le risultanze probatorie emerse in dibattimento al fine di valutare, il dolo, l’intensità e la libertà della partecipazione al sistema Levante ma ancor più va ricercata la genesi di questo sistema ed il perché nessuno l’abbia mai interrotto sin dai fatti mediatici cui le istituzioni non avevano dato peso sin dall’anno 2009». «Il sistema istituzionale che oggi accusa Esposito – continua - è lo stesso che non ha creduto nel 2009 nemmeno in circostanza di interrogatorio di garanzia ai tre poveri ragazzi che durante  una festa di laurea avevano avuto l’unica colpa di incontrare il sistema Levante o meglio il sistema Piacenza».

«Questo processo – prosegue l’avvocato - voluto dalla Procura paradossalmente consacra la credibilità degli allora spacciatori condannati da questo Tribunale e oggi parti lese e caposaldo dell’accusa e del crollo sperabile del sistema Piacenza-Levante. Certamente anche il Tribunale si trova nel gravoso compito di soggiacere alla legge ma anche di dare una risposta al comune cittadino. E’ chiaro che questa difesa si riferisce all’imputato Esposito la cui principale colpa e responsabilità è attribuita solo per essere un carabiniere che ha prestato servizio alla Levante. Un carabiniere la cui unica colpa è stata quella di essere assorto in problemi personali altrettanto gravi (problema di salute gravissimo di uno dei figli piccoli) tale da estraniarlo da tutto il gruppo Levante». «Ci domandiamo ancora – continua - come può essere successo e come in uno stato democratico come l’Italia nessuno ai vertici superiori abbia visto o abbia voluto vedere il sistema nonostante le statistiche delle attività poste in essere dalla levante certamente non siano passate inosservate all’atto del riconoscimento di encomi  e degli avanzamenti di carriera».

«Occorre verificare – spiega - quale sia stato l’eventuale apporto, concorso e condivisione materiale e morale allo schema Levante da parte dell’odierno imputato nonché il grado di condizionamento operato da Montella che, è pacifico, svolgeva le funzioni di comandante e tale era considerato da tutti.   Lo stesso comandante Orlando è stato dall’Ufficio della Procura ritenuto succube del carisma criminale di Montella e non si comprende come non sia stata dalla stessa minimamente considerata la possibile, e per questa difesa, certa sudditanza anche di Esposito».

«Una richiesta di condanna ad 8 anni di reclusione non può fondarsi unicamente sull’asserita presenza dei fatti da parte di Esposito omettendo ogni ulteriore dato a favore. Se la mera presenza dei fatti fosse infatti automatica colpevolezza questa difesa non comprende il criterio con cui l’ufficio dell’accusa abbia individuato Esposito come imputato escludendone altri. Non si capisce perché militari presenti agli episodi contestati siano rimasti indenni dalle pesanti accuse rivolte a Esposito e per gli stessi sia stato usato coscientemente quel parametro di gradazione della responsabilità apoditticamente negato al mio cliente. E con ciò non si intende che questi militari debbano essere parimenti messi alla gogna ma, al contrario, che Esposito debba essere valutato allo stesso modo soprattutto e a maggior ragione all’esito di questo lungo dibattimento».

«In ogni procedimento incombe all’accusa indicare i fatti concreti e specifici che provino senza ombra di dubbio la partecipazione ovvero il concorso nel reato di Esposito. Si perché come da sempre indicato dalla Suprema Corte di Cassazione la condanna richiede indizi, non congetture. Quello che oggi la Procura chiede è di condannarlo in base all’assunto del non poteva non sapere. Su questo è caduto l’intero sistema accusatorio di “Mani Pulite”» . «Occorre valutare ed esaminare il comportamento dell’imputato nelle effettive operazioni in cui lo stesso ha partecipato in prima persona ed in quelle la cui partecipazione risulta dai verbali ma alle quali non ha preso parte, sia stata allo stesso resa nota ed in che termini. Quando infatti l’accusa dice che Esposito è colpevole perché era presente e quindi non poteva non sapere deve giustificare anche perché gli altri soggetti presenti (nel caso dell’arresto di Anianku, dell’arresto di Elsayed, dell’arresto Zique, arresto Caggiano, Arresto Rodriguez ) non devono essere ritenuti al pari responsabili», sostiene la difesa che poi ha aggiunto: «Evidente l’atteggiamento tenuto dalla Procura sin dalle indagini nei confronti di Esposito che, ritenutolo sin da subito colpevole, ha costruito intorno allo stesso il castello di accuse anche facilmente smentibile dalla documentazione, e volutamente ignorato le prove a discarico. Un’indagine quella condotta dalla Procura nei confronti della posizione Esposito con un pregiudizio mai venuto meno e che ha oscurato completamente l’oggettività dell’attività stessa».

«Il tutto con fatti certi e concreti non limitandosi a dire perché Esposito è un falso ed un bugiardo a prescindere ovvero perché ha un grado superiore agli altri ovvero perché utilizzava i guanti in dotazione ma non era in divisa ovvero perché ha portato l’acqua alla persona offesa. E’ emerso chiaramente che all’interno della Caserma Levante non vi era alcun rispetto della scala gerarchica su autorizzazione degli stessi ufficiali. E’ fatto provato che Montella - prosegue - conferiva direttamente con il maggiore senza alcuna mediazione del suo comandante e lo stesso maggiore avallava ed autorizzava questa prassi».

«Ci sembra strano che Esposito, additato dall’accusa come un intraneo al modus operandi della Levante sia stato totalmente ignorato e passi inosservato in un procedimento giudicato sulla base della lettura di tutti gli atti e dalle dichiarazioni rese dai computati. In più di 588 pagine di motivazioni di una sentenza che ha visto comminare condanne esemplari l’apporto del coimputato Esposito è totalmente assente. In questo procedimento il nome dei coimputati era ed è stata una costante tanto da oscurare persino l’imputato. Non è usuale infatti che in un’aula ove aleggiava dalla prima udienza un plumbea colpevolezza, la Procura abbia sentito  l’esigenza e la necessità di esaminare i propri testi sull’operato degli altri coimputati in episodi non contestati al mio assistito».

I CAPI DI IMPUTAZIONE

«Circa l’accusa di peculato tutti gli informatori oltre a non conoscere Esposito hanno detto che la droga veniva data loro di nascosto. Stiamo parlando dell’arresto di M.C. per 3,3 chili di hascisc. In quella circostanza 80 grammi furono presi e dati a Lyamani Hamza a ricompensa della soffiata. Esposito non ha mai partecipato a quell’arresto perché quel giorno aveva un altro turno ma – visto che abitava in caserma – fu chiamato per dare una mano. Stesso copione per il secondo capo che riguarda un arresto simile con ricompensa in droga a Lyamani Hamza. Per questi due capi già la procura aveva chiesto l’assoluzione».

«Sul caso di Israel Anianku la Procura si limita infatti a dire che va condannato perché è un bugiardo, si era fatto male ad un polso (presumendo un pestaggio in assenza di contestazione sulle lesioni o percosse) e sull’asserita non attendibilità delle dichiarazioni di Esposito smentite, a dire dalla Procura dai memoriali di servizio». «Esposito – dice – partecipa all’arresto ma non sa dell’illegittimità dell’operazione perché non è presente ai briefing preparatori. Non c’è una telefonata in cui Montella gli spiega qualcosa, non viene mai intercettato. Gli operanti lo individuano ma non sanno mai dove sia esattamente, peraltro all’epoca abitava in caserma con la famiglia, quindi ovviamente il suo telefono viene per forza sempre captato. Gli viene detto: prendi l’auto civetta che c’è un servizio in borghese da fare». Circa la perquisizione in casa di Israel: «Per Esposito è un senza fissa dimora, quando lo arrestano con i due grammi lo spediscono a farla analizzare. Sintomatico è che Anianku non lo riconosce nemmeno durante l’incidente probatorio)».

Sulle mancate segnalazioni alla Prefettura: «Queste erano esclusivamente fatte da Orlando e Montella, lui non ne ha mai fatta una. Peraltro non necessariamente veniva effettuata nell’immediato ma entro i dieci giorni successivi all’arresto. Non vi è alcuna captazione o intercettazione che provi che Esposito sapesse o fosse messo a conoscenza della volontà di non fare la segnalazione. Inoltre emerge che il controllo sull’esecuzione della segnalazione era compito di Orlando. Il fatto che non ci fosse la segnalazione all’atto dell’arresto è quindi circostanza che non poteva neppure suscitare in Esposito il sospetto che non venisse fatta».

Sul caso El Sayed e l’accusa di tortura: «Esposito qui risponde dei reati di falso, tortura e sequestro di persona in concorso. Innanzitutto Elsayed in sede di incidente probatorio ha espressamente indicato i militari presenti e quello che hanno fatto. Indica in Cappellano e Montella quali militari che lo avrebbero picchiato. Esposito lo colloca solo in caserma e lo indica come colui che gli ha dato l’acqua. La bottiglietta però gli è stata data al Provinciale non in via Caccialupo: lì non ci sono distributori automatici. Erano in viale Beverora per il fotosegnalamento e ci sembra strano che nessuno lì si sia accorto di eventuali segni di tortura su El Sayed». «Non si comprende perché un carabiniere e Orlando siano stati ritenuti conniventi ed Esposito concorrente nonostante fossero tutti presenti ai fatti e, al pari di loro due Esposito non ha partecipato alla asserite violenze su stessa dichiarazione della persona offesa».

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