rotate-mobile
Caso Levante

«Non sono un traditore dell’Arma. Sono stato sfruttato, Montella faceva tutto alle mie spalle»

Prosegue il processo che vede imputato Angelo Esposito. Durante il suo esame ripercorre gli episodi per cui è accusato di svariati reati: «Quando ho letto l’ordinanza in carcere mi sono reso conto che ero stato sfruttato. Era tutto organizzato da Montella per i suoi comodi e fini. Ho la vita rovinata»

«Non sono un traditore dell’Arma. Non sono venuto meno al giuramento che ho fatto». Lo ha detto Angelo Esposito durante un’udienza del processo che lo vede imputato nell’ambito della maxi inchiesta sulla Caserma Levante. Un’affermazione che ha fatto in lacrime ad esame concluso quando il presidente del collegio giudicante Stefano Brusati (a latere Sonia Caravelli e Aldo Tiberti) gli ha chiesto se avesse altro da aggiungere. A quella frase ha fatto seguito un pugno dato sul tavolo per - presumibilmente - un crollo emotivo, un gesto che ha però fatto indisporre parecchio il pm Antonio Colonna («E’ inaccettabile! E' un insulto!») il quale gli ha fatto immediatamente notare che si trovava sul banco degli imputati «per reati per i quali i colleghi erano stati condannati, reati compiuti nell’esercizio delle loro funzioni di carabinieri e che c’è una misura cautelare e che quindi sì aveva tradito l’Arma». Gli avvocati della difesa, Maria Paola Marro e Pier Paolo Rivello del foro di Milano, hanno subito chiesto conferma delle parole del pm e che fossero messe a verbale. Nel frattempo il presidente ha invitato alla calma. Esposito si è subito scusato chiarendo che il suo gesto non era contro i pm e che non voleva offendere nessuno, ma che era solo uno sfogo per quello che gli è accaduto dal 2020 in poi. La difesa ha poi specificato: «L'aver subìto una custodia cautelare non fa di lui un uomo che ha disonorato l'Arma. In ogni caso nessuno merita si essere ingiuriato per il solo fatto di essere imputato in un processo, anche se poi ci fosse una condanna».

E’ durato quasi cinque ore l’esame al quale è stato sottoposto l’ex appuntato scelto dell’Arma in forza alla caserma di via Caccialupo e arrestato insieme ad altri militari il 22 luglio 2020. Cinque colleghi scelsero il rito abbreviato (riduzione di un terzo della pena) e la sentenza per loro è arrivata il 1 luglio 2021. Altri coinvolti nella maxi indagine delle Fiamme Gialle e Polizia Locale (tutti civili, accusati di spaccio) coordinati dai magistrati Antonio Colonna e Matteo Centini, scelsero il patteggiamento con pene che vanno dai 4 mesi ai 4 anni per alcune migliaia di euro di multa. Esposito fu l’unico a scegliere il rito ordinario che non prevede sconti di pena e che statutariamente è molto più lungo. Svariate le parti civili costituite.

IL PROCESSO- Terminati tutti i testi, con l’esame di Esposito, che ha risposto alle domande dei propri legali e dell’accusa, si avvia alle fasi finali il processo che lo vede coinvolto. La sentenza è prevista per dicembre 2022, prima sarà la volta di requisitoria e arringa ad ottobre. Cinque ore, dicevamo, passate a ripercorrere i cinque episodi (cinque arresti finiti nel mirino della procura per svariati reati) per cui è sul banco degli imputati ma anche parti di vita privata anche molto dolorosi che lo hanno visto commuoversi più volte (non li riportiamo per la tutela delle figlie minori). Ricordiamo che al momento Esposito è ancora nell’Arma e sospeso. Dopo aver fatto appello all'ordinanza del Tar di Parma che respingeva il ricorso presentato da Esposito contro il provvedimento di perdita del grado di carabiniere, il consiglio di Stato dopo aver accolto il motivo in ordine alla necessità di sospendere l'esame disciplinare sino al giudicato penale sollevato dall'avvocato Maria Paola Marro ha rimesso al Tar il fascicolo per la decisione.

ESAME E CONTRO ESAME - «Venivo a conoscenza dell’attività che dovevamo fare solo quando prendevo servizio, mai prima. Mi veniva detto per esempio sappiamo che quel tizio ha droga in casa, oggi andiamo. Non ho mai redatto nessun verbale, quelli erano appannaggio esclusivo di Giuseppe Montella. Faceva quelli d’arresto e anche quelli per la segnalazione degli assuntori. Io, – spiega – perlopiù facevo fotosegnalamenti e portavo al laboratorio la droga da pesare e analizzare, non so e non posso sapere cosa facessero i colleghi che rimanevano alla Levante durante la mia assenza». «Sapevo che aveva qualche informatore ma non ci ho mai parlato né lui ne parlava con me. Se uno  - ha detto - arrivava tardi in caserma e magari faceva solo una parte, anche per dare una mano, comunque veniva messo nel verbale che poi firmava. Non ho contato i soldi che venivano trovati né pesavo la droga, firmavo i verbali senza leggerli e anche se li avessi letti non mi sarei accorto di anomalie o dati falsi, non conoscendo il vero». Ed è proprio su una serie di anomalie e storture invece e che riguardano il modo di lavorare quotidiano di Levante che si sono concentrate le domande dell'accusa.

Circa l’arresto di Israel Anianku spiega: «Quella mattina ho visto Ghormy El Mehdi (informatore finito nell’ordinanza) passare in caserma, poi l’ho visto comprare dall’uomo che abbiamo arrestato». «E non le è sembrato strano?» ha chiesto l’accusa. «Sì, ma poi – ha risposto – ho pensato che Ghormy si stesse sdebitando con Montella che gli aveva trovato un lavoro». «Israel era un senza fissa dimora, solo mesi dopo, dagli atti della procura dopo il mio arresto, ho saputo che invece Montella ed altri sono andati a fargli una perquisizione domiciliare. Atto di cui non ero a conoscenza, compiuto quando ero a pesare la droga e una volta tornato nessuno me l’ha riferito. Se l’avessi saputo sarei andato con loro e nel caso fosse stata trovata altro stupefacente sarei andato una volta sola al laboratorio».

«Montella – ha proseguito - era una prima donna. Voleva spiccare, voleva avere tutti i contatti. Predisponeva i turni come gli aveva detto il comandante e aveva un rapporto diretto con il comandante di compagnia. Alla fine eravamo un gruppo di pari grado, anche se io ero superiore. Ma non l’ho fatto mai valere né per contro ho mai preso ordini da lui ma ho solo ricevuto richieste di disponibilità». E ancora: «Solo quando ho letto l’ordinanza in carcere mi sono reso conto che ero stato sfruttato. Era tutto organizzato da Montella per i suoi comodi e fini. Io lavoravo e lui faceva nel frattempo altro alle mie spalle. Ho la vita rovinata».  

«Ho sentito urlare sia El Sayed (parte civile con l'avvocato Mauro Pontini, QUI TUTTA LA VICENDA) sia Salvatore Cappellano (un altro collega arrestato e condannato in abbreviato). Quest’ultimo gli chiedeva dove abitasse, se aveva droga e se si stava divertendo, per contro El Sayed era molto reticente e lo prendeva in giro ma non ho udito lamenti. Dopo circa 15 minuti sono usciti dalla sala tenuta con la porta chiusa, ma nel frattempo io ero andato in bagno. Quando sono usciti era tenuto sottobraccio, poi siamo andati in auto per tornare nella via indicata dallo straniero. Solo a quel punto l’ho visto ammanettato, ma non era in stato di arresto. Non mi sono chiesto perché lo fosse, forse poteva scappare». Secondo l'accusa invece, lo straniero è stato percosso più volte, torturato e privato della libertà personale senza motivo. A catturare quanto accaduto quel giorno il trojan che Montella aveva nel suo cellulare. 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

«Non sono un traditore dell’Arma. Sono stato sfruttato, Montella faceva tutto alle mie spalle»

IlPiacenza è in caricamento