Processo Levante: chiesti più di 16 anni per Montella. Pradella: «Traditori dello Stato»
Davanti al Gup la conclusione delle requisitorie dei pm Centini e Colonna. Per Spagnolo chiesti 7 anni di reclusione, 13 anni per Falanga, per Cappellano sono stati chiesti 14 anni e cinque mesi, cinque anni chiesti per Orlando e sette e 8 mesi per Spagnolo
E' più di sedici anni di carcere (16 anni, un mese e 10 giorni, più 6mila euro di multa) la pena più alta che la mattina di lunedì 26 aprile è stata chiesta per l'appuntato dei carabinieri Giuseppe Montella, arrestato nel luglio dell'anno scorso insieme ad altri cinque colleghi della caserma Levante, e che il capo della Procura Grazia Pradella, nella sua requisitoria conclusiva, non ha esitato a definire come «traditori dello Stato».
Per l'appuntato Salvatore Cappellano sono stati chiesti 14 anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione; per l'appuntato Giacomo Falanga 13 anni; per il carabiniere Daniele Spagnolo 7 anni e 8 mesi; per il maresciallo Marco Orlando 5 anni. Queste le richieste di pena davanti al giudice per i cinque militari che hanno scelto il rito abbreviato. «Traditori di tutti i principi in cui magistrati, carabinieri e cittadini credono, sono traditori dello Stato» li ha definiti il procuratore Grazia Pradella al termine della requisitoria dei pm Antonio Colonna e Matteo Centini che hanno condotto le indagini.
A Montella, difeso dagli avvocati Giuseppe Dametti ed Emanuele Solari sono state riconosciute le attenuanti prevalenti: perché ha collaborato e ammesso le proprie responsabilità, a Cappellano (difeso dall'avvocato Paolo Fiori) quelle equivalenti così come a Spagnolo che è stato assolto peraltro per il capo 42 (difeso dagli avvocati Francesca Beoni e Aldo Truncè). Le parziali ammissioni di Spagnolo e Cappellano hanno permesso di ritenere le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alle contestate aggravanti. Nessuna attenuante invece per Falanga (difeso da Daniele Mancini e Paolo Molaschi) e Marco Orlando (difeso da Antonio Nicoli).
I cinque carabinieri erano stati arrestati il 22 luglio 2020 nella maxi indagine di Fiamme Gialle e Polizia Locale e che portò anche per la prima volta al sequestro di una caserma dell’Arma e sono imputati a vario titolo di parecchi reati tra i quali spaccio, arresto illegale, falso, lesioni, truffa, abuso d'ufficio. Presenti in aula tutti gli imputati con i loro avvocati e le svariate parti civili, tra le quali i sindacati Silca, Nsc e Pdm e l'avvocatura dello Stato. Nelle prossime udienze la parola sarà deglle difese, poi la sentenza. «C'è gente che indossa la divisa con onore e per questo leggere questi fatti è motivo di umiliazione e vergogna. Dedico il mio intervento a queste donne e a questi uomini valorosi» ha sottolineato il sostituto procuratore Matteo Centini nella sua requisitoria. Centini ha citato la sua esperienza nella Dda di Reggio Calabria e ha ricordato con emozione i «carabinieri che rischiano la vita e non si risparmiano lavorando oltre l'orario, feste comprese».
«Tutti sapevano, è inutile scaricare la responsabilità su Giuseppe Montella». Il pm Antonio Colonna ha ricostruito in aula "il sistema Levante" che ha portato al sequestro della caserma di Piacenza e senza tacere sulla responsabilità di tutti i cinque carabinieri, a processo con rito abbreviato, per i presunti illeciti commessi indossando la divisa. «Servitori dello Stato accecati dall'arroganza di chi si crede al di sopra delle regole» li aveva definiti Colonna nella scorsa udienza, «capaci di tenere in piedi - almeno dall'ottobre 2018 e fino a poco prima degli arresti nel luglio scorso - un sistema parallelo fatto di menzogne, di sequestri di droga rivenduta attraverso pusher di fiducia a cui offrivano protezione, di pestaggi tali da configurare i reati di lesioni e tortura».