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Cronaca

Dimesso dal ps morì per un'infezione: «Non c’erano elementi per poter sospettare una sepsi in corso»

Imputati tre medici del pronto soccorso di Piacenza per omicidio colposo. I fatti risalgono al 2017 quando il 42enne di Castellarquato, Cristian Benedetti, morì in terapia subintensiva a poche ore dal ricovero. In aula sfilano i testi della difesa

Prosegue il processo davanti al giudice Gianandrea Bussi che vede imputati tre medici del Pronto Soccorso di Piacenza per omicidio colposo. I fatti risalgono al 2017 quando il 42enne di Castellarquato, Cristian Benedetti morì in terapia subintensiva a poche ore dal ricovero. La famiglia fece denuncia e intervenne la procura. Il sostituto procuratore Antonio Colonna coordinò le indagini della polizia, dispose l’autopsia e il sequestro delle cartelle cliniche.  L’autopsia stabilì nell’arresto cardiaco da infezione da streptococco di ordine muscolare la causa della morte.   Successivamente vennero indagati i medici per i quali però il pm Colonna chiese per due volte l’archiviazione del procedimento a loro carico per mancanza del nesso causale tra il loro comportamento e la morte dell'uomo. Il gip Stefania Di Rienzo le rigettò e ordinò l’imputazione coatta. Di lì quindi l’apertura del processo per Enzo Gregoriano difeso da Cosimo Pricolo, M’Puto Bulabula difeso da Giovanni Capelli e  Annunciata Tenchini difesa da Paolo Fiori. La famiglia di Benedetti fu risarcita dall’Asl, la compagna Silvia Canavelli, dapprima si era costituita parte civile con l’avvocato Carolina Arata, poi ha revocato la costituzione per un risarcimento stragiudiziale. Benedetti andò in pronto soccorso a Fiorenzuola per un dolore al braccio e fu dimesso con una fasciatura con diagnosi di artrosinovite, lo stesso giorno si recò in pronto soccorso a Piacenza dove fu dimesso in serata con la stessa diagnosi. La mattina seguente la situazione era peggiorata (febbre e dolori acuti oltre che al braccio anche ad una gamba, come emerso la scorsa udienza) e con la fidanzata andò dal medico di base di Castellarquato Sofia Casali la quale chiese l’intervento immediato del 118 con il medico, infine la corsa in ospedale dove Benedetti morì nella notte.  Nell’udienza del 24 novembre hanno sfilato i testi della difesa e nello specifico quelli dell’avvocato Pricolo che difende Gregoriano e due dell’avvocato Capelli. Dedicate alla difesa ci saranno altre udienze. Le testimonianze rese finora sono unite dallo stesso fil rouge: Benedetti al momento dell’accesso non presentava alcuna criticità, camminava autonomamente, era lucido e fu dimesso dall’Area 1 (bassa intensità) in serata senza fasciatura ed entrò come un “codice verde”.

Dapprima ha parlato primario del Pronto Soccorso, Andrea Magnacavallo il quale ha spiegato come funziona il ps e le varie “aree” che lo compongono: «Il medico di giorno fa un turno di sei ore e buona parte dei pazienti che prende in carico poi passano ai colleghi montanti ai quali vengono lasciate le consegne. Quando Benedetti uscì dal triage fu mandato in Area 1 (pazienti a bassa intensità) da Gregoriano per una visita, prima all’infermiera il paziente racconta quanto accaduto o gli sta accadendo, gli vengono provati i parametri vitali e viene stabilito un codice da verde a rosso, nel caso di specie fu dato un “verde”, ossia nessuna criticità. Aveva 37.4 di febbre che di per sé non sta ad indicare una sepsi per la quale ci vogliono segni e sintomi che possono far pensare poi al medico che si tratti di febbre da infezione e questi poi devono provocare sospetti che nascono a loro volta da accertamenti obiettivi o strumentali, anche se fosse stata più alta vale lo stesso discorso, anche se è chiaro che un conto è 37.4 e un conto è 39, ma non presentava nessun sintomo prodromico a far pensare che vi fosse altro in corso. Secondo la mia esperienza non era necessario fare altri esami: il medico agisce non con il senno di poi, ma sulla base di una serie di valutazioni che gli vengono fornite anche da analisi di laboratorio e su quello che vede in quel preciso momento. La dimissione, per esempio, non è una responsabilità ovviamente di sistema ma personale, ma ognuno risponde del “pezzo” di azioni e decisioni che prende. Non c’erano elementi per poter sospettare che le cose potessero andare come poi, purtroppo, sono andate». Il medico Gabriele Vercelli, responsabile Unità Operativa semplice di Pronto Soccorso ha spiegato il funzionamento delle Aree: «Area 1 è quella di bassa intensità diurna, l’Area 2 di notte diventa come la 1, e poi c’è l’Area 3 dove vengono trattati i casi critici».

Ha parlato poi l’infermiera in turno in triage e che accolse Benedetti, e quella che ha assistito Gregoriano durante la visita: «E’ arrivato a metà pomeriggio con una donna. Camminava senza ausili. Disse di essere venuto a Piacenza e di essere stato prima al ps di Fiorenzuola dove gli avevano messo una fasciatura al gomito che però gli faceva molto male. A quel punto gli fu tolta e mostrò subito un immediato sollievo, successivamente gli fu fatta una flebo di antidolorifici e il medico gli chiese se prendeva un antibiotico, la compagna disse che stava assumendo un farmaco che però era un antinfiammatorio. Il gomito era poco edematoso, né caldo né dolente al tatto. Gregoriano a quel punto chiese una consulenza ortopedica e lo inviò  a fare una lastra in radiologia». Ed è a quel punto che poi sarebbe stato preso in carico da M’Puto Bulabula, medico montante. «Gregoriano – ha concluso l’infermiera – non ha mai mostrato insofferenza, anzi ha sempre avuto molta accortezza e scrupolosità con i pazienti: ci ho lavorato tante volte».  Un altro infermiere ha spiegato che gli fu lasciato in consegna il Benedetti come un paziente «con un problema al gomito che stava facendo una lastra». Infine altre due colleghe hanno raccontato di essere in ambulatorio con M’Puto Bulabula il quale ha prescritto un’ecografia: «Il paziente ha manifestato di avere molto dolore al gomito gonfio ma l’ho trovata una persona in buona salute».

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