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Cronaca

Processo polizia: «Non sapevo dei rapporti tra Bozzini e Cavaciuti»

Nel dibattimento del processo all'ispettore Claudio Anastasio anche le testimonianze degli ex dirigenti della Squadra mobile di Piacenza Girolamo Lacquaniti e Stefano Vernelli

«Non ero a conoscenza dei rapporti tra Paolo Bozzini e Giorgio Cavaciuti». Lo ha confermato Stefano Vernelli, ex dirigente della squadra mobile di Piacenza, sentito come testimone nel processo che vede sul banco degli imputati l’ispettore Claudio Anastasio, indagato insieme ad altri cinque colleghi della questura piacentina nell’ambito del procedimento antidroga che nell’aprile del 2013 portò all’esecuzione di sei ordinanze di custodia cautelare da parte dei carabinieri del Nucleo investigativo di Piacenza. 
Sul banco dei testimoni, la mattina dell’11 marzo, si sono presentati Girolamo Lacquaniti, dirigente della Mobile fino al 2006, Aida Galluccio, ex capo di gabinetto ed ex dirigente delle Volanti, Michele Rana, dirigente dell’ufficio immigrazione della questura. Tra i testimoni citati anche uno degli indagati,  Paolo Cattivelli, che però si è avvalso della facoltà di non rispondere.

La testimonianza più serrata è stata però quella di Vernelli, che ha diretto la Squadra mobile fino al marzo del 2013. Il funzionario, rispondendo all’avvocato Porciani - difensore di Anastasio - ha parlato della gestione delle fonti confidenziali: «Il rapporto con gli informatori in ambito soprattutto di stupefacenti - ha spiegato Vernelli - veniva gestito esclusivamente dal personale che aveva questi contatti. Poi mi riferivano per iscritto solo nel caso che si trattasse di qualcosa di particolare, anche se devo ammettere che, per quanto ne sappia, dai confidenti non sono mai giunte notizie di particolare spessore».
Relazionare dei contatti ai superiori - hanno confermato sia Lacquaniti che Vernelli - è una procedura importante sotto diversi punti di vista: «Permette infatti di evitare di incrociarsi con l’attività di indagine di altre forze di polizia, e fornisce una traccia scritta nel caso successivamente una conversazione tra un agente e un confidente venga intercettata casualmente da altri investigatori».

Anche il presidente del collegio Italo Ghitti è più volte intervenuto in udienza per alcune precisazioni. Come sulla gestione delle auto di servizio («Chi prendeva un’auto della questura non mi doveva chiedere alcun permesso, bastava compilare un rapporto, come previsto dal regolamento, indicando gli orari e il tragitto percorso con la vettura» ha risposto Vernelli).
Il giudice Ghitti si è mostrato particolarmente attento a capire come venisse di norma gestito il sequestro di sostanze stupefacenti. Sia Lacquaniti che Vernelli hanno confermato che la droga sequestrata veniva inviata alla polizia scientifica per le analisi con il narcotest, e successivamente repertata e tenuta in questura fino al momento della distruzione che avveniva saltuariamente nel caso di piccole quantità, mentre era più serrata nel caso si fosse trattato di sequestri ingenti. Inizialmente la droga sequestrata dalla polizia è sempre stata custodita al sicuro negli uffici della divisione anticrimine, «mentre da un certo periodo in poi  - ha spiegato Vernelli - veniva conservata in una cassaforte della quale io solo avevo disponibilità della chiave». Questo fino al momento in cui avrebbe dovuto essere portata via per la distruzione della quale si occupavano - ha detto Vernelli - le solite tre o quattro persone presenti della sezione.
 

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