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Cronaca

«Pensavo fosse amore, invece mi sfruttava», protettore condannato

Condannato a 2 anni e 4 mesi un albanese accusato di aver sfruttato la propria compagna che si prostituiva sulla Caorsana: «Ero innamorata e pensavo di essere ricambiata, ma lui aveva altri fini»

«Pensavo fosse amore, invece mi sfruttava», è una testimonianza amara quella della 33enne albanese che ha parlato in aula nel processo che vede coinvolto come imputato il suo ex compagno, un connazionale finito nel 2017 in una maxi inchiesta della Squadra Mobile di Milano e che aveva sgominato un vasto giro di persone dedite allo sfruttamento e al favoreggiamento della prostituzione. La sua posizione per competenza territoriale fu stralciata e gli atti mandati alla procura piacentina. Difeso dall’avvocato Francesco Paolicelli, è irreperibile da anni e di fatto si trova in Albania. Al termine di requisitoria e arringa è stato condannato a 2 anni e 4 mesi, il pm Antonio Colonna ne aveva chiesti 4 e sei mesi. Giulia (nome di fantasia) ora ha cambiato vita e lavora come donna delle pulizie e si è buttata il passato alle spalle, un passato nel quale di fatto veniva sfruttata da un uomo che si fingeva innamorato ma che la costringeva alla strada facendosi mandare soldi.

«Sapeva  - racconta al collegio di giudici presieduto da Gianandrea Bussi - che lavoro facessi ma non ha mai tentato di dissuadermi, anzi. Lo aiutavo economicamente trasferendo denaro in Albania, ma mai cifre troppo alte tutte in una volta per evitare controlli.  Ho fatto tutto per amore. Ero innamorata e pensavo di essere ricambiata, ho detto più volte che volevo smettere ma lui non voleva e mi diceva se smetti ci lasciamo. Si approfittava dei miei soldi, mi faceva fare la vita da compagna (ci eravamo fidanzati in Albania e conoscevo la sua famiglia) ma quando avanzavo la richiesta di smettere e di fare le cose normalmente tra noi allora diceva che la storia sarebbe finita. Ha minacciato la mia famiglia ma fortunatamente non è mai passato dalle parole ai fatti». Dal 2011 al 2018 Giulia ha fatto la prostituta sulla Caorsana, nel 2014 ha conosciuto l’uomo e si è innamorata, lui invece, secondo l’accusa, aveva ben altri fini che poi son emersi da lì in poi.

«Nelle intercettazioni – spiega il pm Colonna – l’uomo prima risponde in maniera affermativa ad un altro che gli chiedeva se avesse sotto mano qualcosa, ossia qualche ragazza da far prostituire e poi nelle successive lui stesso che si informa con Giulia di quanti clienti avesse e quanto fosse il suo guadagno, nel mezzo la storia d’amore nella quale lei credeva fortemente: «L’amavo. Nella vita si fanno molti sbagli». «Nelle telefonate – ha proseguito Colonna - le minacce sono funzionali al rapporto di meretricio. L’imputato ha sfruttato per anni il legame affettivo che aveva costruito e contestualmente usava anche la minaccia. Pensava fosse amore e invece oltre a non essere nemmeno un calesse, era un “pappone”». Secondo la difesa invece i due avevano una relazione in piena regola (fidanzati in casa): «Le minacce e le liti erano nell’alveo della loro relazione amorosa, come ogni coppia che litiga. E Giulia non è stata costretta in nessun modo al marciapiede, professione che già svolgeva prima di conoscerlo».

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