Processo Rocchelli: assolto Vitaly Markiv in appello dopo la condanna a 24 anni in primo grado
L'assoluzione per non avere commesso il fatto, dopo la condanna in primo grado
E' stato assolto in appello per non avere commesso il fatto Vitaly Markiv, soldato italo-ucraino arrestato nel 2017 a Bologna e accusato di avere contribuito a causare la morte del fotoreporter pavese Andrea Rocchelli (che si stabilì a lavorare a Pianello in Valtidone con alcuni colleghi del "Cesura Lab") e del suo interprete (e attivista per i diritti umani) Andrei Mironov, cittadino russo, avvenute in Ucraina a Sloviansk il 24 maggio 2014. Lo ha stabilito martedì 3 novembre la corte d'assise d'appello di Milano presieduta da Giovanna Ichino. Markiv era stato condannato nel 2019, a Pavia, in primo grado a 24 anni di reclusione.
I genitori di Markiv, dopo la lettura della sentenza, hanno dichiarato di avere sempre sperato nella giustizia e hanno dedicato la vittoria a Rocchelli e Mironov «perché loro sono stati purtroppo in prima linea». I genitori di Rocchelli hanno ringraziato la procura di Pavia, la procura generale di Milano e gli avvocati e hanno confermato di ritenere corretta la ricostruzione dei fatti emersa dall'istruttoria. Raffaele Della Valle, difensore di Markiv, ha dichiarato che la sentenza «è giusta e parte dalla presunzione di non colpevolezza, contrariamente a quanto ha fatto la corte di Pavia».
L'ultima udienza
Durante l'ultima udienza del processo d'appello a Milano, il 3 novembre, si sono svolte le ultime "arringhe" delle parti, a cominciare dalla procuratrice generale Nunzia Ciaravolo, che ha chiesto la conferma della condanna in primo grado. «Non si fa politica, non si prende posizione per lo stato ucraino o per i separatisti ma si esamina soltanto un reato e la sua responsabilità», ha detto chiedendo che non vengano presi in considerazione i riferimenti della difesa sull'indipendenza della magistratura e i giudizi sulla sentenza di primo grado, «perché vogliono gettare discredito su tutta la magistratura italiana».
La Ciaravolo ha aggiunto che non ha importanza se gli ucraini avessero riconosciuto i cinque passanti (tra cui Rocchelli e Mironov) come giornalisti o no, in ogni caso erano civili, provocando la risposta di Donatella Rapetti, difensore (con Raffaele Della Valle) di Markiv, secondo cui è «la prima volta che viene ammesso che si potevano non riconoscere come operatori dell'informazione».
Un altro passaggio della Ciaravolo, cioè che non conti più di tanto stabilire se c'è stato «fuoco incrociato» (come emerge dall'audio di Mironov), è stato duramente contestato dalla Rapetti: «Cambia completamente la dinamica dei fatti! Andiamo a verificare sul posto, perché non volete farlo? Ci sono di mezzo 24 anni di prigione e vogliamo un esperimento scientifico, non "qualcosa del genere"», ha commentato la legale.
VIDEO: Le prime parole di Markiv dopo la scarcerazione
Markiv: «Sono detenuto modello e servitore dello Stato»
Markiv, oggi trentenne, ha respinto l'accusa di avere organizzato una fuga quando, nel 2017, era recluso a Pavia. «Hanno cercato di sfregiarmi sul piano personale: durante la mia permanenza a Pavia, per venti giorni non ho mai incontrato nessun educatore o psicologo, ma il tempo è bastato per descrivermi come un mostro. Vi invito invece a leggere il rapporto del direttore del carcere di Opera», rapporto che lo descrive come un detenuto modello: «Non ho mai avuto un rapporto disciplinare, non ho mai avuto un richiamo e ho sempre avuto rispetto per il personale penitenziario», ha detto: «Sono un servitore dello Stato, ho un profondo rispetto per le istituzioni e per la legge, per lo Stato di diritto e per la giustizia, tanto che mi sono arruolato nella guardia nazionale e ho dedicato la mia vita alle istituzioni».
Markiv: «Facciamo i test, dimostreranno la mia innocenza»
Prima che la corte, presieduta da Giovanna Ichino, si ritirasse in camera di consiglio, Markiv, durante le ultime dichiarazioni spontanee, ha chiesto di concedere un sopralluogo sulla collina di Karachun, per capire che cosa si poteva vedere dalle varie postazioni dell'esercito e della guardia nazionale ucraini, e di una prova al poligono di tiro, per verificare che con un Kalashnikov (l'arma in dotazione a Markiv) non è possibile colpire un bersaglio (né identificarlo) da 1.600-1.800 metri di distanza. «Qualsiasi test balistico dimostrerà la mia innocenza», ha affermato Markiv durante le dichiarazioni spontanee, «così come la frase presa fuori contesto dalla mia intercettazione in carcere, che si è dimostrata diversa da come era stata interpretata». Markiv ha chiesto alla corte di «stabilire la verità con i fatti».
Boni (Radicali Italiani): «Proseguiremo azione di verità»
«Siamo alla fine del processo d'appello che, finalmente, ha portato alla luce tutte le strutture emerse in primo grado. Quando si dice che bisogna condannare qualcuno oltre ogni ragionevole dubbio, si dice qualcosa che rispetta la Costituzione e che non ha nulla a che fare con la condanna di Vitaly Markiv in primo grado», ha affermato Igor Boni, presidente di Radicali Italiani, in mattinata davanti al Tribunale di Milano, presente insieme a Silvja Manzi della direzione di Radicali Italiani. Dopo la sentenza di assoluzione, Boni ha commentato che «la condanna di un innocente non poteva essere la risposta per le uccisioni di Andrea Rocchelli e dell'amico Andrej Mironov».
Massimiliano Melley per "MilanoToday"