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Cronaca Calendasco / Via Giuseppe Mazzini

La protesta dei profughi a Calendasco: «Vogliamo rimanere e lavorare»

I 21 profughi ospitati all'ostello Tre Corone hanno reagito in malo modo dopo aver saputo che a dicembre 2012 saranno forse rimpatriati. Spunta anche una lettera minatoria nei confronti dei titolari

Sono stati attimi di tensione quelli vissuti nella mattinata del 3 ottobre dai gestori dell'Ostello Tre Corone a Calendasco. Infatti, i 21 profughi (provenienti dal Ghana e dallo Zambia) ospitati nella struttura hanno dato in escandescenza. Il motivo? L'incertezza del futuro, pare infatti che i fondi stanziati per la loro accoglienza e permanenza in Italia stiano per terminare. E' stato comunicato loro che il prossimo 31 dicembre dovrebbero infatti lasciare la struttura e per questo è scattata la protesta: urla, qualche mobile rotto, e tensione. Sul posto sono intervenuti anche i carabinieri.

Così il gestore delle Tre Corone, Sergio Zaniboni: «Si sono agitati perchè non sono contenti di come vanno le cose a livello burocratico. Noi gli abbiamo solo comunicato che le lungaggini della commissione che dovrebbe certificare la loro idoneità a essere accettati come rifugiati politici nel nostro paese si sono protratte talmente tanto che sono finiti i soldi per mantenerli. E che quindi se ne dovranno andare. In mezzo a una strada. La reazione è stata la rabbia sfogata contro alcuni mobili dell'ostello e con urla. Ma non solo, erano già arrivati i carabinieri quando i profughi ci hanno chiuso nel cortile insieme ai militari barricando il cancello con le biciclette».

E ancora: «Quest'atto è molto destabilizzante per la nostra sicurezza. Ci sentiamo abbandonati dalle autorità. Ma quello che ci preoccupa maggiormente è una lettera minatoria che hanno scritto e affisso in bacheca nella quale ci minacciano di morte. Noi qua viviamo e dormiamo e sinceramente io e la mia famiglia abbiamo un po' paura. Non vorrei che come sempre succede in Italia si aspettasse il morto prima di agire».

Davanti all'ostello vediamo i profughi. Sono giovani e tutti uomini. Ci dicono: «Non abbiamo scritto nessuna lettera minatoria. Noi vorremmo rimanere e siamo a disposti a lavorare, ma non abbiamo documenti. Non vogliamo essere rimandati a casa». Intanto dicono: «Noi non facciamo nulla adesso: mangiamo e dormiamo. Ma vorremmo tanto lavorare. Siamo solo molto preoccupati per il nostro futuro: pensare di essere buttati per strada a dicembre ci rende molto inquieti». Poi c'è tempo per fare una foto di gruppo davanti all'ostello, tutti in fila. Ci stringono la mano e ci ringraziano per averli ascoltati.

 

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