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Cronaca

Quarant’anni sulla Volante, tra sparatorie, encomi e aiuto alle donne picchiate

In pensione l’ispettore superiore Sorrentino. Arrivò a Piacenza nel 1980 e ha visto cambiare la città, la polizia e la criminalità. Pluridecorato, venne ferito dalla pistola di un folle. Dalla bimba salvata che viveva in uno sgabuzzino alla cattura di un pericoloso latitante. «La paura? Certo ne avuta, ma bisogna controllarla»

«Vidi la bambina che dormiva in quello sgabuzzino e non riuscii più a togliermela dalla testa. Decisi che dovevo fare qualcosa. Eravamo intervenuti per una lite in famiglia. Erano i primi Anni Novanta. Entrammo in quella casa di via Madoli e rimanemmo colpiti da come quella famiglia potesse vivere lì. Degrado, situazione igienica precaria, spazi ristretti. Sentii un vagito provenire da una stanza, in realtà era uno sgabuzzino: umido, buio e freddo. Vidi la bimba. Aveva 9 mesi. La toccai, aveva freddo». L’allora sovrintendente Giampiero Sorrentino, capo equipaggio della Volante, stese la relazione di servizio segnalando ciò che aveva visto. Ma fece di più. Decise di andare all’Usl. Parlò con un medico, il quale si interessò del caso. Si mossero i Servizi sociali. La famiglia venne allontanata da quel tugurio e finì in una casa popolare. La bimba venne ricoverata fino a che non si ristabilì. «Allora avevo una figlia di 4 mesi - continua Sorrentino - e non ce la facevo a pensare che ce ne fosse un’altra che viveva in uno sgabuzzino. Oggi, quella bimba è una donna, è sposata e ha tre figli».

PHOTO-2020-08-31-19-23-43-2E’ uno delle centinaia di interventi compiuti da quello che è considerato un poliziotto tutto d’un pezzo, un “duro” che ha il profilo da ultimo “sbirro”, che ha trascorso la carriera tutta sulla strada. Un poliziotto pluridecorato con 10 lodi e due encomi, un ispettore superiore, che a 60 anni va in pensione dopo averne trascorsi 40 in polizia e tutti a Piacenza. Ora, consegnati pistola e distintivo, si dedicherà alla moglie, alla figlia (che in autunno lo renderà nonno) e ai suoi tre amati cani: 2 cocker e un dobermann. Quarant’anni in cui ha visto cambiare la città e la polizia. Sorrentino, carattere burbero, era però benvoluto dai cittadini e sapeva farsi apprezzare. Quando, sempre negli Anni 90, venne spostato dalle Volanti all’ufficio ci fu una levata di scudi in suo favore. Tanto che la richiesta finì sul giornale: i commercianti e i cittadini chiesero che quel poliziotto tornasse sulla “pantera”, perché per loro era una garanzia, uno che sapeva dialogare e conosceva le loro esigenze.

Il giorno del suo arrivo a Piacenza lo ricorda bene: il primo aprile 1980. Proveniva dalla scuola di Alessandria. Era uno degli ultimi PHOTO-2020-08-31-19-23-58-2corsi, forse l’ultimo, da cui si usciva guardia di Pubblica sicurezza. Di lì a poco, la legge 121 del 1981 avrebbe fatto cadere le stellette dal bavero della divisa, rendendo la polizia a ordinamento civile. Primo incarico - e finora unico - fu la questura. Pochi mesi come piantone, poi subito sulle alla Squadra volante, dove è rimasto per 33 anni. Erano gli anni in cui il terrorismo faceva ancora scorrere il sangue di innocenti. Piacenza, però, era quella che tutti definivano “isola felice”: c’erano sì droga, rapine e furti, ma la malavita era tutta locale e “guardie e ladri” si conoscevano. La violenza era rara. Sorrentino, in città dal 1974 (aveva lavorato come cameriere alla pizzeria Bella Napoli), aveva deciso di arruolarsi un po’ per seguire il fratello, anch’egli poliziotto, un po’ per lasciare San Giovanni a Piro (Salerno) e un periodo difficile in famiglia. «E poi - ricorda - a quell’epoca, lo Stato dava un premio a chi si arruolava: 750mila lire in 9 anni. In pochi volevano indossare la divisa a quei tempi, troppo pericoloso». Dopo la scuola allievi ad Alessandria, Sorrentino approda sotto il Gotico.

E’ destinato quasi subito alle Volanti. Alla fine degli Anni 80 contribuisce alla cattura della “banda del buco”: quattro slavi che avevano sorrentino-3ripulito un bel po’ di case.  Poi arresta i rapinatori autori di un colpo da 80 milioni di lire in una gioielleria di Cremona. Nell’88 arriva il primo encomio. Sulla divisa spiccano le due onorificenze, una dorata e una argentata: due spade incrociate con foglie di alloro. Non sono in tanti ad averle. L’encomio solenne lo guadagnò in ospedale. «Era l’ottobre del 1988 - attacca Sorrentino - e ci trovavamo al posto di polizia dell’ospedale. Ci avvertono che c’era una persona armata in psichiatria». Era un maresciallo dei Vigili urbani di Barletta che aveva litigato con il pretore di Fiorenzuola per una causa. Fuori di sé era stato fermato dai carabinieri e portato in ospedale. All’improvviso aveva estratto una pistola. «Lo affrontammo cercando di calmarlo - prosegue l’ispettore - ma era molto agitato e aveva la pistola in mano. Un medico cercò di calmarlo, ma l’uomo per dimostrare che faceva sul serio girò l’arma verso me e sparò tre colpi. Il primo finì contro un muro, il secondo mi colpì di striscio a una gamba e il terzo raggiunse il collega Aldo Bisotti a una gamba. Gli saltammo addosso e lo neutralizzammo». E non è il primo conflitto a fuoco sostenuto dall’ispettore. Sempre nei primi Anni Novanta, risponde al fuoco di un albanese che aveva sparato a lui, e al maresciallo dei carabinieri Salvatore Cavallaro, nell’area ex Sift: «Lui aveva un P38. Aveva appena accoltellato un uomo. Ci riparammo, poi risposi con la mitraglietta M12 sparando vicino a lui, su un muro. Lui scappò, ma lo arrestammo in un bar di via Capra. Aveva ancora la pistola in tasca». Una vita condita da episodi di ogni tipo, mentre i tempi cambiavano e i problemi legati alla criminalità d’importazione cominciavano a farsi sentire. «Con l’arrivo dei primi albanesi - ricorda - aumentò il tasso di violenza. Faide fra di loro a colpi di pistola e coltello per il controllo dello spaccio di droga e della prostituzione».

A Pontenure, alcuni cittadini si era radunati per cercare alcuni marocchini che avevano molestato una ragazzina. «Ci inviarono sul PHOTO-2020-08-31-19-23-44_2-2posto - ricorda - e cominciammo a cercarli. Li trovammo pesti e sanguinanti e li strappammo dalle mani dei cittadini infuriati». Ma in quegli anni, Sorrentino partecipò anche alla cattura di un pericoloso latitante della camorra, vicino a Carpaneto. «Erano in un casale - riavvolge il nastro della memoria - e con i malviventi c’erano anche due sergenti dell’Aeronautica. Sapevamo che erano armati e pronti a sparare. Trovammo ogni sorta di arma, tra cui una micidiale mitraglietta Skorpion (utilizzata dai terroristi delle Brigate Rosse e dell’Ira, ndr). Per fortuna, non ci fu bisogno di sparare. Ci appostammo intorno alla cascina». Conosciuta la posizione del gruppo, grazie a una postina che consegnò la posta e diede uno sguardo in casa, i poliziotti agirono. «Il latitante - riprende Sorrentino - cercò di fuggire dalle scale, ma il collega Dario Macrì lo afferrò per uno stinco facendolo cadere». L’encomio semplice, invece, lo ha guadagnato pochi anni fa. Nel 2014, la centrale operativa segnala un accoltellamento in un bar di di via Boselli. Un serbo, per vendetta, aveva colpito un connazionale, lo aveva quasi ammazzato, con due fendenti ed era fuggito. La Volante con Sorrentino era nei pressi. Parte l’inseguimento. La sua vettura viene rintracciata poco distante. I poliziotti affrontano, ma lui non reagisce e si lascia ammanettare.

PHOTO-2020-08-31-19-23-44_1-2Ma la vita di un poliziotto è fatta anche di episodi che ti mettono a contatto con autorità o persone famose. Era il 1993 e sotto i portici c’era un venditore di biglietti della lotteria. Un immigrato africano vendeva la sua mercanzia per terra. Fra i due scoppiò un alterco, l’italiano bastonò l’immigrato, e venne chiamata la polizia. Gli agenti riportarono la calma. «Alle spalle - racconta Sorrentino - sento uno che mi dice che adesso la polizia difende gli immigrati e non gli italiani. Poi scopro che era l’avvocato Carlo Tassi. Gli chiedo i documenti, ma lui non me li dà e se ne va. Lo raggiungo e lui mi mostra il tesserino da deputato. Lo identifico e lo segnalo per la denuncia di oltraggio. Comunque, la cosa non ebbe seguito perché la Camera non diede l’autorizzazione a procedere». Sorrentino ha notato i tanti cambiamenti, sia nella vita civile sia in polizia. «Culturalmente c’è stato un grande salto - sottolinea - e questo è un bene. Quando iniziai, c’era più rispetto e una maggiore considerazione per chi portava una divisa. La città aveva una propria microcriminalità, che noi conoscevamo. Conoscevamo i ladri, i rapinatori, le prostitute tutte italiane». L’ispettore è colpito dai tanti maltrattamenti in famiglia. «Una volta arrestammo un 75enne che aveva picchiato la convivente e il bambino. Io cercavo di interessarmi a cosa ci fosse dietro e segnalavo sempre questi fatti ai servizi sociali. Purtroppo, c’era una scarsa sensibilità verso le donne maltrattate e anch’io, da alcuni colleghi, ero visto un po’ come un pesce fuor d’acqua». L’ultima considerazione è dedicata alla paura. Alla domanda se abbia mai avuto paura, Sorrentino riflette: «Sì spesso, è umano. Bisogna, però, imparare a controllarla, a gestirla. Certo, non è facile quando ti sparano addosso e ti aggrediscono».

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