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Cronaca

Ricoverato per dolore all'addome muore dopo l'operazione. Sette medici a processo

Si è aperto la mattina del 4 giugno il processo per la morte di un uomo piacentino di 55 anni, Antonino Broni, che alla fine di gennaio del 2013 morì dopo un ricovero d'urgenza all'ospedale per un forte dolore all'addome: operato in chirurgia, le sue condizioni precipitarono poche ore dopo l'intervento fino al decesso improvviso, probabilmente per un'emorragia interna

Si è aperto la mattina del 4 giugno il processo per la morte di un uomo piacentino di 55 anni, Antonino Broni, che alla fine di gennaio del 2013 morì dopo un ricovero d’urgenza all’ospedale per un forte dolore all’addome: operato in chirurgia, le sue condizioni precipitarono poche ore dopo l’intervento fino al decesso improvviso, probabilmente per un’emorragia interna, nonostante ogni tentativo di rianimarlo da parte del personale medico.

Sul banco degli imputati, con l’accusa di omicidio colposo, ci sono sette medici dell’ospedale di Piacenza. In aula il pubblico ministero Michela Versini e il collegio presieduto da Italo Ghitti (Giuseppe Tibis e Gianandrea Bussi a latere).
Nella prima udienza dibattimentale è stata subito ascoltata la moglie del 55enne che ha ripercorso la vicenda, iniziando dall’arrivo al pronto soccorso in piena notte a causa dei forti dolori alla pancia che avevano sorpreso l’uomo in casa fino a farlo svenire.
«Ci avevano assegnato un codice verde al triage. Dopo quattro ore di attesa nella sala d’aspetto del pronto soccorso, mio marito venne visitato alle 3 del mattino. Ho udito che però il medico si lamentava dicendo che il caso era stato sottovalutato». 
Ma i parametri vitali e l’esame condotto all’ingresso in Pronto soccorso pare che non fossero tali da far pensare a qualcosa di grave in quel momento: «Effettivamente una situazione iniziale non allarmante potrebbe poi aggravarsi nel corso dell’attesa» conferma un medico.
In pronto soccorso vennero effettuati tutti gli accertamenti (esami del sangue, ecografia e radiografia addominale) che convinsero subito circa la necessità di un ricovero in chirurgia.
L’uomo venne operato la sera successiva: «Uscì dalla sala operatoria ancora con forti dolori - ha ricordato la moglie - stava male, era pallido e sudava in continuazione». A questo punto, quando il paziente era di nuovo nella sua stanza, si decide di somministrare della morfina per alleviare il dolore, ma a questo punto la situazione precipita. 
«Ci hanno chiesto di uscire dalla stanza - ha confermato il cognato dell’uomo, ascoltato anche lui dai giudici - e ci siamo accorti che la situazione era molto concitata. Non riuscivano a prelevargli il sangue dalle braccia e venne disposta una trasfusione d’urgenza». 
Nel frattempo era arrivato anche un rianimatore, ma ormai il quadro chino era precipitato. «Non ha polso» ricordano di aver udito i famigliari prima che l’uomo venisse colpito da un arresto cardiaco e iniziassero i disperati tentativi di rianimazione che si sono protratti per un’ora. Ma inutilmente.
Sul banco dei testimoni passano successivamente tre infermiere, il medico del pronto soccorso e l’anesteista. Tutti rispondono alle domande del pm, dei giudici e degli avvocati. Cartella clinica alla mano si ricostruiscono gli istanti prima del decesso, e l’attenzione del collegio si focalizza anche su un drenaggio addominale nel quale sarebbe stato visto del sangue.
Dato il carattere molto tecnico della materia medica trattata, il presidente Ghitti alla fine decide di nominare tre periti per chiarire il quadro della situazione. Le loro valutazioni, alla luce anche delle consulenze prodotte dalle parti, avranno un peso di non poco conto sull’iter processuale.

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