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Cronaca Veggioletta / Via Emilia Pavese

Rifiuti alla Pertite, trasporti mai effettuati ma pagati 320mila euro

Corruzione, truffa, falso e furto: processo per 10 imputati coinvolti nelle vicende dell'ex Pertite. Giro di subappalti fra tre aziende e ogni volta l'importo cresceva. I difensori: ma i rifiuti erano stati sepolti anche prima dell'indagine e poi i subappalti erano stati autorizzati. E dalle foto aeree si scopre che nel 201 c'era un bosco e nel 2004 era sparito

Prima vera udienza del processo per il trasporto di rifiuti al Polo di mantenimento pesante. In aula sono stati ascoltati i primi testimoni, soprattutto persone che hanno svolto le indagini, e non sono mancati momenti di tensione fra accusa e difesa. Dieci gli imputati, tra cui appartenenti all’Esercito e imprenditori piacentini del settore trasporti, accusati a vario titolo di corruzione, falso, truffa ai danni dello Stato e furto aggravato. La lunga storia di questo processo ha già visto la prescrizione di tutti i reati ambientali e l’esclusione di alcune parti civili (Comune, Cgil, Legambiente). Dalla giornata sono emersi diversi aspetti di questa vicenda: il pagamento da parte dello Stato di 320mila euro per 160 trasporti di rifiuti verso le discariche, viaggi mai effettuati; lo stato dell’ex Pertite dove erano stati accatastati e sepolti rifiuti di ogni tipo da molti anni; un giro di fatture fra tre ditte di trasporto “subappaltatrici” per le quali ogni passaggio comportava un incremento dell’importo da chiedere alla fine al ministero della Difesa.

Gli avvocati degli imputati, invece, hanno cercato di far emergere le contraddizioni e i non ricordo degli investigatori oltre a cercare di dimostrare che alla ex Pertite i rifiuti erano stati interrati da ben prima del 2004. Al termine, il pubblico ministero ha chiesto la trascrizione di una decina di telefonate e il collegio, presieduto da Italo Ghitti, con i giudici Elena Stoppini e Adele Savastano, si è riservato la decisione. Alle prime domande del pubblico ministero Antonio Colonna, hanno risposto i due ufficiali dell’Arma che nel 2006 avviarono e condussero le indagini, il maggiore Andrea Zapparoli e il capitano Lanfranco Disibio. Tutto nacque da un esposto anonimo alla polizia municipale in cui si paventavano reati ambientali e la creazione di una discarica non autorizzata. Da qui, il documento finì ai carabinieri i quali avvisarono la procura militare di La Spezia che diede la delega per le indagini. Gli accertamenti comportarono diversi sopralluoghi nell’area, oltre a perquisizioni e sequestri nelle abitazioni e negli uffici di alcuni degli indagati. Appena scoppiata l’inchiesta al Polo venne istituita una commissione di inchiesta, mentre all’esterno i sindacati attaccavano la direzione del generale Giuliano Taddei, poi indagato con altre 9 persone, e un senatore di Rifondazione comunista presentava un’interrogazione parlamentare.

L’ACCUSA. Per le indagini, i carabinieri della Compagnia di Piacenza utilizzarono anche l’Arpa e il Noe (Nucleo ecologico dell’Arma) oltre a reparti specializzati dell’Esercito. Fin da subito emerse che, sotto un’area dell’ex Pertite si trovavano rifiuti di vario tipo che saranno poi catalogati come oli minerali, resti di ferraglia, carta, rifiuti sanitari provenienti dall’ex ospedale militare, parti di macchine utensili, batterie, legname e altro, tra cui materiale radioattivo (usato nei sistemi di puntamento), ma non ritenuto pericoloso. Tutti i rifiuti erano stati sepolti fra i 3,5 metri e i 5 in un’area di circa 500 metri quadrati, vicino ad alcuni capannoni. A colpire gli investigatori anche il fatto che la terra in quella zona sembrava essere stata mossa di recente. I carabinieri cominciarono a indagare sul 2004.  Nell’esposto si faceva anche riferimento a una ditta piacentina di trasporti e l’attenzione dei militari si diresse anche su di essa. L’Ispettorato logistico dell’Esercito, su richiesta degli investigatori, disse che c’era un appalto vinto da una grande ditta di trasporti a livello nazionale e che non erano previsti subappalti. Prima di incassare il denaro, però, il Polo avrebbe dovuto rilasciare una dichiarazione della corretta esecuzione dei lavori. E in questo caso, le certificazioni erano firmate da due marescialli del Polo. Dichiarazioni poi risultate non veritiere hanno affermato gli inquirenti. I carabinieri controllarono i registri di entrata e di uscita sia del Polo sia delle due discariche destinatarie dei rifiuti, ma non trovarono traccia dei passaggi. Insomma, il sospetto fu che i rifiuti fossero stati interrati. I carabinieri scoprono anche che, nell’aprile del 2004, l’azienda di trasporti aveva avuto una proroga per trasportare anche i rifiuti dell’ex ospedale militare e dell’ex Staveco (lo stabilimento annesso al Macra). Due le proroghe richieste: in aprile e in giugno, per un totale di lavori “effettuati” per un totale di 320mila euro. Il pm Colonna ha sottolineato come fossero stati 162 i viaggi segnati, e mai avvenuti. Le tre ditte presentavano ognuna una fattura. Un esempio, è stato fornito in aula dai carabinieri che hanno elencato alcuni pagamenti. Una ditta, in particolare quella di una persona ritenuta molto vicino al direttore, ha fatto avere una fattura, nel maggio del 2004, di circa 14mila euro alla seconda azienda che gli avrebbe subappaltato i lavori. Quest’ultima, a sua volta, aveva presentato una fattura di 48mila euro (cioè il 290 per cento in più) al titolare dell’appalto. E questa, la ditta principale che aveva l’appalto, infine, spediva a Roma, all’Ispettorato logistico, una fattura per 88mila euro (cioè l’80% in più). Insomma, le fatture lievitavano a ogni passaggio. Ettore Sassi, ex direttore di Arpa nel 2006, ha detto che in quell’area è stata realizzata una discarica non autorizzata con rifiuti speciali e pericolosi. Un reato, però, così come gli altri illeciti ambientali, caduto in prescrizione e “uscito” dal processo. Sassi ha detto che comparando le foto satellitari del 2001 e quelle aeree dei carabinieri del Noe (scattate da un elicottero) si nota come prima ci fosse un bosco, mentre dopo c’era una spianata. Dal materiale estratto, sono spuntati alcuni oggetti che portavano impresse delle date: bottiglie, documenti, lastre mediche. Infine, è stato sentito anche un finanziere. Alle Fiamme gialle era stato delegato il compito di acquisire le dichiarazioni dei redditi di tutti i dieci indagati. Le dichiarazioni sono state allegate agli atti del processo.

LA DIFESA E IL GENERALE. I numerosi avvocati hanno controinterrogato gli investigatori puntando sui particolari. Tanti i non ricordo e i non so a domande specifiche. In particolare, sono stati evidenziati gli aspetti legati alla conoscenza dell’area e alla sua grandezza, ma anche alla presenza di telecamere o illuminazione. Riguardo agli appalti, poi, i difensori hanno fatto emergere la presenza di una deroga al subappalto da parte dell’Ispettorato logistico, per cui i passaggi tra le varie ditte sarebbero state regolari. Inoltre, è stato sottolineato come i tanti rifiuti non sarebbero stati tutti sepolti sotto il comando di Taddei, ma anche in precedenza. E lo stesso Taddei, in una dichiarazione spontanea, ha ricordato due episodi storici per la nostra città. Le grandi esplosioni che avvennero all’arsenale, alla Pertite, nel 1928 e nel 1940. In seguito a quei fatti, vennero accantonati molti rifiuti e l’area subì modifiche con la creazione di scavi che vennero poi livellati. Inoltre, nel 1943, gli occupanti tedeschi piazzarono nella ex Pertite alcune batterie controaerei. Insomma, di roba vecchia sottoterra ce ne sarebbe da decenni.

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