Rito abbreviato, la Consulta: «La discrezionalità è del legislatore»
Le motivazioni della sentenza che ha ritenuto infondato il ricorso sulla mancata concessione del rito alternativo al marocchino che ammazzò la moglie a Borgonovo
«… il bilanciamento tra gli inconvenienti provocati dalla disciplina censurata e le finalità dalla stessa perseguite spetta, primariamente, al legislatore». La “disciplina censurata” è la legge 33 del 2019 che impedisce di accedere al rito abbreviato per chi si è macchiato di reati puliti con l’ergastolo. Per i giudici della Corte costituzionale l’ultima parola è di chi fa le leggi, cioè del Parlamento: «… occorre rammentare che il bilanciamento tra gli inconvenienti provocati dalla disciplina censurata e le finalità dalla stessa perseguite spetta, primariamente, al legislatore».
Lo scrivono i magistrati della Consulta nelle motivazioni relative alla sentenza che hanno ritenuto non fondato il ricorso presentato dall’avvocato Andrea Perini - e accolto dal giudice per l’udienza preliminare Luca Milani, che poi lo aveva inviato a Roma - difensore di Abdelkrim Foukahi, 42 anni, il marocchino accusato di aver ucciso con una coltellata alla gola la moglie Damia el Assali, l’8 maggio 2019 a Borgonovo. I giudici riprendono la questione di legittimità costituzionale del gup per gli articoli 438, comma 1-bis, codice di procedura penale e 3 della legge n. 33 del 2019 (voluta dal Governa Conte I e soprattutto dalla Lega) in riferimento al principio della ragionevole durata del processo, contenuto nell’articolo 111 della Costituzione.
Secondo il ricorso, rinviare il processo in Corte di assise (si sta attendendo solo la fissazione dell’udienza) provocherà un allungamento dei tempi. Inoltre, causerebbe danni all’imputato e alle sedi giudiziarie più piccole, che hanno carichi più gravosi rispetto a prima della riforma. Perini aveva anche sollevato il problema del principio di non colpevolezza. Secondo il gup, inoltre, la legge 33 avrebbe potuto ingenerare nei cittadini un attenuato senso di gravità di un delitto, in caso di condanna con lo sconto di pena, e dunque - scrivono i giudici - la legge sarebbe stata varata per «soddisfare le istanze punitive da una parte dell’elettorato». Infondate anche le questioni relative alla ragionevole durata del processo, perché i ritardi e i tempi lunghi non possono essere addebitati alla legge anche se la dilatazione è «pur certamente prodotta dalla disciplina censurata». La Corte costituzionale, poi, ribadendo la centralità del legislatore, afferma che le finalità della norma (la legge 33) possono essere condivisibili o meno, ma il lavoro della Consulta è quello di valutare la legittimità e non quello di entrare nel merito delle leggi.
Nella sentenza, si ricorda anche l’intervento della presidenza del Consiglio, costituitasi con l’Avvocatura dello Stato, la quale aveva chiesto di ritenere i ricorsi inammissibili o non fondati «essenzialmente in ragione della discrezionalità legislativa» nel fissare il perimetro di applicazione del rito alternativo.