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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Tentata truffa alla Fondazione, chiesta la condanna dell’ex direttore

Trasferimento di 200 milioni in una banca svizzera: la procura chiede un anno e sei mesi. Per il pm, Sbordi avrebbe cercato, senza far sapere nulla a nessuno, di tenere quei soldi millantando la proposta di una società che poi si è rivelata una pizzeria. Per la difesa, il funzionario agiva per il bene della Fondazione e i suoi poteri sono fissati nello statuto

Un anno, sei mesi di reclusione e 200 euro di multa è la pena richiesta dal pm Antonio Colonna per Massimo Sbordi, ex direttore della Fondazione di Piacenza e Vigevano, accusato di tentata truffa. L’uomo, secondo la procura avrebbe cercato di impossessarsi di 200 milioni, organizzando un raggiro ai danni della Fondazione, attraverso una società olandese che in realtà aveva la sede in una pizzeria. Nessun reato, ha detto il suo difensore, l’avvocato Corrado Prandi secondo il quale non si sarebbe verificata alcuna truffa e ha definito «una fantasia» quella che Sbordi volesse fuggire coi soldi. Sbordi va assolto con formula piena. La sua qualifica, in base ai poteri del direttore, lo autorizzava ad aprire dei conti correnti. E la stessa Fondazione, è stato scritto, non ha mai ravvisato la «volontà truffaldina». Sbordi venne poi licenziato per non aver rispettato una delibera del Consiglio di amministrazione, «non per giusta causa, ma per un giustificato motivo soggettivo» ha sottolineato Prandi. Il giudice Gianandrea Bussi ha rinviato l’udienza per le repliche la sentenza. Si è concluso oggi, 3 gennaio, con la requisitoria del pm e l’arringa della difesa, il processo all’ex direttore Sbordi. La parte civile, con l’avvocato Mattia Celva (che rappresentava il collega Paolo Veneziani) ha chiesto danni danni per 500mila euro e una provvisionale immediatamente esecutiva di 100mila. La vicenda giudiziaria prese il via nel febbraio 2013 dopo un esposto dell’ex presidente Giacomo Marazzi (lo fu dal 2005 al 2013) e dopo altri esposti anonimi. Al centro del processo, il trasferimento di 200 milioni di euro (il patrimonio all’epoca era stimato in 342 milioni) in una banca svizzera, la Julius Baer, denaro rientrato in Fondazione dopo un paio di mesi, senza alcuna giustificazione.

L’ACCUSA

Il pm Colonna, in un intervento durato cinque ore, ha ripercorso la vicenda portando alla luce il tentativo di truffa e la posizione di diverse persone che hanno operato su questo intricato scacchiere. Duro Colonna che ha più volte usato termini come «banda di truffatori … vendita di aria fritta … faciloneria». Secondo la pubblica accusa, la Fondazione voleva vendere dei titoli. Una società olandese, la Wontert, avrebbe avanzato un’offerta. Un’offerta che sarebbe stata garantita dalla potente banca svizzera Baer «ma non è vero» ha affermato il magistrato. La società, in realtà, ha spiegato il pm, era una pizzeria che aveva un fatturato di 24mila euro l’anno: «Vi pare credibile che questa società chiedesse 200 milioni di euro per poi andare dalle banche e chiedere finanziamenti. E con cosa si finanziava, con arancini e pizze?». Alla base, ci sarebbe stato un fantomatico affare in Cina per la vendita di tecnologia per lo smaltimento di rifiuti. Sbordi non ha controllato - ha detto Colonna - e di questo affare non c’è un documento. Possibile, si è chiesto il pm, che uno è pronto a finanziare con 200 milioni cash, pagamento a 30 giorni, una società e non si informa con chi stia trattando? Sbordi, inoltre, avrebbe aperto il conto alla Baer senza far sapere nulla alla Fondazione. In realtà, ha sostenuto il pm, le proposte sarebbero arrivate da due promotori finanziari, non dalla banca. Colonna ha citato anche le deposizioni dell’ex presidente Francesco Scaravaggi che tra tanti non ricordo aveva detto di non saperne niente. Per Sbordi si trattava di una normale attività di finanziamento della Fondazione «ma lui ha ingannato, ha cercato di vendere i titoli senza farlo sapere a nessuno. L’unica arma per avere le firme era Scaravaggi, tenuto però all’oscuro di tutto». E quel denaro trasferito andava contro il mandato del Consiglio della Fondazione, ha continuato. Quando poi gli viene chiesto di riportare indietro i titoli trasferiti è la Fondazione che andrà a riprenderseli. Per l’accusa, infine, non c’era alcune proposta e non si capisce la necessità di trasferire tutto quel denaro.

LA DIFESA

«Qui c’è in ballo la credibilità della carriera di un uomo che vede messo a rischio il proprio lavoro e il proprio rapporto con le banche» ha esordito Prandi. L’avvocato, dopo aver più volte ricordato come questa vicenda sia nata da tanti articoli di stampa («uscivano interviste e articoli con le decisioni del Consiglio») e da esposti anonimi, è partito dai poteri del direttore fissati nello statuto che prevedeva anche gli obiettivi. E tra le regole fissate c’era anche quella che Sbordi avrebbe potuto trasferire denaro senza il consenso del Consiglio, come già avvenuto in passato per la compravendita dei 2 milioni per la Banca Monte Parma e il dirottamento al Credito Valtellinese. E la difesa cita la perizia tecnica di Marco Mazzoli, quando il trasferimento di titoli per 92 milioni non aveva provocato né reazioni né obiezioni. Quanto poi all’apertura di conti correnti, Sbordi ha ammesso di non aver mai rendicontato al Consiglio perché appunto rientrava nei suoi poteri. Oltre che non essere mai state contestate, queste operazioni erano state fatte a costo zero. Sbordi, ha continuato Prandi, operava per fare avere crescere il patrimonio della Fondazione perché senza questo non si potevano dare garanzie alla città. Il capitale andava reinvestito, così come fa chi si occupa di finanza. E che la ricapitalizzazione fosse necessaria, sottolinea Prandi, lo afferma anche la perizia di Mazzoli. Certo, ha concordato Prandi con il pm, di fronte a certi comportamenti Sbordi si sarebbe dovuto dimettere. Dal 2005 al 2013 la Fondazione ha perso 35 milioni e Sbordi invece di andarsene ha continuato a cercare una soluzione.

Sul prezzo dei titoli non c’era una valutazione unica, non c’era un valore di mercato perché non erano quotati. Era difficile collocarli, ma Sbordi ci ha provato per sette anni fino a che non ha trovato accettabile quella proposta garantita dalla banca svizzera. Ad esempio, nel 2014-2015 vendendo titoli della Royal Bank of Scotland e del Credit Suisse si era realizzata anche una plusvalenza di 3-4 milioni. Sbordi lavorava per carpire le opportunità, ma sulla stampa usciva di tutto quando invece sarebbe stata necessaria la riservatezza. »Lavorare per fare il bene della Fondazione è un reato?» si è chiesto l’avvocato.

La banca svizzera, al contrario di quanto sostenuto dall’accusa, aveva garantito la mediazione con la società olandese - che faceva parte di un gruppo che aveva una capitalizzazione di 5 milioni, sempre pochi rispetto a ciò che si voleva fare - e aveva tenuto i titoli per un anno. La Julius Baer ascoltò due volte la Fondazione - «che era il suo interlocutore» - e quando propose il trasferimento lo fece sapere alla Fondazione: «I titoli non sono mai stati in pericolo».

Infine, quando si decise per il rientro dei titoli la Fondazione, con tanto di delibera dell’agosto 2013, inviò proprio Sbordi a fare l’operazione, segno che si fidava di lui. La Fondazione, ha terminato Prandi, come disse Scaravaggi in un’intervista non ha «mai subito danni, né perso soldi o reputazione».

LA PARTE CIVILE

Celva si è associato alla richiesta di condanna dell’accusa e ha ripetuto che le operazioni di apertura del conto erano avvenute senza avvertire nessuno per una cifra «esorbitante rispetto ai poteri del direttore». La banca, poi, non sapeva nulla dell’operazione con gli olandesi. Un trasferimento non autorizzato che ha ingannato Scaravaggi, secondo il legale, il quale non aveva le competenze tecniche. E che, nonostante tutto, si adoperò per far tornare indietro quel denaro, dopo tanti solleciti: «Sbordi ha messo in atto un piano alle spalle della Fondazione a cui ha causato un danno». Un’operazione finanziaria dubbia, ha concluso l’avvocato, con una società che non dava alcuna garanzia.

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