Guarnotta a Borognovo: «Toghe rosse? Si, per il sangue versato»
Il presidente del tribunale di Palermo invitato dal Siap e dal Rotary Club Valtidone
"Non sono a conoscenza dei fatti, non ricordo, non potevo sapere, non c'ero...". Queste le frasi più ricorrenti sentite dai giudici del pool antimafia durante i tanti interrogatori con gli indiziati per reati di mafia. A raccontarlo - e a svelare diversi retroscena su quegli anni turbolenti della Sicilia degli anni '80 - è stato il magistrato Leonardo Guarnotta, ora presidente del tribunale di Palermo, a quei tempi collega di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel pool, in una serata al ristorante La Palta a Bilegno di Borgonovo.
"E' la terza o quarta volta che vengo nel Piacentino - ha detto ai presenti il magistrato - Qui mi sento sicuramente un po' più libero di muovermi rispetto a Palermo". Guarnotta è stato invitato a una serata del Rotary Club Valtidone organizzata venerdì 11 aprile in collaborazione con il sindacato di polizia Siap di Piacenza. Nel corso della serata il giudice ha raccontato con toni appassionati la nascita del pool antimafia del maxi processo di Palermo durante gli anni '80, idea promossa da Rocco Chinnici, poi assassinato. "Prima d'allora ognuno lavorava per sé - ha spiegato - Il tuo vicino di stanza indagava su cose di cui non sapevi nulla. La ricordo come un'esperienza unica e irripetibile. Iniziammo con 460 imputati, fu la prima volta che la mafia dovette rispondere delle sue malefatte". Un lavoro estenuante quello realizzato dal pool, alle prese con un milione e quattrocentomila atti. "Lavoravo gomito a gomito nel bunker della procura con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, figure eccezionali, fino a tarda notte. Perché lo facevamo? Pensavamo soprattutto ai nostri figli, ai giovani della Sicilia. Nessuno avrebbe mai più dovuto chiedere favori al potente locale di turno, per questo ci siamo impegnati in una simile sfida".
"La mafia era uno stato nello Stato: aveva i suoi vertici, i suoi politici, le sue forze di polizia, le sue regole". Ora le cose sono un poco diverse, anche se l'80 per cento dei negozianti di Palermo paga regolarmente il pizzo. "Per la città è una tassa da pagare, un costo d'esercizio tollerato. Pagare tutti per pagare meno è il discorso che molti fanno, in alcuni casi si tratta infatti di 50-100 euro. Una volta chiesi a un uomo d'onore come mai si scomodò per il pizzo di un poveraccio che voleva aprire un piccolo esercizio: «ma che domande mi fa? Sta per aprire un negozio nel mio territorio», mi rispose sconcertato".
Sono 24 i magistrati uccisi dalla Mafia in Italia. "Eccole le toghe rosse di cui tanto si parla - ha tuonato Guarnotta - Toghe rosse si, ma rosse per il sangue versato. Non esiste una Mafia buona e una cattiva, una malavita che non compie gesti eclatanti, che non commette stragi, non è meno grave per la società. Queste organizzazioni non avrebbero comandato a lungo senza l'appoggio delle istituzioni. Non dimentichiamo che un sette volte presidente del consiglio - Giulio Andreotti - fino al 1980 è stato dichiarato «in stretti rapporti con i mafiosi». Comunque attualmente la stampa informa che a capo di Cosa Nostra vi sia Matteo Messina Denaro: secondo me invece è ancora Riina".
Durante l'incontro sono stati ricordati anche tutti gli agenti e gli uomini delle scorte, rimasti uccisi in agguati mafiosi. Sandro Chiaravalloti del Siap ha proposto di intitolare una via di Borgonovo a Emanuela Loi, unica donna vittima dell'attentato di via D'Amelio: "non dimentichiamoci i loro nomi", ha evidenziato.
"Lo ripeto spesso ai miei giovani colleghi togati - ha concluso il magistrato Guarnotta - raccogliamo il testimone di Paolo, Giovanni, Rocco Chinnici e di tutti gli altri. Il dovere è la parola più importante per questa professione e per le nostre vite, ognuno deve fare la sua parte, qua sta la dignità dell'uomo e di un magistrato. Facciamo il nostro dovere per loro, glielo dobbiamo".