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Cronaca

Una condanna e una richiesta di pena per due bancarotte

Chiesti due anni per l’amministratore della DiFrutt. Condanna a quattro anni per l’amministratore di fatto della Casana Service

Una condanna e una richiesta di condanna. Al centro due bancarotte che hanno visto protagoniste altrettante società piacentine: La Casana e la DiFrutt. Due anni di reclusione è la pena chiesta il 23 gennaio, dal pm Roberto Fontana, per Fabio Clini, amministratore della DiFrutt, accusato di bancarotta semplice per aver distratto nel 2008 - attraverso compensi definiti «sproporzionati» - 300mila euro. Inoltre, Clini avrebbe acquisito un ramo di azienda della società Coalpi senza aver presentato la relazione di congruità prevista dalla legge. Un’azione, secondo la procura, che aveva aggravato il dissesto della DiFrutt.

Per un altro capo di imputazione, invece, il pm ha chiesto l’assoluzione. L’assoluzione è stata chiesta anche dal difensore di Clini, l’avvocato Stefano Piva, secondo il quale il compenso non era sproporzionato. Il legale ha detto che in Italia, il compenso medio di un manager è di 150mila euro l’anno. Inoltre, Clini aveva pagato di tasca propria 126mila euro di fidejussioni bancarie. Per il primo capo di accusa, invece, secondo il legale la società aveva accumulato forti perdite perché non riceveva più i pagamenti dalla società Coalpi. La DiFrutt, nel luglio del 2013, era stata ammessa al concordato preventivo.

Quattro di condanna, invece, è stata la pena per Riccardo Decio amministratore di fatto della Casana Service srl - poi fallita nell’agosto del 2013 - accusato di bancarotta (la società Casana Service fallita è società distinta e diversa da CASANA SERVIZI di Barbara Vignali, "tuttora operante nel settore con serietà e professionalità”, come afferma una nota del legale dell’azienda). Decio ha chiesto il rito abbreviato - che consente uno sconto di un terzo della pena - al giudice per l’udienza preliminare  Stefania Di Rienzo. Secondo il sostituto procuratore Roberto Fontana, tra il 2002 e il 2009, la società non avrebbe eseguito una serie di versamenti: imposte, tasse, contributi previdenziali arrivando ad accumulare un debito di oltre 2 milioni con il Fisco. Una situazione che ha portato al dissesto dell’azienda. Tre i capi di accusa della procura: omessa tenuta dei libri contabili (il curatore fallimentare non era così in grado di definire il patrimonio e il giro di affari), sottrazione di due veicoli di scarso valore, e i debiti contratti con l’Erario. Ma la società ha pagato fornitori e dipendenti -  ha spiegato il difensore - tranne l’Erario perché non ci era riuscita. E il debito con il Fisco è più che raddoppiato, a causa di sanzioni e interessi. Le difesa, dopo aver letto le motivazioni, valuterà il ricorso in appello. La responsabilità sarebbe dovuta essere del legale rappresentante, Giovanni Decio (poi deceduto) ma è stato, invece, condannato l’amministratore di fatto Riccardo, che era solo un dipendente e non aveva la qualifica di amministratore legale. 

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