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Cronaca

Una valigia di speranza, un rubinetto aperto per tutti. Le scoperte di Elisa, in Senegal con Kamlalaf

Nuove tappe del viaggio in Senegal con l'associazione Diaspora Yoff, nell'ambito del progetto Kamlalaf, per Elisa Vezzulli

Nuove tappe del viaggio in Senegal con l’associazione Diaspora Yoff, nell’ambito del progetto Kamlalaf, per Elisa Vezzulli.

Mercoledì 12 agosto, ore 9, Ospedale di Dakar 

Una valigia. Questa volta di speranze. Aiuto. Solidarietà. Un gesto banale per noi. Vitale per molti. Una delle due valigie da 23 kg che ci era consentito portare sull'aereo è stata riempita di medicine, che oggi doniamo all'Ospedale di Dakar. Ci ringraziano per il gesto. Io ringrazio chi mi ha permesso di farlo. In particolare la farmacia Besurica.

Un giro veloce accompagnati da quello che per noi sarebbe il Primario. E mi stupisce come la maggior parte dei reparti siano dedicati alla Maternità e alla Pediatria. Mi stupisce vedere che lì, ammassate sotto il sole in attesa, siano soprattutto donne e bambini. Il 52% della popolazione non ha un lavoro, mi spiega Ismaila. E troppo spesso non ci si puó permettere nemmeno una scatola di banale aspirina.

Così spero che tutte quelle scatole, pesanti 23 kg, possano alleggerire il peso della malattia di qualcuno. Lasciamo l'ospedale. E come ogni viaggio che si rispetti c'è la giornata dedicata ai ricordi e ai souvenir.

Mercoledi 12 agosto, Dakar, Villaggio dell'artigianato

Non so più chi seguire, cosa guardare, in quale bottega entrare, quanti soldi dare, dove guardare. Come si suol dire, stanca di più una giornata di shopping che una maratona. Anche in Senegal. Soprattutto in Senegal. Comunque credo di aver preso tutto e di non aver dimenticato nessuno.

Mercoledi 12, ore 24, Yoff

Mi vestono di bianco e ci incamminiamo verso la spiaggia. Stanotte è una notte importante, di preghiera. Si celebra l'anniversario della morte di Seydina Issa Laye, un capo religioso che fu. Capisco solo questo.  (Dovró cercare su Google, poi, per capire bene tutta la storia, penso). A fatica e goffamente percorro le vie buie di Dakar verso il mare. Eppure le donne senegalesi questi abiti li indossano con una tale disinvoltura. Belli, colorati, sfarzosi. Mi sono sempre sembrati anche decisamente comodi. Ma devo ricredermi. Se non sei abitutata, devi fare come me, tenere la gonna alzata per riuscire a camminare senza inciampare. Poi il caldo. Avrei voluto indossare i miei shorts e la mia conottiera. Ma non sarebbe stata la stessa cosa.

Comunque, tra le risate dei bambini al mio passaggio e la meraviglia degli adulti nel vedere una "toubab" (una bianca) tra loro e come loro, arriviamo alla spiaggia della moschea. Lo spettacolo che si apre davanti a me è magnifico. Ragazze e ragazzi, bambini, donne e uomini, famiglie intere. Tutti vestiti di bianco seduti sulla spiaggia. Cantano e muovono le braccia alte verso il cielo, in onore di Seydina Issa Laye e di Allah. Non rimarró comunque fino all'alba. Domani sarà un'altra intensa giornata.

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Giovedì 13 agosto, Riserva di Bandia

Safari. Giraffe. Baobab. Zebre. Acacie. Ancora animali. Ancora verde. Ancora piante. Una giornata in mezzo alla natura. La natura. Un'elemento fondamentale e imprescindibile della mia vita. Il contatto con la terra che ricerco continuamente. E che ogni volta mi lascia con il cuore pieno e la bocca priva di parole. A fine giornata, felicemente esausta.

Sono seduta in cortile con Ismaila e suo figlio a mangiare le noci di cocco della palma del loro giardino. I bambini giocano a calcio. Vedo un via vai di donne che entrano, salutano, riempiono i loro secchi d'acqua dal rubinetto di casa e se ne vanno. Non capisco. Chiedo chi sono. Ismaila mi spiega: "Non lo so. Ma qui chiunque puó venire a rifornirsi d'acqua. È gente che non conosciamo nemmeno. Ma sono famiglie che non hanno possibilità. Così noi diamo loro l'opportunità di prendere acqua. Gratis eh!”, sottolinea. "Magari un domani potremmo avere bisogno noi. E poi non basta star bene noi se i nostri vicini non stanno bene. Dobbiamo stare bene tutti. Se il nostro vicino non sta bene nemmeno noi stiamo bene. Anche per questo facciamo il ramadam. Per comprendere l'altro. Comprendere cosa soffre certa gente ogni singolo giorno. Mica cose da poco, la fame e la sete". "Ma voi l'acqua peró la pagate?!, chiedo io. "Certo!". "Ma chiunque puó venire e prenderne gratis?", insisto."Esattamente".

Strano che la elevata cultura europea, culla del vebo latino cum-patio (lett. compatire, patire insieme, soffrire ció che l'altro soffre, per comprenderlo) non possa, tuttavia, vantare la paternità di un elevato concetto, così quotidiano, invece, qui. Pensiamo che nel cosiddetto terzo mondo abbiano di meno.Hanno tanto in più. Tanto.

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