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Giovedì, 25 Aprile 2024
Indagine nella logistica

«Lavoratori come pedine e mandati allo sbaraglio a compiere reati: tra Cobas e Usb una bieca lotta di potere»

Emergono dettagli sugli arresti dei vertici delle due sigle sindacali: nell'ordinanza si parla di «perseguimento di interessi celati da lotta sindacale, assunzioni clientelari, esasperazioni del conflitto con i datori di lavoro create ad hoc»

Dal magazzino Xpo Logistics di Pontenure, passando per le sedi di Gls, Traconf, Sda, Nippon Express fino a Leory Merlin e Amazon. Questi i teatri – secondo gli inquirenti – delle condotte illecite contestate ai leader di Usb e Si Cobas indagati e raggiunti da misure cautelari nella notte tra il 18 e 19 luglio. Gli episodi sono 150 e i reati vanno dall’associazione per delinquere, alla violenza privata, alla resistenza a pubblico ufficiale, sabotaggio etc. Si tratterebbe di due associazioni a delinquere esistenti e ben distinte: una in seno a Usb, l’altra al Si Cobas. Nelle 350 pagine dell’ordinanza vengono ripercorse tutte le vertenze dal 2015 ad oggi (alcune ancora in corso) e le indagini condotte da Digos e Squadra Mobile e coordinate dalla procura. In queste il disegno criminoso è ritenuto il medesimo.  «Per l’accusa – si legge nell’ordinanza del gip Sonia Caravelli – l’assistenza sindacale prestata in favore di centinaia di lavoratori si sarebbe mischiata con il compimento di svariate attività illecite, finalizzato al conseguimento di uno scopo di lucro per pochi e nell’esercizio di forti influenze sul piano economico». Nella carte si legge che un’azienda, ma più in generale la logistica piacentina, era definita “la gallina dalle uova d’oro”.

«Gli elementi di prova acquisiti,  - spiega il giudice - a partire dal contenuto delle sommarie informazioni raccolte, passando poi agli esiti delle intercettazioni e degli accertamenti bancari compiuti, hanno rivelato come, in effetti, gli indagati si siano serviti per anni dello schermo dell’attività sindacale dagli stessi rispettivamente svolta per commettere reati. Manifestazioni non autorizzate, violenti blocchi agli ingressi dei principali stabilimenti della logistica, presidi davanti ai palazzi sede delle più importanti istituzioni cittadine: in tutte queste occasioni, dietro alle forme di protesta e di rivendicazione astrattamente legittime - e giustificabili - si è celato il perseguimento di interessi di tutt'altra natura. E’ stato infatti accertato che in molte situazioni l’agitazione sindacale e l'esercizio del diritto di sciopero sono serviti solo in parte a difendere i diritti dei lavoratori, ma soprattutto a consolidare posizioni di forza, financo con il perseguimento di scopi di lucro». E ancora: «Ogni reato commesso, ogni blocco di persone e merci, ogni interruzione di pubblico servizio o boicottaggio, ogni conflitto fisico con le forze di polizia è stato pianificato cercato e voluto dagli indagati che hanno agito sempre nella convinzione di poter lucrare posizioni di privilegio, quasi una sorta di immunità dietro l'esercizio del diritto di sciopero».

«Nella concretizzazione di simile disegno delinquenziale – prosegue il gip -  i lavoratori sono stati un mero strumento, utilizzati come pedine da spostare da un canto all'altro per conferire maggiore enfasi a ciascuna iniziativa (dai bonifici il Si Cobas avrebbe speso più di 200mila euro in un anno per l’affitto di autobus). Per raggiungere i loro scopi gli indagati hanno costituito gruppi criminali in grado di organizzare e far convergere lavoratori, ma anche soggetti totalmente estranei al contesto lavorativo di volta in volta interessato, per commettere numerosi reati come quelli in contestazione "legittimandoli" con la lotta sindacale, ammantandoli della retorica della lotta dei più deboli contro i più forti».

pradella e questora-2LA STORIA (si riportano stralci) - «Si è visto, in particolare, che il gruppo sorto all'interno delle fila del Si Cobas e capeggiato da Aldo Milani e Mohamed Arafat, con il fondamentale ruolo di organizzatori e promotori (molto attivi nel proselitismo), dopo essersi accreditato con sigla sindacale attiva ed efficace al fianco del lavoratori del comparto negli anni dal 2010 a seguire, dal 2014 ha finito per tramutarsi in un gruppo di potere che ha agito sempre di più per perpetuare se stesso ed alimentare il proprio potere. In questa logica ha replicato il sistema di relazione industriali basato sul conflitto, spesso alimentato ed esasperato ben oltre i limiti della concreta importanza della vertenza. In questo contesto, alla fine del 2015 - inizio 2016 veniva sfidato dalla comparsa della combattiva sigla Usb anche nel comparto logistica Piacenza, che si palesava spesso rappresentata da ex esponenti del Si Cobas e che si manifestava dando luogo a duri scontri anche fisici. In questo contesto, l'Usb avviava un tentativo di sfida stabile e perenne allo strapotere del Si Cobas, cercando di fare proseliti tra i suoi iscritti brandendoli sul duplice terreno dello scontro con la parte datoriale e dell'assecondamento della tendenza a cercare di lavorare meno e di lucrare posizioni di vantaggio anche in danno degli altri lavoratori».

«A questo punto - dicono le carte - le problematiche sindacali sollevate divenivano via via marginali a fronte di quella che diveniva una contesa di potere tra le sigle, non combattuta sul terreno dell'ottenimento delle migliori condizioni per i lavoratori, ma piuttosto del consolidamento di situazioni di vantaggio solo per "i propri iscritti", nonché per lucrare gli introiti derivanti dai tesseramenti e dalle conciliazioni. Sul tappeto, per conquistare le affiliazioni dei diversi lavoratori, gli indagati si sfidavano sul terreno della sempre maggiore estremizzazione del conflitto con la parte datoriale, quando a fronte dell'apertura di una vertenza da parte di una sigla l'altra rispondeva con la, contemporanea apertura di un altro fronte di conflitto presso un'altra azienda».

«In diversi casi si è documentato come la rivendicazione sindacale costituisse un mero pretesto dietro il quale nascondere gli attacchi deliberatamente rivolti alla sigla avversa per conquistare iscritti.  In tutti i casi si è visto come nessuna delle due sigle abbia mai lottato al solo scopo di ottenere un miglioramento delle condizioni di tutti i lavoratori, ma piuttosto abbia agito come gruppo di pressione - vera e propria lobby - interessata a garantire migliori condizioni per i propri accoliti, soprattutto nella gestione dei cambi appalto». «In proposito, le risultanze delle intercettazioni, confermate dalle acquisizioni documentali, hanno posto in rilievo come le variazioni concordate con la parte datoriale nei rapporti di appalto abbiano permesso alle organizzazioni sindacali di ottenere il pagamento di somme destinate ai lavoratori, ma in parte trattenute grazie a meccanismi come quello della "cassa di resistenza" ( in una intercettazione si parla di150 euro che ogni lavoratore doveva versare per sostenere le spese circa un procedimento penale a carico di Aldo Milani), con evidenti sperequazioni tra gli stessi, come comprovato dal caso di Arafat». Secondo l’accusa «a differenza di altri lavoratori che avevano ricevuto 25mila euro, lui invece come buonuscita dalla stessa azienda aveva avuto 100mila euro: l'indagato ha fatto delle attività Illecite connesse alla propria attività sindacale una vera e propria fonte di reddito, come evidenziato dagli accertamenti patrimoniali».

Per il pubblico ministero «naturalmente tali flussi di denaro vanno ad alimentare l'organizzazione di tali sigle sindacali che vivono appunto del conflitto, che rilanciano continuamente e sistematicamente proprio perché da lì ricavano il loro sostentamento, derivante dalle nuove affiliazioni (ottenute a fronte dello strappare migliori condizioni per i propri iscritti) e soprattutto dalle conciliazioni. In un simile contesto la comparsa dell'Usb ha radicalizzato il conflitto nel settore della logistica di Piacenza proprio perché il Si Cobas, divenuto organizzazione di potere, si è visto sfidato ed ha quindi aumentato a sua volta la conflittualità per contrastare l'azione di proselitismo del gruppo opposto». «Da ultimo è emerso come gli indagati abbiano assecondato le tendenze delle maestranze a cercare posizioni di privilegio e di comodo rispetto agli altri lavoratori, ottenendo mansioni meno faticose piuttosto che vedersi tutelati a fronte di livelli di assenteismo assolutamente abnormi, anche per malattia.  A conforto si riporta il testo della seguente conversazione intrattenuta tra l'indagato Carlo Pallavicini e un lavoratore: l'uomo dice che lavora a Somaglia e che vogliono trasferirlo a Treviglio; dice che ha trovato un altro lavoro e che vuole farsi licenziare con una buonuscita. Pallavicini dice che lo aiuterà pero deve capire che loro come sindacato lottano per salvare il posto di lavoro, pertanto gli chiede massimo riserbo, di non parlarne con nessuno e gli dice che qualsiasi buonuscita otterranno dovrà dargliene una percentuale. L’operaio dice che va bene (10% o 5%, o quello che vuole Pallavicini). L’indagato dice che faranno il 10% e che siccome lavora da un anno prenderà circa mille euro di buonuscita e di questi dovrà dargli cento euro».

«Quando noi parliamo – si legge in un’intercettazione tra Montanari e Zaghdane - di banda non sbagliamo mica Riad, questi sono una banda, cioè non saranno affiliati alla alla camorra organizzata, ma questi sono la banda di Arafat, questi li prende e li sposta da una parte all'altra e fanno i caporali da una parte all'altra; la sua capacità in questi dieci anni è stata quella di crearsi una forza dentro la logistica piacentina, lui vive di ricatto così. Ti prendo ti metto li fai il capo, rompi il cazzo ti blocco il magazzino per dieci giorni e l'azienda che fa? Hai sentito quando Milani all’assemblea Tnt dice “noi nella filiera Tnt nel solo al Nord abbiamo mille e quattrocento iscritti” è quella li la pistola puntata eh. Se tu hai millequattrocento persone in tutte le filiali, cioè puoi dire il cazzo che vuoi, cioè o interviene lo Stato e li caccia in galera o tu diventi più grosso di loro almeno diventi la metà, e ne hai settecento, allora forse cominciano a prenderti in considerazione, la metà di loro ma gli fai del male, noi gli facciamo del male in una filiale, lui in tutte, questo è il problema..»

In un capitolo viene poi affrontata la «strumentalizzazione dei lavoratori mandati sul tetto della Gls (in questo caso iscritti Usb) ed invitati a resistere a non scendere - nonostante qualcuno di loro accusasse malori e volesse farlo -  mentre loro organizzavano mangiate in montagna a casa di Montanari». E’ ritenuta «emblematica della spregiudicatezza degli indagati e dell'insincerità della loro azione, avendo mandato decine di lavoratori allo sbaraglio a commettere reati nella erronea convinzione di agire per il bene degli stessi». «Dietro tutti i fatti contestati all'Usb – spiega il gip - ci sono Montanari, Zaghdane, Issa e Fisal, questi ultimi bracci operativi del gruppo, che coordinano l'azione degli affiliati ignari delle reali mire ed implicazioni del loro agire con blocchi e violenze, posti in essere nella bieca lotta di potere contro i Si Cobas».

L’accusa inoltre rileva «l'indicatore secondo il quale nel Piacentino il numero delle azioni di protesta riconducibili alle citate sigle Si Cobas ed Usb è decisamente sbilanciato rispetto a qualsiasi altro contesto lavorativo nazionale. Quindi è verosimile ipotizzare che le controversie alimentate sono servite alle sigle sindacali per raggiungere ed accrescere meri interessi "economici" che sono serviti, tra l'altro, per consentire il percorso di crescita politico-sindacale della "organizzazione sindacale stessa" e dei principali attori oggi indagati».

«Lo scopo – si legge - è quello di influire, anche attraverso la strumentalizzazione legata alla contrapposizione e la conflittualità, nell'attività d'impresa cooptando l'organizzazione del lavoro che immancabilmente produce pesanti ripercussioni economiche alle società interessate. Dietro la propaganda" sindacale della difesa dei lavoratori si "celano" vantaggi in termini di ritorno economico e l'affermazione della figura "'sindacale" dei rispettivi rappresentanti». Gli indagati «superata la prima fase di alimentazione del conflitto magistralmente guidato all'interno dei contesti lavorativi, si assicurano il confronto con la parte datoriale (che significa per l'organizzazione sindacale consenso, provento di tessere e conciliazioni, anche attraverso consolidate forme clientelari e di connivenza)». «Nella sostanza l'interlocuzione tra la sigla sindacale e la parte sociale è particolarmente condizionata dal numero di affiliazioni che la sigla stessa conta all'interno del magazzino interessato di volta in volta dalla protesta. Pertanto, la maggiore rappresentatività sindacale, a quel punto, costituisce per gli indagati l'elemento ''ricattatorio' attraverso il quale condizionare le richieste "estorsive" ricorrendo alla concreta possibilità di aggredire l'intera filiera del marchio».

«L'organizzazione - dettaglia il gip -  in cambio dell'assoluta fedeltà associativa, garantisce, ai propri rappresentanti, tra l'altro, il "distacco sindacale" grazie a consolidate dinamiche clientelari, garantendo un introito mensile da sommare "'ai rimborsi spesa"». Infine il modus rilevato dal pm è quello di «accettare mediazioni poi sfruttare illecitamente l’astensione per malattia, iscrivendosi poi con il sindacato per lucrare le conciliazioni all’uscita. Con buona pace delle condizioni di lavoro e delle prospettive occupazionali. Si alza la posta e poi si passa all’incasso cercando di lavorare il meno possibile»

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