Video porno e abusi sessuali sulla figlia 13enne della compagna: al via il processo
Sul banco degli imputati un 49enne piacentino accusato di violenza sessuale aggravata nei confronti della figlia della sua compagna, all'epoca dei fatti 13enne. In aula hanno parlato la vittima, la madre, due psicologhe e un'assistente sociale
E’ accusato di aver obbligato la figlia 13enne della compagna a girare video intimi e di averla costretta a compiere e subire atti sessuali per circa un anno. Prima udienza nella giornata del 30 settembre del processo celebrato con rito ordinario e in composizione collegiale (presidente Stefano Brusati, a latere Sonia Caravelli e Camilla Milani) che vede sul banco degli imputati un 49enne piacentino accusato di violenza sessuale aggravata. L’uomo è difeso dall’avvocato Silvia Preda, mentre la vittima (oggi 20enne) si è costituita parte civile con l’avvocato Sara Stragliati. I fatti risalgono al 2015 e le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Ornella Chicca, sono state condotte dalla polizia. In aula hanno parlato la giovane, la madre, un’assistente sociale, una psicologa dell’Ausl e una nominata dalla procura e consulente del pm e che ha assistito all’audizione protetta all’epoca. Da quel momento la minore era stata allontanata dalla casa famigliare e collocata in una struttura protetta. L’imputato ha sempre negato ogni addebito. I video non sono stati trovati.
Madre, il compagno imputato, la giovane vittima e due figli piccoli della coppia vivevano insieme. Ed è quando la mamma della vittima, che chiameremo Giulia era fuori per lavoro, l’uomo costringeva la 13enne a seguirlo al piano di sopra. Dapprima le avrebbe fatto girare tre video intimi, poi l’ha costretta – secondo l’accusa – a compiere e subire atti sessuali. Il tutto sarebbe durato circa un anno: da marzo 2015 a dicembre 2015. Se la 13enne voleva uscire o fare qualcosa avrebbe dovuto cedere all’uomo che in caso contrario l’avrebbe trattata male e umiliata. La prima volta addirittura le avrebbe detto che quel video l’avrebbe venduto per ripianare alcuni debiti. A dicembre l’uomo fu ricoverato per due volte in Diagnosi e Cura all'ospedale di Piacenza, una volta dimesso avrebbe tentato di riavvicinare la ragazzina che però era riuscita a trovare il coraggio per denunciare. Lo ha fatto confidandosi con la madre che a sua volta ha allertato i servizi sociali (che già seguivano la famiglia da anni) e la questura. Di lì partirono le indagini e che videro anche la ragazzina ascoltata in audizione protetta. Durante il colloquio era presente anche una psicologa nominata dal pm come consulente che il 30 settembre ha parlato in aula: «Ho trovato una 13enne non suggestionabile e quindi credibile». «Provavo vergogna ma sono stata forte e ho denunciato. Ora sto bene», ha detto Giulia al collegio.
«Voglio dare lustro ai servizi sociali e ai loro professionisti che non hanno mai lasciato sola la ragazza (i servizi seguivano la famiglia da anni) ma che anzi si sono prodigati anche per tutelarla a livello legale. Se sono qui a rappresentarla in questo lungo e doloroso processo è anche merito loro. Le hanno creduto, l’hanno sostenuta, accompagnata e non lasciata mai sola prolungando la tutela per offrirle la possibilità di curarsi e affrancarsi da una situazione famigliare compromessa. La rete ha funzionato e ora Giulia è libera» a dirlo l’avvocato Stragliati. «Ho sottoposto Giulia a diversi test - ha spiegato la psicologa dell’Ausl - e i risultati hanno evidenziato come la ragazzina soffrisse di uno stress post traumatico da abuso sessuale in un’età assolutamente non idonea, ma anche di essere stata esposta prematuramente a queste situazioni e di averle vissute più volte. Si è confidata e ha spiegato lucidamente come rivivesse spesso nella sua mente quei momenti anche a distanza, perpetuandone la sofferenza. Non siamo andate compiutamente nei dettagli perché le indagini erano ancora in corso e solitamente la procedura è questa. Subire gli abusi per lei significava non essere maltrattata poi, o succedeva anche che fosse blandita in cambio di regali. Spesso ha cercato aiuto nella madre ma avendo questa già sue gravi carenze come persona, non è stata in grado di cogliere i segnali né di fornire un adeguato supporto».
«Stavamo insieme da tanti anni e abbiamo fatto anche due figli, ma dal 2011 in poi è cambiato. Mi metteva le mani addosso quando cercavo spiegazioni per situazioni che non mi tornavano. E anche il rapporto tra Giulia e il mio compagno era molto conflittuale. Una notte ho incalzato mia figlia e le ho chiesto di confidarsi, che poteva contare su di me. Lei l’ha fatto e io l’ho creduta e poi ho fatto denuncia», ha detto la madre che anche dichiarato che a sua volta era stata costretta a fare un video intimo tempo prima e ha accusato il compagno: «Ha messo alcune mie foto su siti di incontri e venivo contattata da uomini a me sconosciuti. Mi ha rovinato la vita». «Ho iniziato a seguire la famiglia nel 2015 e subito abbiamo capito che la situazione era molto precaria e compromessa. Giulia aveva paura della sua ombra – spiega l’assistente sociale -. Era un’adolescente in difficoltà, sofferente, traumatizzata, smarrita, sola. Nei mesi abbiamo rilevato un’ambiguità diffusa e generale dove la vittima non aveva nessun punto di riferimento e sostegno». E ancora: «Non riusciva ad entrare in un negozio o a prendere il bus, per fare alcuni esempi. Spesso siamo state contattate anche dai carabinieri che erano intervenuti per liti violente in casa, fino a quando poi le cose sono degenerate irrimediabilmente e venni a sapere di quello che era accaduto perché contattata dalla madre. A quel punto la ragazzina è stata allontanata».