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In tribunale

«Io abusata da un infermiere durante il ricovero in Psichiatria»

Imputato per violenza sessuale un infermiere che l’avrebbe costretta a toccare le sue parti intime. I fatti risalgono al 2018. In aula parla la vittima: «Eravamo diventati amici. Lo pregavo di smetterla, perché mi dava fastidio e non volevo»

«All’inizio era molto gentile, avevo bisogno di conforto e mi dava supporto poi però in più occasioni mi ha preso la mano e l’ha messa sulle sue parti intime». A dirlo in aula la vittima di svariati presunti abusi subìti nel 2018 da un infermiere mentre si trovava ricoverata in un reparto dell'area di Psichiatria dell’ospedale di Piacenza. La donna ha spiegato al collegio giudicante (presieduto da Alessandro Rago, a latere Ivan Borasi e Anna Freschi) quanto le sarebbe accaduto durante il ricovero. Ad incalzarla il pm Ornella Chicca, mentre il professionista (che all’epoca fu sospeso) – accusato di violenza sessuale - è difeso dall’avvocato Giuseppe Maria De Lalla (foro di Milano).

Secondo l’accusa gli episodi sarebbero svariati. «Oltre a essere un infermiere mi sosteneva moralmente, era umano con me e mi fidavo.  – ha spiegato la vittima -. Eravamo anche amici ma poi ha esagerato. Ero già fragile di mio ed ero lì per trovare un senso alla mia vita, lui era attento e premuroso. Camminavamo lungo il corridoio e si chiacchierava. Avevo capito di piacergli e la cosa era forse anche reciproca, magari una volta fuori avremmo potuto uscire e vederci, ma ero imbottita di farmaci, non era il momento». «Poi durante le passeggiate, mi abbracciava ma questo mi faceva anche piacere – ha detto – ma poi ha cominciato a prendermi la mano e a mettermela sulle sue parti intime. Lo pregavo di smetterla, perché mi dava fastidio, non volevo e non lo avevo provocato: dove c’ero io, c’era anche lui, forse pensava che poi mi sarebbe piaciuto e che eravamo fidanzati. In un’occasione ha preso il mio telefono e si è mandato un messaggio così da avere il mio contatto fino a quando una sera ero a guardare la tv nella saletta comune, le luci erano spente e lui è entrato».

«Mi ha abbracciato con più foga, palpeggiandomi poi mi ha preso la mano e ha fatto ancora quello che faceva durante le passeggiate. Era anche agitato, andava alla porta per vedere se arrivava qualcuno. Infine è arrivato il primario che immediatamente mi ha portata nel suo ufficio e io gli ho spiegato quello che era accaduto». «I giorni successivi - ha proseguito - l’ho visto ancora in servizio. Mi chiamava e scriveva messaggi, o me lo ritrovavo in stanza a qualsiasi ora: mi chiedeva di dichiarare che ero consenziente. Poi mi hanno dimessa. Forse si è approffittato della mia fiducia,  ma io non volevo, mi sono sentita un oggetto». Il processo è stato aggiornato per l’ascolto di altri testimoni.

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