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Sabato, 23 Settembre 2023
Cultura

Alla Società “Dante Alighieri” il ricordo di Giovanni Verga nel centenario dalla sua scomparsa

Conferenza del professor Dossena alla “Famiglia Piasinteina”

Su organizzazione della Società “Dante Alighieri” in collaborazione con la “Famiglia Piasinteina”, il prof. Giuseppe Dossena ha tenuto una conferenza su “Giovanni Verga ed il Verismo”, in ricordo del centenario della scomparsa di uno dei romanzieri che hanno lasciato un importante segno nella letteratura e nella rappresentazione di una realistica società della sua contemporaneità.

Con intensità di dettagli sulla novellistica verghiana e con una analisi del pessimismo dell’autore de “I Malavoglia” e di estesa produzione letteraria, Giuseppe Dossena ha offerto al folto pubblico intervenuto il “quadro concreto” di una verità sociale incarnatasi nel “Verismo”, sottolineando che lo scrittore ha ricevuto ampio apprezzamento solo dopo la sua scomparsa.

La produzione novellistica è molto vasta ed investe una realtà che dallo scrittore viene descritta sempre mantenendo il proprio oggettivo distacco. Invero, il “verismo”, derivato dal naturalismo francese, ha inteso rappresentare la realtà, ma senza esprimere personali partecipazioni valutative da parte degli autori. Verga riesce, pur mantenendo un non-coinvolgimento, ad evidenziare e denunciare le contraddizioni sociali contemporanee, e, pur non negando la positività di un progresso industriale intervenuto e avanzante, porta l’attenzione del lettore su una verità socio-umana proprio attraverso le novelle e i suoi romanzi.

Verga, di famiglia benestante, è stato protagonista sociale e letterario di un duplice aspetto: ha frequentato “salotti” di alta borghesia, scrivendo secondo il gusto romantico-patriottico, e ha fatto esperienze di vita in ambienti raffinati ma intrisi di frivolezze, di amori passionali, tormentati, sovente drammatici; aspetti di benestanti ceti, osservati poi dallo scrittore con progressiva riflessione e contrapposti alla vita degli umili, del popolo di bassa classe sociale. Sta qui il realismo verghiano, che non considera “vincitori” i “salottieri”, i quali anzi sono dei “vinti” nelle loro vacuità; così come “vinti” sono però purtroppo, per altre ragioni di vita, i bassi ceti degli umili.

Nella sua vita Verga sarà a Firenze e a Milano, frequenterà artisti, letterati, musicisti, esponenti della “scapigliatura”, politici e “salotti”; collaborerà con Riviste Letterarie, comporrà “romanzi storici”. Fra le novelle, “Storia di una capinera”, una delle più struggenti, in cui porrà in luce la non-libertà della donna nelle sue scelte di vita. Per Verga la letteratura significava serio contributo a livello etico-sociale. E dall’osservazione della vita salottiera all’osservazione della vita delle umili famiglie di paese, avvezze alle rinunce e alla vita di una quotidiana sopravvivenza, sarà ispirata quella folta “novellistica”, di cui “Nedda” costituirà un’anticipazione del Verga-Verista” e narratore della dura realtà del basso-ceto, trasmessa dal Verga attraverso la sua m vasta produzione letteraria  di ambientazione rurale siciliana, e con la splendida e amara “novellistica” raccolta specialmente in “Vita dei campi”, e in “Novelle rusticane”, oltre alla tristissima vicenda di “Rosso Malpelo”.

Verga nel 1878 è ormai alle soglie de “I Malavoglia” e del “ciclo dei vinti”, una raccolta prevista di cinque Romanzi in cui lo scrittore affronterà tematiche di amara realtà sociale, da lui tollerata a mero livello razionale, ma rifiutata sentimentalmente. Si rivela tutto il pessimismo verghiano, non illuminato da una fede religiosa che il Verga non ha, a differenza del Manzoni e della “provvidenziale speranza” dell’autore de “I promessi sposi”. Per il Verga, invece una vera felicità non è raggiungibile da nessuno, nemmeno dai più ricchi; solo il vivere alcuni valori, come la famiglia, il “proprio” ambiente e il lavoro possono dare un po' di “serenità”. Con il “ciclo dei vinti” (avviato col 878), lo scrittore mette in campo aperto le passioni umane nascenti dalla ricerca del “meglio”, e di un’esistenza in cui solo pochi prevarranno, mentre i più saranno travolti, per l’appunto “vinti”.

Ne “I Malavoglia”, il capofamiglia patriarcale, vecchio pescatore di Aci Trezza, vive nella fondata rassegnazione della condizione assegnatagli dal destino, e non approva la scelta del nipote ‘Ntoni di avventurarsi ad esperienze migliori; ‘Ntoni non finirà bene, ha sfidato un destino che non è consentito mutare. E parimenti, in “Mastro-don Gesualdo”, la brama ossessiva di ricchezza, con una continua preoccupazione angosciosa di conservare la “roba”, cioè il “suo” patrimonio accumulato, pur portando Gesualdo ad un certo “salto di qualità sociale”, lo fa rimanere rozzo per la sua origine, sì da morire in amara solitudine e abbandono. Ne “La Duchessa di Leyra”, si tocca la “vanità” aristocratica, ma il romanzo rimarrà incompiuto. Come pure non verranno mai scritti gli altri due romanzi preventivati: L’onorevole Scipioni” (ambizione politica), e “L’uomo di lusso” (ambizione artistica).

L’intento del Verga – ha concluso il prof. Dossena - fu di offrire uno spaccato della società italiana uscita dal Risorgimento, e testimone dell’unificazione politica, e dei traumi che ogni cambiamento comporta, nonché della prima rivoluzione industriale. Tuttavia, il compimento del “ciclo dei vinti” trovò comunque attuazione attraverso la piuttosto vasta produzione novellistica, costituente il vero affresco verghiano.

Roberto Laurenzano

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