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Cultura

«Dobbiamo vincere la chiusura in se stessi»

L'omelia pronunciata dal vescovo questa mattina, giovedì 13 aprile, in occasione della Santa messa "del Crisma"

Omelia del Vescovo nella Messa del Crisma, Cattedrale, 13 aprile 2017

Letture: Is 61, 1-3a.6a.8b-9; Ap 1, 5-8; Lc 4, 16-21

Carissimi sacerdoti e diaconi, carissimi fratelli e sorelle

1. “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”. Nella sinagoga, Gesù accoglie il grande annuncio del profeta Isaia e si affida alle parole profetiche che annunciano la volontà di Dio di promulgare l’anno della misericordia per consolare gli afflitti, per dare loro una corona invece della cenere, l’olio di letizia invece dell’abito da lutto. Questo disegno di Dio dà inizio a un “oggi” che Gesù inaugura e che non terminerà più: “oggi si è adempita questa Scrittura”.

Gesù è il Servo di Dio mosso della potenza dello Spirito, è l’unto mandato a realizzare il progetto di misericordia. Egli ha maturato questa consapevolezza nella preghiera e nel lavoro a Nazaret, nel battesimo al Giordano (“Tu sei il Figlio mio, l’amato”) e poi nel silenzio del deserto, riascoltando e meditando dentro di sé le parole dei profeti e la voce scesa dall’alto. La sua coscienza umana, illuminata dallo Spirito, si è aperta per accogliere su di sé l’azione di Dio che lo consacra in Spirito Santo e potenza e lo invia per promulgare l’anno della misericordia.

Contempliamo con stupore, insieme a tutta la Chiesa, questo disegno di amore del Padre che si compie in Gesù di Nazaret. Confessiamo con cuore grato la nostra fede con l’acclamazione che la Colletta ci propone: “O Padre, tu hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo e lo hai costituito Messia e Signore”.

2. “Ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il nostro Dio e Padre”: le parole dell’Apocalisse ci invitano ad accogliere in noi e ad assimilare nella nostra coscienza cristiana la sorprendente azione di amore di Dio. Cristo, l’unto dello Spirito Santo, “è mandato a noi per beneficare e risanare tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo” (cfr. At 10,38).

Accogliendo Cristo e vivendo uniti a Cristo, noi, battezzati nell’acqua e nello Spirito, partecipiamo della morte e risurrezione del Signore Gesù: siamo morti al peccato per rinascere come creature nuove, a somiglianza di colui che il Padre proclama “Figlio amato”. Il crisma o olio della consacrazione ci fa partecipi di Cristo e della sua dignità sacerdotale: “ha fatto di noi un regno di sacerdoti”. Maturiamo in noi, in tutti noi, questa coscienza cristiana. L’unzione e la missione di Gesù non sono sequestrate da un gruppo di persone, perché è tutto il popolo di Dio che continua il sacerdozio di Gesù. Vescovo, presbiteri e diaconi, consacrate e consacrati, catechisti e catechiste, mamme, padri e figli, persone sane ed ammalate, giovani ed anziani: siamo tutti riuniti attorno all’unico agnello pasquale, siamo il suo popolo radunato attorno al suo altare. Riscopriamo “il piacere spirituale di essere popolo”, sviluppiamo il “gusto spirituale di essere popolo”, popolo sacerdotale, regale e profetico (cfr. Evangelii gaudium 268).

3. Cari confratelli, in intima continuità con la gioiosa dimensione sacerdotale di tutto il popolo santo di Dio, riscopriamo e sviluppiamo il piacere e il gusto di essere al servizio del popolo del Signore con il sacerdozio ministeriale. Celebriamo oggi il nostro dies natalis, cioè la nostra partecipazione alla consacrazione di Gesù con la grazia del ministero ordinato. Il nostro compleanno sia l’ “oggi” di grazia che ci fa intuire qualcosa della bellezza di questa nostra partecipazione ministeriale: l’ “oggi” di Gesù permane nel tempo attraverso il nostro servizio sacerdotale, l’anno di grazia del Signore resta senza tramonto mediante la celebrazione dei santi Misteri. È grande il mistero di cui siamo stati fatti ministri, il mistero di un amore senza limiti.

4. “Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui”. Siamo ministri di Gesù Cristo e non possiamo vivere il mistero di questo servizio se non tenendo fissi gli occhi su Gesù Cristo che, “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1)”. Solo se siamo esposti ai raggi di questo suo amore, svolgiamo la missione, che non ha altre motivazioni né altre garanzie. Si cade presto nella freddezza e si è presto condannati alla tristezza e alla frustrazione, se non abbiamo un legame serio e vero di amicizia con Gesù, se non siamo abitati e custoditi dal suo amore.

Papa Francesco dedica un intero capitolo dell’Evangelii gaudium – il secondo, intitolato “nella crisi dell’impegno comunitario” – alla “carenza di spiritualità profonda che si traduce nel pessimismo, nel fatalismo, nella sfiducia” (EG 275). Non ci sono rimedi che ci salvano dalla malattia del “nostro cuore freddo”, non ci sono programmi che ci fanno uscire dalla “nostra vita tiepida e superficiale”. Ma l’anno di misericordia non ha fine, vi è sempre per noi la grazia di riscoprire e di vivere la relazione con Cristo e la relazione con i fratelli per testimoniare la gioia del Vangelo.

5. Invochiamo questa grazia, cari confratelli, riscopriamo il fascino e la gioia della buona relazione con Cristo. Papa Francesco ci dice: “abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci”, di stare davanti ai suoi occhi per contemplarlo e lasciarci contemplare da lui (EG 264). Senza relazione d’amore con Cristo, non c’è in noi la vita di Cristo, la vita cristiana e senza la preghiera adorante non c’è missione.

Rinnoviamo ogni giorno la relazione con Cristo, costituito Messia e Signore, che ci dispone a vivere la buona relazione con i fratelli. “Sì alle relazioni nuove generate da Cristo”, scrive Francesco, invitando a vincere “la chiusura in se stessi” con “la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio” per vivere “una vera esperienza di fraternità, (...) in un santo pellegrinaggio” (EG 87). È il pellegrinaggio della Chiesa tutta, è il pellegrinaggio della nostra Chiesa diocesana con il suo Vescovo e il suo presbiterio.

La nostra prima comunità è il presbiterio, è la nostra nuova famiglia non generata da carne e da sangue, ma dallo Spirito Santo (cfr. Mc 3,331-35; Mt 12,46-50; Lc 8,19-21): in questa famiglia si cresce nella relazione fraterna fondata sulla grazia del sacramento dell’Ordine. Non c’è azione pastorale senza la comunione con chi condivide il dono e la grazia del ministero ordinato.

Preghiamo, fratelli e sorelle, perché la nostra Chiesa che è in cammino verso la corresponsabilità ecclesiale e pastorale – con il motto: non da soli –, si lasci guidare dallo Spirito Santo e accolga su di se l’olio profumato del crisma della salvezza, segno dell’amore di Dio e dell’amore fraterno. Così diventiamo veramente partecipi della consacrazione di Cristo e testimoni nel mondo della sua opera di amore e di salvezza. Amen.  

+ Gianni Ambrosio 

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