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Cultura

Festival della cultura della libertà, il resoconto della seconda giornata

Stesso pubblico del primo giorno, numeroso, appassionato, desideroso ed anche curioso di apprendere. Entrambe le sale piene, sedi delle relazioni, offrono la sensazione di un successo straripante, come lo è la gente che si affanna a trovare il posto a sedere

Secondo giorno

Stesso pubblico di ieri, numeroso, appassionato, desideroso ed anche curioso di apprendere. Entrambe le sale piene,  sedi delle relazioni, offrono la sensazione di un successo straripante, come lo è la gente che si affanna a trovare il posto a sedere, Ore 9 e qualche minuto, si comincia. L’argomento: Tutti catalani? col punto interrogativo, argomento che appassiona chiunque è preso dal dubbio di dover scegliere fra diritti dei cittadini e diritto dello Stato. Moderatore con la solita pacata abitudine a gestire relatori ed interventi, E. Galba che pone la preoccupazione di una possibile epidemia autonomista proveniente dalla Catalogna. Partecipano al dibattito L. M. Bassani, storico delle dottrine all’Università di Milano e un giovane giornalista de: Il Foglio, tale E. Cau. Inizia Bassani con piglio deciso, quasi perentorio e fra Kant che già prospettava una federazione europea ed i Cantoni svizzeri, la sua preferenza va a questi ultimi,  ritenendo la Catalogna oggi per l’Europa occidentale,  l’equivalente ieri del muro di Berlino.  Ribadisce inoltre che l’omogeneità culturale, non è da assimilare a quella politica, tuttavia, egli dichiara, come oggi prevalga il concetto della ideologia statuale contro la disgregazione territoriale. A lui risponde il timido Cau, inviato dal suo giornale in Catalogna al tempo del referendum. La sua voce ed il suo aspetto di giovane, più giovane della sua età effettiva, contrastano con il precedente relatore al pari di un bambino nei confronti di un adulto. Contrappone quindi alla sicurezza del primo, il dubbio di non credere fino in fondo alla vocazione autonomista catalana e questo per due motivi. Il primo causa una maggioranza risicata. Il secondo causa una certa lacuna sul piano diplomatico da parte degli esponenti politici  catalani, che rendono la loro regione ben diversa ad es. da quella scozzese.  Il dibattito si accende e Bassani insiste con la domanda provocatoria:  quali sono  le comunità che hanno il diritto di secedere?   Quelle, è la sua risposta, che vantano almeno due motivazioni: la paura  verso l’unione, come succede per la Lombardia che versa più del 18% del suo reddito allo Stato centrale, e la piena fiducia nelle capacità dei propri rappresentanti. Cita in conclusione una frase del suo maestro Miglio: ognuno vanta il diritto di stare con chi vuole e con chi lo vuole. Basta così? No, c’è ancora qualcosa da precisare con Cau che insiste nell’attribuire scarsa fiducia nell’autonomia catalana per le ragioni già espresse e poi con lo stesso  Bassani che pone il problema ,se la decisione di indipendenza riguarda  gli abitanti recenti  o coloro che da generazioni vivono il territorio. Seguono  le domande del pubblico diviso in due, fra favorevoli e contrari all’indipendenza. Per i primi, ogni indipendenza deve essere sostenuta a prescindere, per i secondi si può ipotizzare invece  il rischio che la disgregazione di uno Stato in tanti piccoli Stati , crei governi antiliberali e oppressivi. Sviscerato il primo, si passa al secondo argomento: Immigrazione, perché sì e perché no. Tema questo  molto sentito  in Italia , in quanto  il nostro paese si sente, giusto o sbagliato che sia, abbandonato  dall’Europa. I relatori sono E. Gotti Tedeschi(ex) professore alla Cattolica di Milano ed economista e M. Lo Prete , giornalista Rai. Modera il sempre attento R. Gionelli che individua le cause dell’aumento dell’immigrazione verso l’Italia  in questi ultimi anni,  nei processi di destabilizzazione da parte dei paesi favorenti il fenomeno , legate a questioni legate a guerre o carestie. Inizia il dibattito Gotti Tedeschi. Il suo è un discorso dotto,  sempre sostenuto da argomentazioni precise,  studiate e lungamente meditate,  a volte perfino vissute in prima persona durante alcuni incontri internazionali. La parola è fluida ma a scatti, a  volte pacata e lenta, altre volte concitata per accenti polemici che dimostrano una cosa indubitabile: la sua certezza di essere nel giusto. Poi stranamente dopo aver parlato con passione, accade uno stravolgimento. Subentra in lui quasi una neghittosità, non si sa se fino in fondo voluta,  una specie di chiusura in se stesso, un apparente  estraniarsi  senza curarsi del pubblico,  da cui non si aspetta elogi o applausi. Arroganza? No, solo un desiderio di meditazione supplementare, di silenziose supervisioni di certezze sicure  al pari delle sue convinzioni di fede.  Certezze  che devono servire ad indurre il pubblico  a cogliere nelle parole i significati  più profondi non quelli superficiali. Perché, per lui,  quello che bisogna capire, presuppone il sapere vero che nella ricerca della verità e della giustizia va oltre la semplice passione emotiva . Per questo motivo, la sua espressione è sempre seria, difficilmente conciliante col sorriso stereotipato o addirittura sciocco e mai asservita al luogo comune. Fatta questa diagnosi forse anche un po’ arbitraria, passo ad elencare i suoi cinque messaggi ( messaggio è parola sua )  per i quali l’immigrazione si verifica. Li elenco commentandoli. La scarsa capacità di capire la storia cosicché  se il  compianto cardinale  Biffi, sosteneva di far accettare nel nostro paese coloro che ne condividono la cultura,  l’attuale mentalità sostiene il contrario, previlegiando il sincretismo religioso e la multiculturalità come valore in sé. Segue la critica verso l’informazione o insufficiente o doppia, perché orientata a valorizzare elementi umanitari in modo non veritiero. Cita inoltre L’Europa che ha tradito tutti gli impegni presi a proposito degli investimenti nei territori da cui provengono i migranti , mai fatti, come pure non hanno mai avuto corso gli  aiuti che avrebbero dovuto favorire   la esportazione dei loro beni.  Se poi esaminiamo le frontiere europee, ognuno si barrica in casa e l’immigrazione viene scaricata sui paesi, vedi l’italia, che ha come frontiera i mari. Ma ancora non basta. Per capire fino in fondo il problema, bisogna allargare il discorso  facendo del mondo una diagramma visivamente molto esplicativo, per far capire ragione e torti  del fenomeno migratorio a livello soprattutto economico. Con le spese molto alte a livello mondiale in corrispondenza della guerra fredda , poi diventate basse con la fine di questa guerra, per finire con un’impennata dei debiti sovrani a cominciare dal 12 dicembre 2001. Detto questo si tace rincantucciandosi, mentre  inizia a parlare  M. Lo Prete che , con voce calma snocciola una serie di dati statistici sull’aumento dell’immigrazione in questi ultimi anni, anche se, ad onor del vero, oggi i flussi non sono a livelli record. Passa poi  a citare la politica dell’identità con cui noi italiani valutiamo ,con un  certa retorica, la ingovernabilità di un  fenomeno migratorio sulla base di un  concetto razzista o antirazzista. In sostanza  emerge un dato di fatto che gli immigrati, attraverso la nostra politica stracciona, possano essere accettati solo se  accettano di dedicarsi ai lavori umili per poi pagarci le pensioni.  Stimolato, interviene ancora Gotti Tedeschi ponendo il problema se gli immigrati possono colmare la caduta della nostra natalità.  Due però sono i problemi da affrontare: la governabilità  che dipende dal tasso di crescita dell’immigrazione  e l’aspetto economico che consente di assorbire un certo numero di immigrati, ma non tutti. A questo punto fioccano le domande del pubblico che trovano sempre Gotti tedeschi preparatissimo nelle risposte a domande serie, ma infastidito di fronte a quelle espressioni secondo lui viziate   di gigionismo. In sintesi la sua è stata una confortante relazione sempre colta e documentata, sviluppata fra visioni  didattiche semplici e chiare,  a  volte perfino di   disarmante umiltà, alternate ad altre dove certe impuntate  caratteriali, lasciano una traccia mista di simpatia e di imprevedibilità. Tuttavia ogni tesi è sempre  esposta e proposta in una cornice di lucida e doverosa onestà. Il tempo intanto corre veloce e si arriva all’ultima relazione, della mattinata letta da L. Infantino sociologo dell’Università di Roma e moderata dal giovane giornalista de Il Piacenza Filippo Mulazzi. Questo il titolo: L’eredità di A Von Hayek, economista e sociologo austriaco che ha speso la sua vita per i principi liberali. Riporto in sintesi le  parti più importanti  della relazione che avrebbe potuto per la ricchezza delle argomentazioni , svolgersi in un contesto universitario.  B en espresse nel libro: Economia e conoscenza. Ecco l’elenco scarno dei punti in questione. 1) Il poter avere più informazioni determina una maggiore conoscenza, ma  la centralizzazione della conoscenza è contro la libertà individuale.  2)La manomissione del mercato altera le conoscenze individuali. 3) L’ordine sociale  è basato sulla libertà individuale.  4)L’uguaglianza  davanti alla legge è l’unica uguaglianza liberale tanto che se le leggi non sono sovrane , la democrazia non è vera.  Segue poi quest’altra , la quinta, su cui  vale la pena di meditare: se la democrazia è solo un valore della maggioranza, io( von Hayek) non sono democratico. Si potrebbe continuare su questo concetto di democrazia illimitata, ma basta quest’ultima frase  per definire lo spirito liberale secondo cui lo Stato non può impedire di fare delle cose in un  modo migliore. Così la mattinata si chiude per la pausa pranzo.   Alle tre in punto però si ricomincia. L’ultima sessione viene a proposito, a conferma che come si è iniziato si chiude il ciclo di ispirazione liberale. L’argomento è più che sufficiente per chiudere in bellezza  il festival . Ecco il tema: Lenin cent’anni dopo. Perché il comunismo è fallito. Relatori, S. Magni, giornalista, G.Sallusti direttore de: L’intraprendente e R. Festa insegnante di filosofia all’Università di Trieste. Moderatore il sempre attento e simpatico, avvocato A. Coppolino. Inizia  a parlare Magni che elenca le due cause per le quali il comunismo avrebbe dovuto morire subito, non avendo basi logiche. Esse sono il terrore  strutturale che ha prodotto milioni di morti ( circa 100 fra tutti i paesi comunisti) e come secondo fattore la mitizzazione di questa perversa teoria diventata una sorta di religione atea del tutto simile  e contraria   a quella religiosa. Gli fa eco Sallusti, estimatore di Reagan, il  vincitore della guerra fredda, senza sparare un colpo di fucile, il quale Sallusti  a proposito di questa religione atea, parla sia di Paradiso in terra per chi ha fede , sia di Inferno  in terra per chi invece non ha una fede incrollabile in questa ideologia. Conclude il dibattito, il filosofo  Festa con un modo di procedere fantasioso e col fascino  di porre domande retoriche per  poi dare risposte innovative e sorprendenti. Per lui il comunismo è morto nei fini ultimi, quelli ad es. del Paradiso in terra, ma non nei fini intermedi che riguardano ad es. la distribuzione della ricchezza e del potere politico. Infatti essendo il comunismo un potente movimento gnostico e millenaristico, potrebbe sempre trovare nel buio della coscienza umana, quella vocazione allo spirito cataro, che si aliena in movimenti mistici, ricchi di fanatismo e di perversione. A questo punto una sorpresa. Essendo venuto da Roma a trovare gli amici liberali piacentini, Daniele Capezzone, educazione vuole dargli la parola. Per lui è sorprendente come dopo la caduta di tante ideologie rimanga intatto nella sua inossidabile freschezza il liberalismo. Applausi scroscianti. La fine è ormai prossima manca però la conclusione affidata all’avvocato Sforza cui spetta di diritto chiudere i lavori così come per lo stesso di diritto di autorevolezza li aveva aperti. Il suo è un intervento ponderato ed anche pensoso su quanto emerso da questi due giorni di dibattiti, Nessuna prosopopea e nessuna esaltazione. Solo meditazioni sentite ed interrogativi su quanto abbiamo imparato e su quello che dovremo continuare a dibattere e ad imparare per non lasciare che la  freschezza dello spirito librale, come diceva Capezzone, possa inquinarsi o addirittura inaridirsi.  Elenca quindi punto per punto tutti i temi trattati durante i due giorni di dibattito, con lo spirito di cogliere i lati positivi senza omettere quelli meno convincenti che riguardano soprattutto  la possibilità di ridurre  la spesa pubblica, il problema della bioetica, basato per un liberale più sui principi che non sulle leggi e tutte le problematiche legate all’utilizzo di internet. Passa poi a toccare  i diritti  inviolabili passati da 4 a 70  tanto che non si capisce più se i diritti esistono ancora. E poi affronta il nodo  gordiano della proprietà privata, che subisce attacchi fino ad arrivare all’esproprio, senza adeguato risarcimento. Segue il tema della religiosità, dell’eguaglianza secondo il modello socialista e quello liberale, l’oligopolio della moneta con la comparsa del Bitcoin, per finire addirittura col problema del diapason per il quale  la nota la verdiana non è più simile a quella attuale, abbassata, cosicché non si può più cantare le opere di Verdi nella tonalità originale. Insomma  ogni aspetto del festival della libertà è stato toccato, ma prima di  auspicare il volo dei gabbiani ( o aironi) esemplificati nel  grafico stilizzato, simbolo del nostro festival, per i prossimo gennaio, nei giorni 26 e 27, una ultima stilettata, doveva essere data contro il politicamente corretto da parte di un’informazione che falsifica i fatti oppure volutamente li dimentica. E’  questo il caso della “tragedia dimenticata” vale a dire la deportazione degli italiani dalla Crimea nei gulag sovietici nel 29 gennaio 1942  che domani verrà  ricordato nella nostra visita pellegrinaggio a Bobbio  e di tutte le altre atrocità praticate dai vari regimi comunisti che perfino nel nome si sono sottratti alle loro responsabilità, contrapponendo al comunismo il nazismo, male assoluto e dimenticando che la dizione esatta sarebbe nazi socialismo o nazional socialismo. Conclusione.  Falsificare la storia e la realtà e stato il sogno del comunismo vinto ma non scomparso, mentre il liberalismo non è né vinto né scomparso, anzi, possiamo dire senza ombra di dubbio  che se esso dimostra ottima salute, un po’ di merito va anche al festival  piacentino della libertà   e, ovviamente , al suo ideatore.  

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