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Cultura

«Giustizia e dignità, equazione poco o nulla conosciuta nelle carceri italiane»

La conferenza del professor Gromi, garante dei diritti dei carcerati, alla Dante Alighieri

"La giustizia sembra madre di due figli: l'uno legittimo, il processo, e l'altro illegittimo, il carcere. E' orgogliosa del primo, concentrando su di esso ogni attenzione, esempio di sacralità e garantismo. Del secondo quasi si vergogna, tentando di nasconderlo, affinché lo si intraveda appena”. Questa - citando un saggio di Nicolò Amato - la riflessione espressa dal prof.  Alberto Gromi, nella veste di Garante dei diritti delle persone private della libertà, alla conferenza che, all’auditorium della Galleria Ricci Oddi , ha segnato la chiusura della Giornata della Dante 2016, organizzata dal Comitato piacentino presieduto dal dottor Roberto Laurenzano.

La tendenza, ormai diffusa praticamente in tutta Italia – ha proseguito Gromi – è quella di decentrare le carceri nell'estrema periferia, come se fossero “una discarica sociale”, per nascondere un sistema che priva della libertà e della dignità;  le persone sono  abbandonate  a scontare la condanna senza che sia concessa una luce di speranza per il loro futuro. La pena invece, come scritto nella nostra Costituzione, dovrebbe tendere alla rieducazione in base al principio che anche chi è in carcere, perché riconosciuto colpevole di un reato, continua ad essere un cittadino portatore di dignità. Infatti con l'ingresso del detenuto nel circuito penitenziario non vi è alcuna abdicazione ai diritti fondamentali che fanno parte del patrimonio intaccabile  dell’uomo. La persona dietro le sbarre invece, sono tante le testimonianze al proposito, spesso non viene  nemmeno apostrofata  con il suo nome, trova  difficoltà a comunicare con la famiglia, vive in situazioni igieniche carenti;  le persone sempre più spesso sono prive di risorse tanto da non avere mezzi nemmeno per comprarsi un francobollo o prodotti per l'igiene personale;  la situazione ambientale anziché mirare alla rieducazione suscita disperazione e idee suicide. La rabbia aggredisce i detenuti e rende loro impossibile la riflessione sui motivi che li hanno portati in carcere. Da tempo - ha affermato Gromi - dovrebbe essere spezzata "l'equazione pena=carcere”, ma così non è  e l’opinione pubblica ragiona in un'ottica prevalentemente repressiva: il carcere unico strumento per ripristinare la legalità violata.

Una più frequente applicazione di sanzioni non detentive, che sono sempre pene e che quindi sono anch'esse strumenti di espiazione proporzionati al reato commesso, contribuirebbe al mantenimento della dignità; il sostegno degli educatori e  un adeguato trattamento rieducativo, sarebbe utile a far capire al detenuto la responsabilità del suo atto criminoso e degli effetti prodotti dallo stesso sulla vittima e sulla società.  Da ridefinire anche il ruolo dei volontari in carcere. In genere le attività che vengono offerte dal volontariato alle persone detenute, sono prevalentemente di intrattenimento. Attività utilissime – afferma Gromi – perché ciò che aiuta a occupare il tempo invece di lasciarlo semplicemente scorrere deve essere apprezzato. Ci dovrebbero però essere azioni che oltre ad "intrattenere" siano portatrici di una forte valenza "educativa", tali da chiamare direttamente in causa il detenuto.

Tra il folto pubblico che con evidente interesse ha seguito la conferenza del prof. Gromi, il comandante provinciale dei Carabinieri colonnello Corrado Scattaretico, che ha puntualizzato alcuni aspetti dei temi trattati, il Comandante Provinciale della Guardia Di Finanza Col . Daniele Sanapo, e il T. Col. Massimo  Moreni dl 2° Reggimento Pontieri.

LA GEOGRAFIA DELLA “CIRCONDARIALE”

La casa circondariale di Piacenza è situata in via delle Novate ed è aperta dall'anno 1992. Prima, il carcere era nel centro storico, oggi è in aerea extraurbana. A fine novembre ospitava 417 detenuti  dei quali 1 semilibero e 5 lavoranti esterni; le donne sono sedici. I già condannati sono 296, gli altri 121 sono imputati, appellanti o ricorrenti. Il 38 % sono tossicodipendenti. Gli italiani sono il 59%; gli stranieri sono il 41% con i Marocchini al 13,4%, i Tunisini il 10,5%, Albanesi al 9,8% e Rumeni al 7,2%.

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