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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cultura

Il ’68: rompere gli schemi della società apollinea basata sull’ordine, sul controllo, sulla razionalità

La mostra fotografica “68. Un anno di confine” in corso alla Fondazione, un film e due raccolte poetiche possibili chiavi di lettura del “Sessantotto”

Nel mio libro Libertà di pensiero del 2010, a pagina 75, riportavo l’incontro avuto nel 1975 ad Aspra con il poeta Ignazio Buttitta. L’immagine scelta per l’appendice riportava un gruppetto di ragazzi che correvano con in mano delle svolazzanti bandiere, una foto che bene esprimeva lo spirito della protesta giovanile sessantottina. Non avevo riconosciuto il luogo, né l’autore di quello scatto, fintanto che ho rivisto la foto con la seguente didascalia: “Piazzale Accursio. Milano,1971”. L’ho scoperto solo in questi giorni visitando la mostra di Uliano Lucas organizzata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano a Palazzo Rota-Pisaroni: “68. Un anno di confine”.  Una mostra che bene documenta la vita di quegli anni, dalle strade alle scuole, dalle assemblee studentesche, alle valige di cartone degli emigranti, dalla città che sale (avrebbe detto Boccioni) alle periferie-dormitorio. E delle caserme militari ne documenta alcuni momenti. Alcune foto riprendono la vita quotidiana della Scuola Trasmissioni della Caserma Cecchignola a Roma; mi hanno incuriosito, perché nei primi anni settanta, in quella caserma c’ero anch’io. Impressionante la manifestazione dei ragazzi militari di leva proprio agli inizi anni settanta e proprio a Roma. Giungevano infatti in quegli anni nelle file dell’Esercito (leva obbligatoria), quei giovani che dopo le esperienze delle contestazioni studentesche erano costretti a vestire i panni di soldato, la coscienza di classe faceva sì che si ritenessero dei “proletari in divisa”. Ai  P.i.D. organizzati da Lotta Continua, aderivano giovani non solo della sinistra extraparlamentare ma anche giovani di diverse estrazioni ideologiche. Ci dice lo stesso Lucas: “E’ difficile oggi immaginarsi tutta questa vitalità… Allora fu davvero un moto corale, un’enorme autogestione, di un pezzo di giovane e nuova Italia che tentava di costruire, certo anche rabbiosamente e violentemente, forme alternative di società e socialità, di riprendersi la vita e la città”. La storicizzazione di quegli eventi mi ha fatto tornare alla memoria un film visto nel 2010, al Jolly di San Nicolò: l’Urlo. L’Urlo è un film girato a quattro mani, da due teste della moderna cinematografia americana: Rob Epstein e Jeffrey Friedman. La pellicola è in rigoroso bianco e nero e narra in maniera sperimentale la vita di Allen Ginsberg. Quindi in bianco e nero le foto di Lucas della mostra, in bianco e nero il film sul poeta americano. In bianco e nero il libro di Allen Ginsberg della casa editrice il Saggiatore che si compone di due raccolte poetiche: Urlo e Kaddish. Il libro mi è stato regalato nel 2017, appena edito. Mentre l’Urlo è la protesta contro l’America bigotta e repressiva, Kaddish esprime il dolore per la morte in manicomio della madre che si trasforma, grazie anche alla libertà del verso, in un canto d’amore filiale. Il ripercorrere le scene del film visto nel 2010 e la recente lettura del libro, mi hanno fatto persuaso come al di là di qualsiasi richiamo ideologico-filosofico, la premessa culturale del sessantotto sia proprio quest’opera: l’Urlo di Allen Ginsberg. E l’America nel suo insieme, dalla metà degli anni cinquanta. La protesta dei reduci delle guerre americane erano l’esempio da imitare, per dire no a qualsiasi forma di autoritarismo, per dire no alle armi tout court. Chi non ricorda certe canzonette come “mettete dei fiori nei vostri cannoni”? Non è certo casuale se gli incontri sul sessantotto hanno chiamato in causa personaggi del mondo musicale di allora come Giulio Rapetti (Mogol) e Mario Luzzatto Fegiz che, non a caso, ha cantato Addio Lugano bella.  Leggere l’Urlo è come ascoltare una musica jazz, da bassifondi: aspra, con accelerazioni e strozzature, una musica spontanea e liberatoria, non a caso il jazz degli anni sessanta fu il cosiddetto “free jazz”. Bisognava andare oltre, oltrepassare qualsiasi limite, rompere gli schemi di una società ancora razzista e sessuofobica, ed allora ecco “Il veggente” di Artur Rimbaud ritornare prepotentemente in soccorso: “Si tratta di arrivare all'ignoto mediante la sregolatezza di tutti i sensi”. Tutti i sensi quindi dovevano essere coinvolti per potere cambiare le concezioni sociali americane del tempo, per coinvolgere tutti i sensi non bastava solo la musica, ci voleva ben altro! Il peyote è stata la droga che ha usato Ginsberg, l’erba (marjuana,hashish)  quella usata dalla cosiddetta beat generation. Se oggi viene, l’uso di alcune droghe, ammesso legalmente per scopi terapeutici, credo che possa considerarsi terapeutico l’uso che se ne fece allora! Ginsberg era omosessuale, innamorato ed amante di Carl Solomon. La lotta per la parità e la libertà sessuale iniziata negli anni cinquanta negli States è ben testimoniata da una foto della mostra di Lucas: “Corsi facoltativi di educazione sessuale alla scuola media statale Tosi, Legnano, 5 febbraio 1969”. Retaggi culturali e religiosi relegavano la sessualità nella sfera del privato, ne facevano una questione individuale, era spesso usata come strumento repressivo e di controllo sociale. Le grandi battaglie per il divorzio e l’aborto dovevano ancora venire. Erano semplici battaglie liberali e libertarie che, da noi in Italia, acquistavano il significato di vere e proprie rivoluzioni bolsceviche. 


Berkeley nel 1964 è la miccia simbolica della rivolta studentesca americana ma senza i sei poeti della Six Gallery di San Francisco del 1955, ed in particolare i versi di Ginsberg non sarebbe stata possibile una qualsiasi forma di protesta radicale nella società già consumistica d’oltreoceano.Berkeley in America nel 64, Parigi in Europa nel maggio 68. Ma a noi interessano le foto di Lucas ed allora ecco le testimonianze di “Assemblea studentesca davanti all’Accademia di Belle Arti in via Ripetta, Roma, marzo 1968” oppure “Assemblea all’Università Statale in sostegno al popolo vietnamita, Milano, ottobre 1969” ed ancora foto di manifestazioni da Torino a Bologna dal 69 al 74.


La testimonianza fotografica ricalca una visione politica ben precisa del fenomeno storico, a me che ho accennato alla genesi non rimane che citare alcune amicizie del nostro Allen, amicizie che spaziano da Keruac l’autore di On the Road del 1957 a Bob Dylan, il menestrello premio Nobel.Tutta l’opera letteraria, come il modo in cui è vissuto Allen Ginsberg, è un continuo rimando al culto dionisiaco, direbbe Nietzsche, una continua tensione tesa al raggiungimento di uno stato capace di liberare la propria creatività.
Questo è un aspetto prorompente di tutto il sessantotto, l’aspetto dionisiaco, rompere gli schemi della società apollinea basata sull’ordine, sul controllo, sulla razionalità. Mauro Rostagno è il prototipo di quest’aspetto del 68, la sua Comunità Saman nel trapanese si era ispirata ai valori di Osho, così come Ginsberg aveva aderito al movimento Hare Krishna. Ricordate a proposito George Harrison col suo My sweet lord?


Nei primi anni settanta, gli anni in cui frequentavo l’Università a Palermo, c’era assistente nella cattedra di sociologia proprio Mauro Rostagno. C’era negli stessi anni alla Facoltà di Filosofia, un altro ragazzo Peppino Impastato, in comune con Rostagno avevano avuto la stessa militanza politica in Democrazia Proletaria ed avranno in comune l’essere stati uccisi dalla mafia a dieci anni di distanza.  Personalità ed esperienze diverse, come diverse ed irripetibili sono le esperienze di ognuno di noi. Per me, come già scrissi nel 2008 in Libertà di pensiero, il ’68 è stato il barlume iniziale della conoscenza, lo splendore di ogni conoscenza ed il dolore che da essa deriva; la Primavera di Praga; Guccini e le sue canzoni, Buttitta e le sue poesie; le donne che abbiamo amato; ciò che ci fa riempire di sdegno di fronte alle ingiustizie e ciò che ci fa porgere la mano al diverso; la poesia del mondo che ancora, malgrè tout, ci fa vivere! 
Le foto del nostro Lucas che ci accompagnano a capire questo passato prossimo ma storicamente lontano, riprendono il quotidiano, rappresentano la cronaca di quei giorni, oramai storia. Una breve genesi la mia di una realtà ancora da scoprire, da capire, da studiare. Di sicuro c’è solo la data finale di quel periodo storico, il 1978, precisamente: 9 maggio 1978. 

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